Quel tesoro nascosto dell’IRCI di Trieste

Appuntamento domani in via Torino: si aprono le stanze segrete che raccontano la memoria delle terre giuliano-dalmate. In mostra anche rarità assolute

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Quel tesoro nascosto dell’IRCI di Trieste
Il palazzo che ospita il Museo dell’IRCI. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Se il vicino Civico Museo Sartorio ospita una serie di stupendi capolavori provenienti dall’Istria – a firma di artisti quali Paolo Veneziano, Alvise Vivarini, Alessandro Algardi, Vittore e Benedetto Carpaccio o Giambattista Tiepolo –, lo scrigno della memoria – prezioso quanto, e forse anche più, delle prestigiose tele, pale, sculture che hanno scritto nel tempo la storia dell’arte nel bacino adriatico e che in passato sono state custodite in chiese, conventi e musei della penisola – è racchiuso nella bella palazzina di via Torino 10, a Trieste, sede dell’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata. Che ora apre le sue stanze segrete, svelando i “Tesori” – come recita il titolo della mostra che s’inaugura domani, alle ore 17.30 – che racchiude tra le sue mura. Memorie ritrovate, memorie conservate.

L’IRCI, che ogni estate ci delizia con una proposta espositiva, ha deciso questa volta di puntare sul proprio patrimonio, documenti, cimeli, libri, stampe, dipinti, fotografie e altri tasselli provenienti dai suoi archivi, dalla biblioteca, dalla pinacoteca, dal Magazzino 18. “Volevamo scrivere un catalogo dei beni dell’IRCI, insomma un qualcosa che raccontasse il grande lavoro che si è svolto in tanti anni – scrive il direttore Piero Delbello – per recuperare e conservare la memoria di tutto ciò che poteva essere mattoncino di tradizioni e cultura istriana, fiumana e dalmata”, testimoniando e ritrovano al contempo il senso di un Istituto che nasce e vive per la “cultura istriano-fiumano-dalmata”.
”Tutto parte attorno al 1989 – prosegue Delbello – e va al recupero delle masserizie degli esuli nostri depositate da troppi anni e, a questo punto, ormai abbandonate, in un magazzino del Porto vecchio di Trieste. Poi la storia delle masserizie, ormai, la conosciamo. Resta il fatto (fondamentale) che quell’insieme di quotidiano che gli esuli portarono con sé, costituisce il primo concreto patrimonio dell’IRCI”. Sono stati questi beni abbandonati da chi partiva per altri lidi a dare l’input per un viaggio a ritroso, che ricucisse il filo con le radici, strappate e perdute delle genti adriatiche, costrette a lasciare le loro terre.
E se il Magazzino 26 è l’atto finale, l’IRCI ora sta lavorando per risalire alle… origini di questa vicenda, continuando a raccogliere, ricercare, elaborare, studiare, divulgare dati. “Perché quella cultura perduta venga ricostruita, rinasca e sia da stimolo per nuove indagini, per altre scoperte, per far rinascere l’anagrafe dell’identità istriana, fiumana e dalmata. E il luogo deputato per farlo è l’Istituto di via Torino. “E in questo edificio che al secondo e al terzo piano sono in attrezzamento la pinacoteca e il gabinetto delle stampe. E sempre in questo palazzo che trovano spazio le biblioteche e gli archivi storici che quotidianamente aumentano in consistenza e in qualità. Qua, ancora, stanno per trovare sede definitiva anche i cinquecento metri lineari che compongono l’archivio storico delle Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli, specchio fedele dell’evoluzione economica e sociale del territorio durante tutto l’arco del Novecento”, conclude il direttore.
La mostra sarà aperta tutti i giorni, da lunedì a domenica, con orario 10.30 – 12.30 e 16.30 – 18.30, in contemporanea con l’evento dedicato all’archivio fotografico chersino ritrovato fortunosamente, “Cherso in posa”, a cura di Claudio Ernè.

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