L’ornitorinco, un’immagine simbolica della realtà della minoranza italiana

Chiacchierata con Stella Defranza, vincitrice del primo premio, categoria prosa, a Istria Nobilissima

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L’ornitorinco, un’immagine simbolica della realtà della minoranza italiana

Tra i vincitori della 54.esima edizione del Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima”, i cui nomi sono stati resi noti di recente dall’Unione Italiana, figura anche Stella Defranza, giornalista e redattrice del nostro quotidiano. A portarle la vittoria nella categoria di Prosa in lingua italiana è stato “L’ornitorinco”, definito dalla giuria come un “veridico, appassionato sguardo sull’esperienza di studenti ‘italiani nel cuore ma non su carta’. Quasi un manuale – viene specificato nella motivazione – per aspiranti studentesse e studenti negli atenei della madrepatria. Una testimonianza dello stato di ‘multiappartenenza’ e ‘multinappartenenza’, con una scrittura efficace, quasi esclusivamente saggistico-memorialistica”. Per la giornalista, si tratta della seconda vittoria al Concorso “Istria Nobilissima”, dopo una prima partecipazione nella categoria giovani una quindicina d’anni fa. Nel corso di un’intervista, l’autrice ci ha parlato della stesura de “L’ornitorinco”, delle tematiche affrontate e della propria visione della particolare realtà della minoranza italiana dei nostri territori.

 

Di che cosa parla il tuo lavoro?

“‘L’ornitorinco’ è a metà strada tra un racconto e un saggio, quanto a forma letteraria. È in sostanza autobiografico, anche se non al 100 p.c. Mi sono ispirata alle mie esperienze personali e ad alcuni miei ragionamenti, che ho sviluppato parlando anche con persone della mia generazione. Infatti, penso che questo testo sia, per certi versi, uno spaccato della nostra generazione, di noi che, dopo aver finito gli studi in Italia, abbiamo deciso di ritornare e ora stiamo assistendo a una sorta di, oserei dire, estinzione della minoranza nazionale italiana. In questo testo racconto, dunque, la mia visione della nostra realtà.”

Come mai hai optato per questo titolo così particolare?

“È stata una scelta un po’ bizzarra, lo ammetto. Mi rendo conto che possa sembrare strano il nome di un animale australiano come titolo di un testo dedicato alla minoranza italiana delle nostre parti. L’ornitorinco è però un animale che mi ha sempre affascinato poiché è un mammifero, ma ha il becco e depone le uova. Né carne, né pesce, nel vero senso della parola. Vive tra acqua e terra ed è difficile inserirlo in un’unica categoria. Ed è un po’ anche quello che siamo noi della minoranza italiana in Croazia. Cerchiamo sempre di farci schierare. Ci chiediamo spesso gli uni agli altri se ci sentiamo più croati o più italiani. Siamo un po’ degli ornitorinchi.”

A quale fascia d’età si rivolge “L’ornitorinco”? È mirato specificatamente ad adulti oppure è adatto anche ai giovani ed adolescenti, ad esempio ai ragazzi delle scuole medie superiori?

“Devo dire che non ho contatti con la generazione che in questo momento frequenta la scuola media superiore. Ho scritto ‘L’ornitorinco’ rivolgendomi forse di più a quelli più vecchi di me, per far comprendere che le cose sono cambiate, soprattutto per le giovani generazioni. La nostra realtà non è più quella di una volta, quando si parlava in dialetto sia a scuola, sia sul posto di lavoro o magari incontrando qualcuno per strada. Ho cercato di far capire che dobbiamo essere meno critici gli uni nei confronti degli altri. Bisogna fare i conti con la realtà e accettarla. Se uno decide anche di parlare in croato con i propri figli, ad esempio, non credo vada biasimato.”

Come pensi si possa evolvere la situazione nei prossimi dieci, vent’anni?

“Questo testo è stato scritto a marzo del 2021, quindi in piena pandemia, quando la mia fiducia nel genere umano era già agli sgoccioli. Non sono ottimista come molti altri – tra cui la collega Tiziana Dabović, che ha ottenuto il secondo premio nella categoria dedicata alla poesia dialettale di Istria Nobilissima e che ho avuto modo di intervistare di recente – ma la verità è che non lo sono stata mai. Secondo me, prima o poi dovremo assimilarci, credo sia inevitabile. Se una lingua non viene usata, è naturale che si estingua. Siamo talmente in pochi che non credo possiamo mantenerla in vita.”

Puntare sui legami con l’Italia

Credi ci sia una soluzione o una strada da intraprendere?

“Bisogna puntare, come si sta facendo infatti, sui legami con l’Italia, specialmente per quanto riguarda i ragazzi delle scuole. Ci dovrebbero essere più viaggi, più scambi con l’Italia, più opportunità di usare l’italiano. In questi due anni di pandemia, siamo stati isolati anche fisicamente dall’Italia. Per me è stato un po’ scioccante poiché ero abituata al fatto che, dal 2013, quando la Croazia è diventata membro dell’Unione Europea, il legame era più immediato e i collegamenti con l’Italia erano facili.”

La pandemia ha, dunque, influito sulla tua scrittura?

“Sicuramente sì. È un testo che ho scritto specificatamente per Istria Nobilissima. In realtà è stata Tiziana Dabović a incoraggiarmi a partecipare al concorso. Essendo giornalista, ogni giorno scrivo parecchio per lavoro e quindi spesso sento di non avere più l’energia di dedicarmi alla scrittura. Lei invece mi ha consigliato di prenderla come un impegno, come un compito quotidiano. Ed è così che poi, pensandoci, mi sono venute delle idee e ho completato il testo.”

Quali emozioni ha suscitato in te il Premio di Istria Nobilissima? Ti aspettavi di vincere?

“Ammetto che avevo deciso di non pensarci. Il bando del concorso aveva stabilito che i nomi dei vincitori sarebbero stati resi noti entro la fine dell’anno. Dopo nove mesi di attesa, quasi non ci pensavo più, non avevo grandi aspettative. Avevo scritto questo testo per sfogarmi, in un certo senso, ma non mi aspettavo di vincere. So che la concorrenza del concorso usa essere piuttosto spietata, magari questa volta ho avuto anche un colpo di fortuna. In ogni caso, sono molto felice del premio.”

Il riconoscimento di Istria Nobilissima ti ha motivato a proseguire con la scrittura?

“In realtà mi piacerebbe scrivere un racconto di fantasia. Lavoro come giornalista per anni e ho dunque l’abitudine di attenermi sempre ai fatti, di raccontare ciò che ho visto e ho sentito, per cui a volte faccio fatica a inventare qualcosa di sana pianta. Vorrei scrivere un testo di questo tipo in futuro, ma per il momento non mi reputo ancora capace.”

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