L’influenza dell’Estremo Oriente nell’opera di Gustav Klimt

Al Palazzo dello Zucchero di Fiume sono esposti tredici oggetti provenienti dal Giappone, dalla Cina e dall'Africa tratti dalla collezione personale dell'artista viennese custoditi al Leopold museum di Vienna

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L’influenza dell’Estremo Oriente nell’opera di Gustav Klimt
La vetrina con gli oggetti

Le culture extraeuropee hanno affascinato l’Europa fin dal Medioevo e la loro influenza è visibile in una miriade di opere artistiche e architettoniche in diversi Paesi europei. È alla fine del XVIII secolo, però, che l’orientalismo divenne una corrente particolarmente presente nell’arte europea, in primo luogo francese e britannica, sebbene ebbe espressioni notevoli anche in altri Paesi. È nota, per fare un esempio, la forte influenza delle stampe giapponesi sugli artisti impressionisti, nonché sull’opera di Vincent Van Gogh.

L’influenza delle culture extraeuropee è un aspetto esplorato anche nell’arte di Gustav Klimt nell’ambito della mostra “Il Klimt sconosciuto e l’Estremo oriente” inaugurata di recente al Palazzo dello Zucchero, sede del Museo civico di Fiume, che propone una selezione di oggetti provenienti dal Giappone, dalla Cina e dall’Africa tratti dalla collezione personale di Klimt custoditi al Leopold Museum di Vienna.

Un segmento della mostra

Un prosieguo delle ricerche
Prendendo spunto dai dipinti di Gustav ed Ernst Klimt e Franz Matsch realizzati per il Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” nel 1885, che dal 2021, quando è stata inaugurata la mostra “Il Klimt sconosciuto: amore, morte, estasi”, sono custoditi nel Palazzo, l’allestimento si presenta come un prosieguo delle ricerche con le quali l’autrice di entrambi i progetti espositivi, quello inaugurato nel 2021 e quello attuale, Deborah Pustišek Antić, ambisce a sottolineare l’importanza dell’opera dei tre artisti austriaci diventata parte imprescindibile del patrimonio culturale fiumano.
L’allestimento propone tredici delicate figurine e oggetti di piccole dimensioni, ma lavorati con grande maestria e attenzione per i dettagli. Si tratta di oggetti preziosi che Klimt custodiva in una grande vetrina verniciata di nero visibile nelle fotografie del suo studio scattate da Moritz Nähr. Per quanto riguarda l’arte africana, alla mostra sono state esposte quattro figure risalenti alla fine del XIX secolo, mentre tra gli oggetti provenienti dal Giappone va rilevato un ciondolo di avorio e una scatoletta decorata con la complessa tecnica di laccatura shikki. Risale invece al periodo intorno al 1900 la scatoletta di legno decorata con il motivo di un paesaggio e colorata di rosso. Tra gli oggetti provenienti dalla Cina non possono mancare quelli con il motivo di Buddha e di Shou Lao, dio della longevità.

I netsuke (piccole sculture) giapponesi (XIX secolo)

L’antichità e i particolari «esotici»
Anche se nei nove dipinti allegorici realizzati dai tre artisti per l’allora Teatro comunale di Fiume, oggi “Ivan de Zajc”, domina lo spirito dell’antichità nella scelta dei temi e dei motivi, certi dettagli indicano l’influenza della cultura “esotica” egiziana e soprattutto africana. Come spiegato dall’autrice della mostra, lo si evince dall’inserimento del personaggio nero con un ventaglio di piume di struzzo nel dipinto di Matsch “Allegoria dell’arte della danza”. La curatrice Deborah Pustišek Antić collega gli eventi a Vienna dopo l’Esposizione mondiale del 1873, l’inaugurazione dello zoo viennese e la presentazione del patrimonio etnografico africano quale magnete per il pubblico interessato a temi esotici con i motivi che appaiono nelle opere di Klimt e di Matsch (il dipinto perduto di Klimt “La testa di un nero” e la rappresentazione di un africano nel dipinto “Allegoria dell’arte della danza”), grazie a cui viene per la prima volta spiegata l’insolita scena del dipinto fiumano.
Esponendo le statuette provenienti dalle culture dell’Estremo Oriente, l’autrice spiega la loro influenza sulla pittura di Gustav Klimt, il che permette di ampliare le conoscenze sulla la vita e l’opera del grande artista della secessione. Numerosi motivi “esotici” appaiono nei dipinti realizzati più tardi nella sua carriera, in primo luogo in forma di elementi decorativi. Nell’ambito dell’allestimento, l’autrice ha analizzato alcuni dei più celebri dipinti di Klimt individuando dei legami con i motivi tipici per l’arte cinese e giapponese.

Il ciondolo con la maschera “okame”

Uso abbondante dell’oro
Come spiega l’autrice della mostra, l’opera completa di Gustav Klimt comprende circa 250 lavori, mentre i dipinti più celebri sono quelli in cui fece uso abbondante dell’oro. A differenza dei dipinti “Il bacio” (1908) e “Ritratto di Adele Bloch-Bauer” (1907), nei quali dominano l’oro e i motivi decorativi simili ai mosaici bizantini, è poco noto che Klimt riempì gli sfondi dei suoi dipinti, soprattutto ritratti, e i vestiti dei suoi personaggi con elementi variopinti tipici dell’arte africana e quella dell’Estremo oriente. “Dalle lettere che inviava a Mizzi Zimmermann è noto che già all’inizio della sua carriera possedeva libri sull’arte giapponese che amava studiare durante i soggiorni sul lago Atter. I quadratini sul mantello di Adele, come pure l’applicazione diretta dell’oro sulla tela ricordano la tecnica giapponese di fissare l’oro sulla superficie utilizzando la lacca”, rileva l’autrice. Nella biblioteca privata di Klimt, ricorda Deborah Pustišek Antić, si trovavano, tra l’altro, anche titoli come “Le Japon Artistique” di Siegfried Bing e “I monumenti della scultura egiziana” di Friedrich Wilhelm von Bissing. L’artista era pure abbonato alla cartella “Japanische Erotik” pubblicata privatamente da Piper di Monaco di Baviera. Nell’edizione attribuita al collezionista e ricercatore Julius Kurth sono riprodotte 36 xilografie di autori giapponesi quali Moronobu, Harunobu e Utamaro. Hishikawa Moronobu (1613-1694) fu un celebre artista che utilizzava la tecnica nuihaku con la quale lamine d’oro venivano applicate sul dipinto. Suzuki Harunobu (1724-1770) spronò invece altri autori a dedicarsi alle stampe a colori che, come la doratura, era una delle preoccupazioni principali nella carriera di Klimt.

Le staffe cinesi (periodo Edo, XVII-XVIII secolo)

Le stampe giapponesi
Stando alla curatrice, già verso la fine degli anni ‘90 del XIX secolo Klimt inizia ad applicare elementi dalle stampe giapponesi che erano il frutto di una tradizione risalente al XVII secolo, in quanto queste immagini divennero molto popolari in Europa in seguito a diverse mostre alle quali venivano esposti oggetti e opere della cultura giapponese.
Come già rilevato, l’arte dell’Estremo Oriente esercitò una forte influenza sugli artisti francesi e fu di importanza essenziale anche per l’opera di Klimt, per cui nel 1909 egli andò a Parigi, la prima e l’ultima volta nella vita, dopo l’Esposizione mondiale a Vienna, alla quale esposero Matisse, Gauguin e Van Gogh. Questo è inoltre il periodo di passaggio dalla sua seconda, la cosiddetta “fase dorata”, all’ultima fase del suo percorso artistico: quella coloristica.

Samantabhadra Bodhidsattva sull’elefante

Lascito distrutto in un incendio
Per quanto riguarda gli oggetti collezionati da Klimt, questi come detto provenivano dalla Cina e dal Giappone, ma non si può escludere la loro origine coreana, indiana o indonesiana, osserva l’autrice. Dal momento che la maggiore parte del lascito di Klimt venne distrutto in un incendio dopo la morte dell’artista, è molto importante la testimonianza di un altro grande artista austriaco, Egon Schiele, che scrisse come il salotto del suo amico e maestro fosse pieno di stampe giapponesi, come pure che possedeva esemplari di abiti giapponesi e cinesi: “Ogni anno Klimt decorava il giardino della sua casa in via Feldmühlgasse con aiuole di fiori – era un vero godimento venire in quella casa tra i fiori e gli antichi alberi. Davanti all’ingresso si trovavano due belle teste modellate da Klimt. In casa si entrava prima nell’anticamera, dalla quale una porta immetteva nel salotto. In centro si trovava un tavolo quadrato, mentre intorno, una vicino all’altra, pendevano xilografie giapponesi e due dipinti cinesi, sul pavimento erano sistemate due statue africane, mentre nell’angolo vicino alla finestra si trovava un’armatura giapponese rosso-nera da samurai. Da questa stanza si entrava in altre due stanze dalle quali si potevano ammirare le rose. Dal salotto, la porta sul lato destro portava nella stanza in cui erano esposti due scheletri, dopodiché si entrava nella stanza nella quale si trovava soltanto un grande armadio che conteneva i più bei vestiti cinesi e giapponesi e da qui si entrava nello studio. Lì Klimt mi mostrò i dipinti ai quali stava lavorando”.
Il nuovo allestimento temporaneo nell’ambito della mostra “Il Klimt sconosciuto: amore, morte, estasi” si potrà visitare per i prossimi cinque mesi.

Figurina di uomo (nord-est africano, XIX secolo)

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