L’Adriatico orientale e i costumi tradizionali

Lo spunto per l’analisi etnografica è venuto da Giovanni Radossi, il quale ha invitato l’autrice Paola Delton a studiare le stampe dei costumi che egli stesso aveva iniziato a collezionare

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L’Adriatico orientale e i costumi tradizionali

I costumi popolari sono un simbolo importante della nostra cultura, indumenti che venivano indossati e che avevano una valenza ben più profonda dei capi d’abbigliamento di oggi. Esprimevano la condizione sociale della persona, il periodo dell’anno, l’occasione d’incontro, l’area geografica in cui viveva la persona e tanto altro. Il volume di Paola Delton, ricercatrice del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, che parla, appunto, dei costumi popolari dell’Adriatico orientale, è stato presentato ieri nel corso di un interessante incontro virtuale su Zoom.

 

Tra i numerosi interessati collegati al Webinar, Marin Corva, presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana, il quale ha salutato i presenti ringraziando l’autrice del volume, ma anche tutti coloro che hanno lavorato intensamente alla realizzazione della pubblicazione.

Accesso al patrimonio culturale
Tamara Nikolić Đerić, curatrice del Museo etnografico dell’Istria, nonché autrice della prefazione, ha parlato brevemente dell’importanza dell’approccio assunto dal CRS alle fonti visive del passato. L’immagine può essere fonte di conoscenza e mezzo di rappresentazione del passato, ha spiegato. Gli abiti tradizionali dalle Alpi dinariche, da Venezia fino alle Bocche di Cattaro ci parlano dell’eterogeneità della costa adriatica orientale. Non si tratta solo d’abbigliamento ma di costumi e oggetti caratteristici dipinti vicino alle persone ritratte. A ciascun individuo deve venire garantito il diritto all’accesso al patrimonio culturale e il CRS ha compiuto un grande passo in questa direzione, ha concluso Nikolić Đerić.

“La signora di Albona”

Analizzate 231 stampe
Le particolarità del volume e della ricerca che lo ha preceduto sono state esposte dall’autrice, Paola Delton, la quale ha spiegato che lo spunto per quest’analisi etnografica è venuto da Giovanni Radossi, allora direttore del CRS, il quale l’ha invitata a studiare le stampe dei costumi popolari che egli stesso aveva iniziato a collezionare. Nella catalogazione del materiale le è stato d’aiuto l’archivista Leandro Budicin, il quale ha fotografato o scansionato le 231 opere inserite nel volume. Si tratta soprattutto di incisioni a stampa e alcuni acquerelli raccolti a partire dagli anni Settanta, ma soprattutto dal 2000 in poi.
“Il volume da me scritto è in realtà una sorta di catalogo ragionato di questa collezione – ha spiegato Delton -. La maggior parte delle opere è incorniciata e arricchisce la collezione di carte geografiche e militari dell’archivio del CRS. L’area interessata dalla mia ricerca è in particolare quella della Carniola nord, Trieste, Bocche di Cattaro, il versante occidentale della regione balcanica o ancora Adriatico orientale. Si tratta dell’area definita da Egidio Ivetic ‘spazio di confine e di confluenza tra modelli di civiltà del Mediterraneo e d’Europa’ e ‘faglia in cui alle linee divisorie tra Romanità/Italia e Slavia e tra confessioni e religioni si è sommato per secoli il confine ‘duro’, politico, tra i domini di Venezia e l’Impero degli Asburgo e l’Impero ottomano’”.

Delton ha spiegato che la maggior parte delle opere racchiuse nel volume sono del XIX secolo con alcune eccezioni: due stampe di soggetti ragusei della fine del Seicento, alcune delle tavole a corredo del volume “Habiti antichi et moderni di tutto il mondo”, di Cesare Vecellio del 1590, alcune stampe apparse nel “Viaggio in Dalmazia” di Alberto Fortis (1774) e altre che riguardano alcune pubblicazioni del 1784-1787. L’Ottocento fu il secolo in cui il movimento romantico maturò la tesi che l’anima di un popolo si celi nella sua coscienza oscura e irrazionale. Da qui l’interesse di viaggiatori e studiosi per i costumi dei popoli dell’Adriatico orientale, ha illustrato Delton.

Volume diviso in due parti
La prima parte del libro è divisa in 19 gruppi nei quali le 231 opere vengono suddivise in base alla loro origine e alle loro caratteristiche. Ad esempio il primo gruppo comprende sette litografie nate come corredo iconografico dell’opera “Viaggio in Dalmazia” dell’abate Alberto Fortis, il gruppo numero sei è composto da quattro stampe firmate da Hippolyte Lecomte e datate 1819, il gruppo numero 18 comprende una serie di soggetti che non sono tra loro correlati.

La seconda parte del libro è, invece, la parte iconografica e comprende una scheda per ciascuna opera contenuta nel volume. Nella scheda sono inseriti il numero progressivo della stampa, il titolo, il numero di inventario dell’archivio del CRS, data, dedica, dati tecnici, editore o didascalie. Il volume si chiude con l’indice di tutte le opere in ordine alfabetico.

Guardare gli altri per vedere sé stessi
Delton ha offerto pure una visione personale del materiale analizzato, spiegando che ogni singola immagine può avere diverse letture e che il volume si limita a una lettura etnografica, mente si può guardare agli abiti pure con occhio artistico. Ovviamente, i piani di lettura si sovrappongono anche se pensiamo al lettore d’oggi, che nelle stampe troverà dei significati che non c’erano all’origine.
“Dietro a queste tavole – puntualizza l’autrice – c’è un osservatore e un osservato, un pubblico e un codice mediante il quale è avvenuta e avviene la trasmissione delle informazioni. Un sistema complicato che la cultura europea etnocentrica ha sviluppato sin dalla scoperta dell’America per riconoscere sé stessa attraverso la visione degli altri, che inevitabilmente hanno assunto caratteristiche proprie della cultura dell’osservatore. Le stampe sono dunque il risultato d’osservazione diretta o indiretta di soggetti che assurgono a rappresentazione di comunità, che talvolta sono costituite semplicemente da villaggi, talvolta da gruppi etnici molto più numerosi o nazioni”.

“Ciccia” di Adele Lenaz (1908)

Temi interessanti da esplorare
Nicolò Sponza, del Comitato editoriale del numero 78 del volume “La Ricerca”, ha preso la parola per presentare questa edizione di novembre e ribadire che la linea editoriale della rivista resta fedele a un approccio olistico. I contributi di questo numero mirano, infatti, a raccontare la complessa civiltà dell’Adriatico orientale. Tra i numerosi testi del volume il lettore potrà trovare un saggio che parla del bagno polese di Stoia (dal 1919 ad oggi) di David Orlović, un saggio di Lucia Moratto Ugussi, che parla del rinvenimento di uno stemma medievale in piazza delle Erbe a Buie, un saggio di Diego Han, in cui l’autore teorizza il fascismo e suggerisce di analizzarlo in territori più ristretti (concretamente la città di Rovigno). L’edizione si chiude con un notiziario che riporta gli avvenimenti del CRS, convegni, seminari, visite o altro.

All’incontro virtuale a porgere i saluti sono stati pure Maurizio Tremul, presidente dell’Unione Italiana, Raul Marsetić, direttore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno e Fabrizio Somma, segretario generale dell’Università Popolare di Trieste, i quali si sono congratulati con l’autrice per la realizzazione dell’opera.

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