LA RECENSIONE: Cesare Cremonini. La musica racchiusa in un romanzo

Il cantante condivide con il lettore la passione sfrenata per la musica, le inquietudini, la paura dell'amore, la schizofrenia e tutti i suoi mostri

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LA RECENSIONE: Cesare Cremonini. La musica racchiusa in un romanzo

Premesso che non amo la musica italiana se non rare eccezioni, sono cresciuta a pane e Phil Collins (quello di “In the air tonight”), “Al telefono” di Cesare Cremonini è stata una folgorazione. L’ho sentita per radio, in auto, la prima volta. Quando è uscito il suo libro l’ho divorato, perché di lui conosco quasi tutte le canzoni, sì è italiano, ma ha studiato e composto musica a New York, come Mario Biondi, del resto.
“Let them talk-ogni canzone è una storia” (Cesare Cremonini, Mondadori, pp. 227) è un titolo doppio, si riferisce sì ai testi, a come sono nate le sue principali canzoni, ma è anche riferito ai demoni contro cui in parecchi lottano. “Let them talk, lasciali parlare”, dice al musicista un medico che l’aveva preso in cura.
Cesare Cremonini, classe 1980, bolognese, figlio di un medico e di un’insegnante di lettere, raggiunge il successo con i Lunapop. La band italiana spara il singolo “50 special”, scritta da un Cremonini ancora minorenne.

 

Il libro, dedicato al papà Giovanni, ripercorre la vita di questo bambino prodigio al pianoforte, tanto bravo da esserne ossessionato, nato in una famiglia colta ma a cui la musica non importava più di tanto. Ma importava a lui e non era l’unico della sua band a essere minorenne. Nicola “Ballo” Balestri, per raggiungerli deve chiedere l’autorizzazione scritta ai suoi. Loro gliela negavano e lui una sera, per fuggire da Cesare e gli altri, si lanciò dal balcone con un ombrello come Mary Poppins a fargli da paracadute. Finì all’ospedale. I suoi compagni di band e il capo Ce’, non poterono dormire quella notte, si scompisciarono dalle risate.

Ma il lato oscuro si mangerà per un periodo la testa di Cremonini, che lotterà contro i suoi demoni, chissà, l’ossessione della musica, il successo arrivato troppo presto, assieme a un sacco di denaro, troppo forse a quell’età. Infatti, quando a casa arrivò per posta il bollettino Siae per “50 speciale”, resoconto primo trimestre, l’ammontare era 60 milioni di lire. I suoi rimasero muti. Fino ad allora avevano preso forse come un gioco quella che per Ce’ era una passione.

“I più sensibili, i predestinati, sono bambini malati di nostalgia. (…) Il problema è che se la nostalgia, restando chiusa troppo a lungo, diventa schizofrenia, allora il dolore mentale può essere infinito”, scrive Cremonini a pagina 176. Lui ci è andato molto vicino al mostro, come lo chiama lui. Non per niente non è uno da canzonette, Ce’. Di solito ha intere orchestre per tante sue canzoni. Sai che mazzo per comporne una, sai che tapparsi in casa, non sai se è notte o giorno, mangi a qualunque ora, non dormi mai. A scrivere canzonette sono capaci tutti. Ma la bravura è un’altra cosa. E Cremonini è davvero bravo, “Al telefono” ha un’acustica, una musicalità, un timbro che qualunque altro cantautore italiano se li sogna.

Cremonini è bravo e corretto. Nelle ultime pagine del suo libro – viaggio nella sua mente mette in guardia dai furbi, dagli impostori, dalle canaglie, dagli avidi e dai nani di cuore, stupenda quest’ultima definizione, quelli, credo io, del “sì, vorrei amare, ma giusto un tanto, non mi devo rovinare, sai, la moglie, la famiglia…”. Dice di lasciarli tutti a cuocere nel loro brodo.

Cesare Cremonini oggi è un bellissimo ragazzo di 40 anni, lui sì che ne dimostra meno. Ha una ragazza di 15 di meno (il minimo sindacale, nda). le sue canzoni sono uniche, sono musica, sono storie, curate, lanciate come stelle cadenti, come lo sono le pagine di questa sua opera prima.

“Scrivere serve soprattutto a questo: a non dimenticare chi sei”. Una via di mezzo tra Svevo e Leopardi. Anche come animo. Per questo si vive come disadattati quando si è troppo bravi. Dei geni. Quando si sa che è tutto un’illusione, ma di quest’illusione, di cui siamo consapevoli, abbiamo bisogno per vivere (Nieztsche), per uscirne vivi da questa vita che da lontano sembra una commedia e vista da vicino è una tragedia (Chaplin).

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