Istria Nobilissima. «Vivo, penso e scrivo in dialetto rovignese»

È stato conferito a Libero Benussi il primo premio nella Categoria Letteratura - Premio «Osvaldo Ramous» per la Sezione Saggi di argomento umanistico o scientifico

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Istria Nobilissima. «Vivo, penso e scrivo in dialetto rovignese»

Nell’ambito della LIII edizione del Concorso d’Arte e Cultura Istria Nobilissima, il primo premio nella Categoria Letteratura – Premio “Osvaldo Ramous” per la Sezione Saggi di argomento umanistico o scientifico è stato assegnato a Libero Benussi per la “Bibliografia delle opere in dialetto rovignese”. Il lavoro di Benussi è stato premiato “per la ricchezza e l’utilità dell’impianto scientifico e per la documentazione proposta”, secondo quanto enunciato nel comunicato ufficiale del Concorso promosso dall’Unione Italiana.

 

 

Studioso della cultura istroromanza
Libero Benussi, scrittore, ricercatore e professore di chimica, ora in pensione, presso la Scuola Media Superiore Italiana di Rovigno, è uno dei più importanti studiosi della cultura istroromanza e del dialetto rovignese al giorno d’oggi. Oltre alle ricerche inerenti alla tradizione letteraria del rovignese, ha pubblicato numerosi saggi, racconti e raccolte di versi, molti dei quali hanno ottenuto premi e riconoscimenti internazionali. La “Bibliografia” di Benussi è un’ingente raccolta di opere letterarie del dialetto rovignese, alle quali sono stati aggiunti i vocabolari e i manuali di lingua dedicati a questa secolare parlata istroromanza. Si tratta di una collezione preziosissima dell’eredità di una tradizione culturale secolare che rischia l’estinzione e che solamente grazie all’impegno di storici e studiosi come Benussi può essere salvaguardata.

Nell’intervista rilasciataci, l’autore ci ha esposto brevemente i lavori contenuti nella “Bibliografia”, soffermandosi sulle particolarità del dialetto rovignese e sulle mutazioni che la parlata ha subito nel corso della storia. Ripercorrendo il materiale bibliografico adoperato nella stesura del lavoro, Benussi ci ha illustrato l’enorme quantità di lavori sulle quali si è basata la ricerca. Infine, lo studioso ci ha parlato dei progetti in fase di completamento ai quali sta lavorando.

Quali emozioni ha suscitato l’assegnazione del premio di Istria Nobilissima?
“A me interessava redigere una bibliografia quanto mai completa di tutti i lavori che sono stati scritti e pubblicati, per la maggior parte, in dialetto rovignese. Sono complessivamente 535 le opere pubblicate in rovignese o con scorci in rovignese. Quindi, è stato molto bello ricevere il premio. Mi ha fatto piacere soprattutto perché ho percepito la stima della commissione che ha saputo apprezzare questo lavoro”.

La sua ricerca si è basata su diversi vocabolari e manuali di dialetto rovignese pubblicati nel corso degli anni. Di quali opere si tratta?
“Innanzitutto, uno dei lavori più importanti è il ‘Vocabolario del dialetto di Rovigno d’Istria’, redatto nel 1992 da Giovanni e Antonio Pellizzer, di 1.150 pagine, con più di 20mila vocaboli trattati. Nel 2013, per mano mia e con l’aiuto di mia moglie, è stato invece redatto il ‘Vocabolario italiano-rovignese’, con circa 26mila voci e altre 3.000 voci, in appendice, che i Pellizzer avevano lasciato fuori dal loro lavoro. Nel 2015 ho pubblicato la ‘Grammatica del dialetto di Rovigno’, una grammatica completa, di 250 pagine, con esempi tratti dai lavori e dai saggi in dialetto rovignese, e che comprende, oltre alla parte dedicata alla sintassi e alla morfologia, un elenco di tutti i verbi rovignesi, (sia regolari, sia irregolari) con la loro coniugazione e con la spiegazione di come vengono utilizzati.

Quest’ultima, in particolare, è utile specialmente per gli alunni delle scuole elementari e medie superiori, soprattutto perché vengono spiegate alcune particolarità del dialetto rovignese, come ad esempio gli pseudodittonghi”.

Quali sono invece le opere letterarie contenute nella «Bibliografia»?
“Gli autori che io ho riportato sono 140, le cui opere sono state pubblicate. Si tratta di poesie, racconti, drammaturgie, e diversi saggi, sia quelli attinenti al retaggio linguistico rovignese (che riportano vocaboli e modi di dire in dialetto rovignese), sia quelli scritti completamente in rovignese.

Poi ci sono delle monografie, tra cui ‘Odore di casa’ di Santin Giovanni, ‘Li stuorie’ di Elia Benussi; dei bozzetti folkloristici di Giovanni Pellizzer e Giusto Curto; e la mia raccolta ‘Preîma d’el sul a monto’ (Prima del tramonto), edita dall’EDIT”.

Per redigere la «Bibliografia» ha dovuto svolgere un ingente lavoro di ricerca. Quali sono state le fonti da cui ha tratto i lavori e dove sono stati pubblicati precedentemente?
“Ho consultato, innanzitutto, le pubblicazioni del Centro di ricerche storiche di Rovigno che, oltre al ‘Vocabolario del dialetto di Rovigno’, ha pubblicato la ‘Terminologia marinaresca di Rovigno d’Istria’ di Antonio Pellizzer, la ‘Terminologia agricola dell’istro-romanzo a Rovigno, Valle e Dignano’ di Giovanni Malusà e la ‘Toponomastica di Rovigno d’Istria’ di Giovanni Radossi (che era stata pubblicata, in parte, anche nell’Antologia di Istria Nobilissima). In aggiunta, ho riportato i lavori de ‘La voce della famìa ruvignisa’ (il bimestrale degli esuli, attivo da più di 50 anni) e alcune pubblicazioni della Scuola Media Superiore Italiana di Rovigno (come le opere del concorso ‘Favalando ala ruvignisa’, ovvero poesie, saggi e qualche lavoro in prosa). La produzione letteraria è stata promossa e pubblicata in numerose edizioni finora: la Battana (dell’EDIT), l’Antologia delle opere premiate al Concorso Istria Nobilissima, i mensili della Comunità degli Italiani ‘Pino Budicin’ di Rovigno, mensili che hanno riguardato circa una quindicina d’anni (cinque annate di ‘Sottolatina’, tre annate de ‘I suoni faviela’ e altre cinque di ‘Valdabora’), e molti altri lavori ancora. Si tratta, in ogni caso, di una grandissima mole di testi, alcuni dei quali risalgono anche al 1850”.

Nel corso della storia, i dialetti mutano al pari delle lingue letterarie. Quali cambiamenti ha percepito, durante gli anni, nel dialetto rovignese?
“Sicuramente il rovignese è mutato molto.
È cambiato soprattutto perché sono sparite le vecchie arti e i vecchi mestieri, e, di conseguenza, tantissimi vocaboli sono andati persi. Ho svolto dei lavori di ricerca sulla letteratura in rovignese che riportano le terminologie specifiche di diversi settori e mestieri. Sono cose che i giovani ormai non conoscono più, poiché sono cambiati tutti questi mestieri. Poi è anche vero che il dialetto è stato arricchito di alcuni neologismi, che però vengono storpiati. Per esempio, per ‘telefono’ diciamo ‘taliefono’, oppure il ‘semaforo’ lo chiamiamo ‘samaforo’ o addirittura ‘farmaforo’, ‘la tilivision’ per dire ‘la televisione’… Ecco, questi sono i neologismi che purtroppo sono inevitabili. È interessante notare che questa nostra parlata dell’istrioto era stata evidenziata come cruda, e con un accento crudele, già da Dante nel ‘De vulgari eloquentia’ nel capitolo XI del libro I. È una particolarità che conoscevo e che ho inserito anche in una poesia. Purtroppo, a scuola, tutte queste cose non si insegnano ed è un peccato, perché questa storia, che riguarda i nostri dialetti, è la ‘nostra’ storia”.

Ha già in programma dei nuovi progetti?
“Mi piacerebbe pubblicare una raccolta delle opere scritte per il teatro di Giusto Curto. Alcuni dei suoi lavori sono stati depositati al Museo civico di Rovigno, dei quali mi ero procurato le fotocopie, così negli anni me li sono studiati. Purtroppo, per pubblicarli bisogna innanzitutto trascrivere e correggere l’ortografia (è importante sottolineare che Giusto Curto ha agito ancora prima che uscisse il ‘Vocabolario’ dei Pellizzer). Poi ho una raccolta di racconti in dialetto rovignese che vorrei pubblicare, sono racconti della mia infanzia. In più, ho delle testimonianze inedite dei miei concittadini, che mi hanno raccontato cose della guerra, del dopoguerra, fatti e fattacci, tutto quello che non è ancora stato pubblicato. Mia moglie dice che dovrei vivere 500 anni per finire tutti i progetti che ho in piano. Ma per me, questa è una grande soddisfazione.

Io vivo, penso e scrivo in dialetto rovignese.
Molto spesso si tende a sminuire il dialetto, si parla di questi nostri dialetti autoctoni istroromanzi in una forma riduttiva. Io però non voglio che il nostro retaggio culturale vada perso.
Lasciare una testimonianza… non possiamo fare altro che lasciare una testimonianza di noi stessi e della nostra esistenza, della nostra storia”.

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