“L’italiano e la sostenibilità” è il tema quadro della 23.esima Settimana della lingua italiana nel mondo che il Consolato Generale d’Italia a Fiume celebra in condivisione con gli enti e le istituzioni del territorio. Uno dei tre appuntamenti polesi, il primo, è stata la lectio magistralis “Il fantasma dell’Adriatico. La scrittura dei luoghi e della natura in Pasolini” che Sergia Adamo ha sviluppato per una platea di studenti del Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Pola.
Un mare dimenticato
“Letteratura e natura, narrativa e ambiente: Pier Paolo Pasolini è meno evocato in questo contesto, è certamente visto come lo scrittore della città, della cultura, che sembrerebbe aver già passato la fase della natura per rivolgersi appunto a un ambiente che è già abitato, culturale, incapace di ritornare indietro alla dimensione naturale – ha esordito Adamo – ma in realtà mi sono resa conto che va rivalutato e valutato a partire da una dimensione territoriale adriatica sempre trascurata, tanto è vero che sembra un mare periferico e spesso dimenticato nella sua importanza culturale”. Per scoprire il mare in Pasolini occorre procedere a ritroso, e tornare agli anni della prima produzione letteraria, gli anni della formazione, nel 1946, quando pubblicava un articolo per un giornale udinese che rimarrà a lungo sconosciuto, “Di questo lontano Friuli”, dal quale emerge l’inciso in forma interrogativa: “quel biancore, non sai se di fumi o di polvere, forse è il fantasma dell’Adriatico?” Prendendo a spunto questa immagine letteraria così evocativa, Sergia Adamo passa in rassegna quelle che saranno appunto le descrizioni dei paesaggi pasoliniani nelle diverse forme di rappresentazione tra realtà e immaginario.
Tre fasi diverse
Siamo negli ultimi anni in Friuli e i primi anni romani, anni importanti, che segnano profondamente la sua esperienza e la sua opera poetica, gli anni “in cui sta facendo i conti con la scrittura, la poesia, la narrativa, gli anni in cui sta costruendo la sua officina letteraria e cerca di riappropriarsi di una vita che la guerra ha lasciato in sospeso”. La critica concorda che sono appunto le descrizioni dei luoghi, del paesaggio, i momenti più elevati della complessa produzione letteraria pasoliniana, una e trina se s’insiste a tracciare le tre fasi e distinguerle: quelle della descrizione, quella della narrazione e quella infine dell’esposizione, che sarà sempre la più problematica e la più dibattuta. L’Adriatico di Pasolini è dapprincipio una figura spettrale, cupa, misteriosa, temibile, inafferrabile, amorfa e tuttavia generatrice di vita e quindi inevitabilmente causa di morte. “Lo spettro semantico è quello dell’eccesso”, prosegue Adamo e passa in rassegna il lessico che dipinge il paesaggio: sgradevole, violenza, rigidità, disturbo, fastidio, disagio, anemico seno, stoffa smarrita, vecchio Adriatico, turchino ammuffito, bava di masse equoree senza fine, e poi ancora pericolo, spettralità, elemento primordiale, elemento femminile per eccellenza, come Medea, figura materna per antonomasia perché dona e toglie la vita.
Un’eternità
Il mare di Pasolini è un mare anteriore alla presenza umana, è ciò che si dà per esistente prima di essere pensato e contemplato, nel senso di una “planetarietà antecedente, eterna e superiore che precede l’uomo, lo contiene e lo travolgerà”, un ambiente, insomma, che “non è dato in possesso all’uomo ma che l’uomo, ciò nonostante, tiene in ostaggio”. Questo l’insegnamento pasoliniano sulla cultura emergente dalla natura come “avanzo di barbarie”, cultura contingente e non necessaria, accidente e non sostanza. La lectio magistralis è stata introdotta dai saluti e dai discorsi di circostanza del console generale d’Italia a Fiume, Davide Bradanini, dal vicesindaco di Pola, Bruno Cergnul e da Fabrizio Fioretti del Dipartimento di Italianistica.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.