«Il direttore d’orchestra è l’avvocato di fiducia del compositore»

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«Il direttore d’orchestra è l’avvocato di fiducia del compositore»

FIUME | L’opera francese, dopo il successo del “Werther” di Massenet, è nuovamente al centro dell’attenzione al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc”, dove sono in corso le prove per “Romeo e Giulietta” (Roméo et Juliette), di Charles Gounod, una coproduzione dell’ente teatrale fiumano con il Teatro Alighieri e la Fondazione Ravenna Manifestazioni, la cui première fiumana è in programma il prossimo 12 gennaio. L’immortale storia d’amore degli amanti di Verona si avvale di due Romeo e di due Giuliette: la produzione di Ravenna vedrà nei rispettivi ruoli i giovanissimi Margarita Levchuk e Jesús Álvarez, mentre in quella di Fiume avremo modo di sentire Anamarija Knego e Aljaž Farasin. Nella “parte fiumana” della coproduzione, la cui regia è firmata da Marin Blažević, partecipano anche Ivana Srbljan, Dario Bercich, Slavko Sekulić, Marko Fortunato, Sergej Kiselev, Robert Kolar e Luka Ortar.

L’Orchestra dell’Opera è diretta, invece, dal Mº Paolo Olmi, profondo conoscitore della lirica e illustre professionista che nel corso della sua brillante carriera, iniziata nel 1979, ha avuto modo di dirigere quasi tutti i titoli verdiani, come pure opere di Puccini, Mozart, Donizetti e Giordano. Il Mº Olmi, classe 1954, ha diretto opere e concerti in tutto il mondo (Tokyo, Berlino, Parigi, Chicago, Madrid, Lisbona, Venezia, Roma, Milano, Barcellona, Pechino, Shanghai), mentre sotto la sua direzione si sono esibiti solisti come Severino Gazzelloni, Salvatore Accardo, Uto Ughi, Maria Tipo e cantanti come Angela Gheorghiu, Maria Guleghina e Alfredo Kraus, per nominarne soltanto alcuni.
Nella sua ricca biografia un anno importante è il 1988, in cui fu il primo direttore d’orchestra italiano a esibirsi in Cina – a Shanghai e Pechino – dove tornò nel 1998 per l’inaugurazione del Teatro grande di Shanghai, in collaborazione con il Teatro Comunale di Firenze. Nel 2009 venne invitato a dirigere un allestimento speciale de “La Traviata”, in occasione del 50º anniversario della Rivoluzione cinese. Dal 1990 al 1993 è stato direttore principale e consulente artistico dell’Orchestra di Roma della Rai. Dal 2002 a oggi, è visiting professor presso la “Guildhall School of Music and Drama” di Londra. Ha creato l’Orchestra dei giovani europei, conosciuta nel mondo come Young musicians european orchestra. Interlocutore colto e cordiale, il Mº Olmi ci ha presentato in maniera approfondita l’opera “Romeo e Giulietta” e la concezione artistica sulla quale poggia la coproduzione Fiume-Ravenna.

Per la prima volta a Fiume

“Questa è la prima volta che mi trovo a Fiume, anche se sono già stato in Croazia in vacanza – esordisce il Mº Olmi –. Fiume ricorda molto Trieste. Ho letto tanto di questa città e di questa zona della Croazia, è una parte del mondo della quale so tanto, ma che non ho mai visto finora. Sapevo già che qui esistesse una Comunità nazionale italiana, anche se non mi rendevo conto in che modo le vostre attività si realizzassero, quanti fossero gli appartenenti alla minoranza. Ero a conoscenza dell’esistenza della CNI anche perché quando vado all’estero faccio sempre contattare le rappresentanze italiane per contattare la comunità italiana locale. L’ho fatto di recente anche a Hong Kong, dove ci sono pochissimi italiani.
Per quanto riguarda la collaborazione con il teatro ‘Ivan de Zajc’, si tratta di una storia un po’ particolare. Io abito a Ravenna, anche se non ci sono nato (il Mº Olmi è nato a Terni, nda), e, pur avendo diretto opere in tutto il mondo, tranne al Metropolitan di New York, non mi è mai capitato di dirigere un’opera in forma scenica nella mia città. Ho diretto svariate volte opere in forma di concerto. Così il teatro della mia città, che è molto ben organizzato, mi ha chiesto di allestire un’opera per la prima volta. Da parte mia, volevo che fosse un’occasione un po’ particolare, dal momento che non lo avevo fatto prima. Ma prima di tutto, volevo che consentisse a quelli che mi conoscono a Ravenna, non soltanto ad amici e conoscenti, ma anche a coloro che non hanno mai visto un’opera, di accostarsi per la prima volta a un melodramma. Infatti, sono convinto che tutti, se si accostano senza alcuna preparazione a qualsiasi opera, purché valida, ne rimangano affascinati. Quindi, per me era essenziale che questo avvenisse. A cominciare dai bambini. Per questo motivo, ciò che mi serviva era una storia che si potesse raccontare. Perché l’opera è quello: sentire raccontare una storia. L’opera non è – o almeno lo è in una piccola parte – andare a sentire come canta il tenore, a giudicare, o andare a vedere che novità ha fatto il regista: la prima cosa è sentire una storia.

Una storia forte

Quindi, mi serviva un’opera con una storia forte, che doveva comunque essere una nuova produzione. Infatti, l’opera è come la religione. Per sopravvivere non deve essere uguale a sé stessa. Le regole che permeano le religioni oggi, ad esempio nella religione cristiana-cattolica, sono molto diverse da quelle di mille anni fa. Dove questo non succede c’è l’integralismo, che è un male. È un male per l’opera quando questa non cambia, come è un male per la religione. Con una di queste regole che abbiamo oggi rispetto a cent’anni fa, con il cinema, Internet, la televisione, è impensabile che si metta in scena Giulietta che ha cinquant’anni, anche se ha una bellissima voce. Nessuno l’accetterebbe. I miei figli che hanno trent’anni e che frequentano l’opera da quando avevano sei mesi, quando in certe produzioni notano queste contraddizioni non lo accettano. Facendo così, si cambia l’attitudine. Romeo non è un eroe. È un ragazzo di sedici anni che muore suicida. Se ne ha quaranta, gran parte del suo comportamento non è più plausibile, diventa una specie d’eroe che canta come tale. Quando Romeo e Giulietta iniziano a cantare, si deve capire che hanno un’età differente dagli altri.
Questa è una delle opere più impegnative perché richiede quattordici cantanti. Per questo motivo siamo ricorsi a una coproduzione, in quanto un solo teatro non ha la forza per realizzarla da solo. Avevo un amico che era in contatto con il Teatro di Fiume e abbiamo pensato di raggiungerlo in quanto si tratta di un ente molto dinamico. Inoltre, la città sarà Capitale europea della cultura nel 2020 (noi abbiamo perso per un’inezia la capitale europea 2019), per cui abbiamo instaurato una collaborazione. Inoltre, questo teatro ha un’orchestra, un coro, le scenografie e anche una troupe di cantanti stabili, cosa che in Italia non esiste, dai quali in collaborazione con il teatro ne abbiamo scelti alcuni per questa produzione, mentre altri sono stati ingaggiati fuori dall’ensemble teatrale.
L’opera l’ho scelta io, anche se nessuno la voleva fare. Si tratta di una produzione difficile che richiede quattordici cantanti. Dicevano che il pubblico non avrebbe apprezzato lo sforzo. Però, con il tempo si sono convinti.”

Com’è concepito l’allestimento dal punto di vista della regia, in quanto ormai da anni nel nostro teatro va di moda fare delle trasposizioni delle opere nell’epoca contemporanea?

“Questa non è ambientata in epoca contemporanea. È una trasposizione astratta, ma non in un’epoca particolare. Non si vede il balcone di Giulietta. La regia e la scenografia sono molto funzionali e semplici, anche perché dovremo trasportare il tutto a Ravenna dopo quattro repliche a Fiume. Quindi, non possiamo allestire una scenografia troppo complicata. D’altro canto, non possiamo dire che i teatri oggigiorno hanno pochi soldi e poi spendere tutto per la regia e la scenografia. Questa regia occupa pochi mezzi – quelli giusti – e viene dalla somma di due teatri. Si tratta di una scena minimalista.”

È giusto insistere sempre sul minimalismo visivo, nonostante l’opera sia un’arte completa che comprende sia l’aspetto visivo, sia quello musicale?

“A questo punto è necessario fare una riflessione. Quando è nata l’opera, che è stata inventata a tavolino (sappiamo i nomi degli inventori), nessuno si aspettava né che sarebbe stata così diffusa nel mondo, né che sarebbe durata più di 400 anni. ‘Romeo e Giulietta’ non è un’opera conosciuta come ‘Il flauto magico’ o l’‘Aida’, o ‘La Bohéme’, ‘La Traviata’ o la ‘Carmen’, che sono le opere più rappresentate al mondo. Però, è una storia conosciuta. È un’opera che merita di essere messa in scena con più frequenza. Ora, lei immagini che ogni tre o quattro anni qui si faccia ‘Romeo e Giulietta’ con il medesimo allestimento. È impensabile che ogni cinque o dieci anni si rifaccia una nuova ‘Traviata’. Se l’allestimento non ha dei riferimenti visivi molto precisi, tutto si lascia all’immaginazione. Quando, ad esempio, nel terzo atto dell’‘Aida’ vengono rappresentate le rive del Nilo e si sente la preparazione orchestrale molto complessa, ciò che si dovrebbe vedere sono la riva del Nilo, le dune, le palme e le stelle. Ma oggigiorno, che impressione potrebbe fare una scena del genere, se questa non viene realizzata con tantissimi soldi per risultare credibile? Questo oggigiorno non si può fare. Fino alla metà della mia carriera, allestimenti simili si facevano, ma costavano tantissimo. Noi oggi dalla scena ci aspettiamo di più. Perché oggigiorno in scena mancano in genere gli attrezzi? Perché intanto è una cosa molto complicata e poi, se uno sa che in quel punto dell’opera deve accadere sempre la stessa cosa, ciò diventa prevedibile, il che non va bene per l’arte. L’arte, anche quando si ripete, non deve essere così prevedibile. Questa non è una spiegazione assoluta, bensì parziale alla sua osservazione.”

Come si trova a lavorare con l’Orchestra dell’Opera e con i solisti?

“Mi sento molto bene. Questa è una partitura con la quale nessuno ha dimestichezza. Non è un’opera italiana, non è Wagner, si suona poco, per cui abbiamo dovuto provare molto sia con l’orchestra, che con i cantanti. Questo tipo di prove musicali del direttore con i cantanti senza scenografia non si fanno tanto, per diverse ragioni. Una di queste è il tempo, che è sempre scarso, l’altra sono i costi. Comunque, il lavoro maggiore che investo nella produzione è quello con i cantanti, perché quando sono preparati molto bene dal direttore d’orchestra e dagli assistenti e quando comunque hanno provato tanto – quindi quando ci conosciamo molto bene – risulta molto più semplice lavorare. Tutti i giorni prima di cominciare le prove trascorro un’ora o due da solo con i cantanti e il pianoforte.
Nessuno è preparato alle opere di Gounod perché non si fanno mai. Si fa soltanto il ‘Faust’ che, a mio parere, non è l’opera meglio riuscita di questo compositore. Io ho scelto ‘Roméo et Juliette’ perché è una delle mie opere preferite. Chiedo tante cose in più che non sono scritte, ma credo che siano implicite nella partitura. È questione di una logica e di una necessità.”

Com’è la musica di Gounod in quest’opera?

“Gounod fu un grande studioso. Scrisse tanti trattati dei quali noi oggi ci serviamo quando studiamo composizione. Lo dico perché ci sono altri compositori giganteschi, come Verdi, che però all’inizio della loro carriera non avevano un grande sapere. Verdi fu quasi un autodidatta, non era a conoscenza della musica che c’era intorno a lui, nelle altre nazioni, e soprattutto della musica che ci fu prima. Altri avevano studiato molto di più. Gounod fu uno di quelli sapienti. Gounod fa tesoro di tutta la musica che conosceva, a cominciare da Bach e Mozart. Dico questo perché molto spesso nella sua opera, stranamente, ci sono molte reminiscenze dello stile classico e dello stile barocco, che non ci aspetteremmo. Ma anche dello stile sinfonico. Mi occupo sia di repertorio sinfonico che di quello lirico e cerco sempre di mettere insieme le due cose, ed è per questo che quest’opera mi piace tanto. Uno dei suoi maggiori pregi è la sceneggiatura, il taglio, perché mette in scena il famosissimo testo di Romeo e Giulietta, di Shakespeare, in modo drammatico. Questo melodramma inizia con un brevissimo preludio, seguito subito dopo da un coro a cappella che canta in uno stile della musica del Cinquecento. Il coro racconta la storia delle due famiglie rivali di Verona, dell’amore tra Romeo e Giulietta, ma la sorte ha voluto che i ragazzi morissero. Quindi, siamo di fronte a un antefatto. La regia ha preso un suggerimento, secondo me molto giusto, che l’opera inizierà con un flashback: i giovani sono già morti. Immediatamente dopo il coro segue una fuga orchestrale. Nell’opera le fughe sono rarissime: c’è la celeberrima fuga del ‘Falstaff’, ma anche un fugato nel ‘Macbeth’ di Verdi e questo è più o meno tutto. Gli eventi si susseguono rapidamente per giungere alla scena del matrimonio. Si tratta di una scena molto curata, si fa attenzione alla liturgia. L’opera alterna alle parti tragiche e poetiche anche delle parti spiritose. La drammaturgia è molto chiara.”

Lei ha diretto tantissime opere. C’è qualche compositore che preferisce?

“Ho diretto quasi settanta titoli differenti. Direi che sono due i miei compositori preferiti: Mozart e Verdi. Per quanto riguarda le opere, ‘La Bohème’ e ‘Madame Butterfly’ di Puccini sono quelle che amo tantissimo. Però, tra le prime opere in assoluto colloco ‘Le nozze di Figaro’ di Mozart. Se finisce il mondo e dobbiamo mandare nello spazio un’opera, la mia scelta cadrebbe sulle ‘Nozze di Figaro’ perché essa contiene tutto. C’è la musica, la scena, la comicità, la tristezza, il testo di Da Ponte. Nella storia dell’opera è successo pochissime volte che il testo dell’opera avesse la stessa qualità della musica. Veniva sempre prima la musica e poi le parole. È successo con Boito e Verdi, con Richard Strauss e Hofmannstahl e con Mozart e Da Ponte.
Mi sono affezionato a ‘Romeo e Giulietta’ tanti anni fa perché quando abitavo in Francia mi avevano invitato a Hong Kong a dirigere a un Festival francese della musica e l’ho dovuta studiare. Studiando mi sono accorto di quanto mi piaceva. È una delle opere che sento di più. Ci ho pensato tanto, per cui credo che i miei consigli ai cantanti siano validi. In generale, durante l’allestimento di un’opera, i cantanti hanno bisogno di indicazioni. Mi dispiace che negli ultimi vent’anni il ruolo del direttore d’orchestra sia un po’ diminuito. I direttori d’orchestra italiani sono abituati a svolgere anche questo ruolo. Lo faceva anche Mahler quando era direttore alla Staatsoper di Vienna. Il direttore ha una sua visione dell’opera che parte dal testo musicale, che viene prima del testo drammaturgico. È lì che sta la verità. La musica le fa capire subito se in un duetto d’amore i due amanti siano sinceri o no. La musica viene prima, per cui è il direttore d’orchestra che prima di tutti gli altri deve dire ai cantanti come deve essere ciascun personaggio. Dico sempre che il direttore è l’avvocato di fiducia del compositore. È lui che tutela il suo interesse. Nell’ambito della musica, la maggior parte delle cose non sono scritte, per cui bisogna pensare molto bene a come impostare un allestimento. Mi piace molto questo ruolo. I teatri spesso non hanno il tempo di fare questo lavoro, ma si tratta di un aspetto che le orchestre e i solisti apprezzano. Inoltre, non è possibile dirigere l’opera, perlomeno l’opera italiana, se non si conosce bene la lingua italiana e se non si è appassionati di teatro. Le due cose non vanno separate.”

Ha detto di avere una visione dell’opera e un’idea di come si dovrebbe cantare un determinato ruolo, però anche il cantante ha una propria visione. Come si sposano le due visioni?

“Spero che nessuno si offenda, ma sono ruoli differenti. Diciamo che il direttore d’orchestra ha una visione completa dell’opera, mentre il cantante si concentra su una sola parte e non può vedere tutto.”

Con quali cantanti ha sempre collaborato bene?

“Ce ne sono parecchi, ma vorrei dire che anche oggi collaboro benissimo con i cantanti giovani. Fra quelli della prima parte della mia carriera devo menzionare José van Dam, che ha costruito la sua carriera con Karajan, però uno dei ruoli da solista della sua vita l’ha preparato con me: Guglielmo Tell nella versione francese nel 1988. Anche lì avevo le mie idee. Era la prima volta che ‘Guglielmo Tell’ si dava in francese in Francia. Ero chiamato a sostituire un collega molto famoso. All’epoca non avevo valutato un fatto molto importante, e cioè che in Francia è più amato Rossini rispetto a Verdi. In Italia è il contrario. Van Dam sapeva che sarebbe stata una cosa importantissima per i francesi sentire il loro compositore italiano preferito cantato in francese. C’è stato poi anche Ruggero Raimondi, con il quale ho preparato il ‘Mosè in Egitto’. L’abbiamo allestito a Roma, ma tutti gli altri cantanti e il regista lo avevano già fatto in precedenza a Pesaro. La nostra visione non era uguale. Siccome Raimondi viveva a Bologna ed io a Ravenna, tante volte è venuto a casa mia per lavorare all’opera. Si trattava di una produzione con un cast stellare, con i migliori cantanti del mondo all’epoca. Era una fortuna che con Raimondi mi conoscessi molto bene perché a piano a piano siamo riusciti a trovare una forma di sintesi.”

I giovani sono interessati all’opera?

“I giovani dovrebbero frequentare di più l’opera, ma non lo fanno per colpa dei teatri. Oggigiorno, i teatri fanno pochi titoli perché non hanno soldi. Lei tenga conto che ci sono dieci o dodici opere storiche: ‘Rigoletto’, ‘Trovatore’, ‘Aida’ e via dicendo. Invece, accade che per vent’anni un’opera storica non venga rappresentata. Al suo posto, invece, viene allestita un’opera moderna più esigente, dopo la quale un giovane non vuole più ritornare a teatro. Le opere storiche sono quelle con le quali i giovani possono imparare ad amare la lirica. Ci sono teatri in Italia che sono sempre pieni e altri che sono sempre vuoti. Tutto ciò dipende dalla programmazione. Se uno porta un bambino di dodici anni a un’opera giusta è impossibile che non gli piaccia. Valutiamo quante persone seguino l’opera oggi e quante la seguivano in passato. Molte più persone la vedono oggi. In Cina aprono ogni anno due teatri nuovi. L’opera si sta diffondendo in Asia, che diventa sempre più importante in questo campo. Se vogliamo conservare la nostra cultura bisogna che si investa. Direi che in Croazia le cose funzionino meglio in campo teatrale. In Italia, per esempio, non ci sono teatri con orchestre e cori stabili e, inoltre, molti teatri sono costretti a chiudere. L’opera ha il vantaggio che cambiando pochissime cose si rigenera.”

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