Debutta a Spalato «Montecchi e Capuleti»

Nonostante la lunga tradizione letteraria e i numerosi riferimenti storici il TNC di Spalato non è riuscito a dare lustro all’opera belliniana

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Debutta a Spalato «Montecchi e Capuleti»
L’inchino finale. Foto: DAMIANO COSIMO D’AMBRA

Al TNC di Spalato è stata percepita una grande trepidazione tra il pubblico, in vista della rappresentazione dell’opera belliniana “Capuleti e Montecchi”. L’opera, composta tra il gennaio e il marzo del 1830 in due atti dal “Cigno catanese” Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani, è tratta dal dramma “Giulietta e Romeo” di Luigi Scevola. La prima esecuzione in assoluto avvenne in Italia al Teatro La Fenice di Venezia il giorno 11 marzo del 1830. L’opera “Capuleti e Montecchi” documenta specifici periodi storici, letterari e della storia della musica appartenenti esclusivamente alla vita e cultura italiana.

Un fondamento storico
Le origini letterarie delle famiglie Capuleti e Montecchi si possono riscontrare già nelle opere di Dante Alighieri, che parla di “Montecchi e Cappelletti”. Il Sommo poeta nel canto sesto del Purgatorio, nei versetti 106-108 scrive: “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi uom sanza cura: color già tristi, e questi con sospetti!” In questi versi Dante descrive le casate di Montecchi e Cappelletti, della città di Orvieto, ridotte a mal partito e proiettate verso un’imminente decadenza. Secondo alcuni studiosi la famiglia di Romeo era di origine veronese e ghibellina, mentre la famiglia di Giulietta era cremonese ed era guelfa. Altre fonti storiche inquadrano la vicenda a Verona nel 1303. Dante Alighieri, esule da Firenze era ospite presso la Signoria degli Scaligeri con la reggenza cittadina di Bartolomeo I della Scala a Verona tra il 1303 e il 1304. Nel periodo in cui Dante soggiornò a Verona, Bartolomeo I della Scala cercava invano di fare pace tra la casata ghibellina dei Monticoli e la casata guelfa conosciuta come quella di Del Cappello, legata ai conti di San Bonifacio. La vicenda parla della faida tra la casata Monticoli di Romeo e quella dei Del Cappello di Giulietta, esistenti e residenti nella città di Verona. In realtà Dante nel sesto canto del Purgatorio è preoccupato a descrivere e la situazione politica frammentata dell’Italia tra il 1250 ed il 1300 in cui vi erano lotte intestine tra Comuni e Signorie, tra Guelfi divisi in Bianchi e Neri e Ghibellini. Il poeta, appartenente ai Guelfi Bianchi e in contrasto con i Guelfi Neri, auspicava per l’Italia l’arrivo di una figura unificatrice che mettesse fine a tutta la complessa e confusa situazione politica italiana, nonché di un Papa che si limitasse a detenere esclusivamente il potere ecclesiastico e spirituale.

Fonte d’ispirazione letteraria
Nella letteratura la storia dei due amanti sfortunati era molto popolare e nel 1476 è presente in un racconto scritto da Masuccio Salernitano, in cui viene narrata la storia di Mariotto e Ganozza, ambientata a Siena. Nel 1531 il capitano vicentino Luigi da Porto scrive in un’opera “Novellamente ritrovata” di due nobili amanti con la loro pietosa morte avvenuta già al tempo di Bartolomeo I della Scala. La storia di da Porto fu trasformata in un poema attribuito allo scrittore Gerardo Boldieri e nel 1544 la storia di Romeo e Giulietta compare come novella numero IX in un Novelliere scritto da Matteo Bandello. Questa opera letteraria ebbe una grande fama in Europa con versioni scritte in spagnolo nel 1590 da Felix Lope de Vega y Carpio ed in inglese da Arthur Brooke nel 1562 e da William Painter nel 1569. È chiaro, dunque, che William Shakespeare trasse il soggetto della sua opera dalla novella di Matteo Bandello.

Un’opera nata quasi per caso
L’opera di Vincenzo Bellini fu scritta in circostanze del tutto casuali. Il compositore alla fine dell’anno 1829 era presente a Venezia per la rappresentazione di una replica di una sua opera del “Pirata”. Il Teatro La Fenice aveva in cartellone programmato per i mesi del nuovo anno 1830 un’opera commissionata a Giovanni Pacini, che per problemi di sovraccarico di impegni non riuscì a finire la composizione. Il Teatro si rivolse a Bellini chiedendogli di comporre una nuova opera avendo a disposizione solo un breve arco di tempo. La proposta fu accettata dal compositore catanese e dal suo librettista Felice Romani, che si misero subito al lavoro ispirandosi al libretto di “Romeo e Giulietta” di Giuseppe Foppa, tratto dalla novella di Matteo Bandello, musicato da Nicola Zingarelli nel 1796.
Felice Romani utilizzò anche un suo libretto scritto per l’opera “Romeo e Giulietta” musicato da Nicola Vaccai andato in scena nel 1825 alla Scala di Milano. Il librettista per non creare un libretto simile alle opere citate creò un testo nuovo apportando numerosi tagli. All’inizio del libretto scrive un “Avvertimento” allo spettatore, spiegando di aver diviso l’opera in quattro parti scandite da tre pause nelle quali lo spettatore è invitato a lasciar correre la fantasia per colmare le lacune nella trama. Bellini completò l’opera in un mese e mezzo lavorando con grande dispendio di energie che danneggiò la sua salute.

Numerose innovazioni musicali
L’opera presenta elementi musicali di modernità per l’opera ottocentesca frapposti a elementi musicali che fanno parte della tradizione settecentesca dell’Opera lirica italiana. Il ruolo di Romeo, dunque, non è destinato a un tenore, come nell’Ottocento, ma è affidato al ruolo femminile del mezzosoprano seguendo i codici tradizionali settecenteschi del belcanto. Il compositore per mancanza di tempo ricompose e rimaneggiò musicalmente alcuni suoi brani riprendendoli dal suo manoscritto dell’opera “Zaira” che ritirò dalle scene dopo il fiasco subito a Parma nel 1829. Molte idee musicali derivano dalla sua prima opera “Adelson e Salvini”, trasformata in una bellissima aria cantata da Giulietta. La prassi compositiva dell’autoprestito era anche una tradizione musicale dell’opera settecentesca, che per tradizione era più attenta ad esprimere “gli affetti”. In questo modo uno stesso brano creato per un personaggio poteva essere utilizzato più volte per altri personaggi nuovi. Al contrario nell’opera ottocentesca romantica il brano non poteva esser utilizzato in diverse occasioni perché delinea esclusivamente l’individualità e la psicologia di un singolo personaggio. Nella partitura dell’opera si nota anche che Bellini crea musicalmente molti passi in cui è presente il “crescendo” in stile rossiniano, come dedica personale al grande compositore Gioacchino Rossini. La novità assoluta nella struttura della composizione belliniana è il finale II in cui il compositore fa cantare i protagonisti del dramma psicologico con passi in recitativo e intense sezioni ariose. Il finale in quell’epoca suscitò grande sconcerto tra il pubblico ed i protagonisti in scena e per un lungo periodo il finale secondo fu sostituito con il finale dell’omonima opera di Nicola Vaccai. L’opera di Bellini è molto amata perché è melodiosa e con lo stile inconfondibile del bel canto.

Distacco dallo stile belliniano
Al TNC Spalatino l’opera è andata in scena per la prima volta in assoluto. I cantanti in scena erano Josipa Gvozdanić (Romeo), Nela Šarić (Giulietta), Sam Furness (Tebaldo), Božo Župić (Capellio), Mate Akrap (Lorenzo). Il coro e l’orchestra del TNC di Spalato sono stati diretti da Ivo Lipanović che si alternerà al giovane direttore Davor Kelić. La preparazione del coro è stata affidata a Veton Marevci, la regia a Hrvoje Korbar con la scenografia di Zdravka Ivandija Kirigin ed i costumi di Barbara Bourek. Grande successo dei cantanti, la maggior parte al loro debutto. Per quanto riguarda la parte orchestrale, in molti momenti è mancata la riproduzione dello stile belliniano. Molti accompagnamenti del canto erano troppo precipitosi, non adeguati al rapporto tra il significato delle parole e della musica. Assente anche la dinamica del crescendo rossiniano che compare in molti punti dell’opera, trasformato in un accelerando fuori dal contesto della tradizione stilistica e compositiva settecentesca, nonché intellettuale italiana.

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