«Alla finestra della vita» dalla mente al cuore con Isabella Flego

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«Alla finestra della vita» dalla mente al cuore con Isabella Flego

Come se un desiderio sopito si fosse risvegliato in Isabella Flego, con l’urgenza di chi interroga il proprio specchio per sapere come mettere insieme in un quadro coerente i pezzi della propria vita, per rintracciare la trama di fondo della propria storia. È infatti poesia largamente autobiografica e intimista, che sottintende lo spessore meditativo, colta nella vicenda dell’esistenza storica, quella dell’ultima sua silloge che potrebbe prendere il titolo dal primo componimento “Alla finestra della vita”, in cui fin da subito si dichiara la poetica: la parola è una forza rivelatrice e rigeneratrice che mai ci abbandona in quanto strumento di verità, atto di contemplazione e di preghiera. Il potere germinale delle parole, riconfermato e potenziato attraverso le letture, è una scoperta che risale alla prima infanzia, ai pensieri che si arricchivano nelle pagine del libro di Alice, le cui meraviglie “strappavano la miseria di dosso”, mentre il profumo delle lettere zittiva la fame e conciliava il sonno.

La chiave per capire il presente

Ma cosa si fa “alla finestra della vita”? Si affida alla parola poetica la descrizione e la comunicazione del cuore che rimanda al passato. Noi siamo fatti di tempo e siamo fatti soprattutto di tempo passato che è tutto concentrato nella memoria. E cos’è il passato per Isabella? È la chiave per capire il contemporaneo. Anche quando Isabella parla dell’oggi, si misura a ogni passo con il passato e con esso si concilia pienamente. Tutta la raccolta è fondata sulla circolarità che porta al confronto tra il tempo presente e quello passato, tra tenerezza e nostalgia. Sì, c’è nostalgia, i “suoni di parole” “nel ricordo sono soltanto nostalgia”. Nostalgia è una parola carica di suggestione. Deriva dal gr. nóstos ‘ritorno’ e -algia, “dolore del ritorno”. La nostalgia è dunque la sofferenza – una sofferenza modesta, però, come di dolcezza affilata – provocata dal desiderio inappagato di ritornare, ma è anche desiderio di conoscenza e di ricerca, di superamento di pericoli e prove. È l’eterno movimento della vita, l’eterno ritorno delle cose in attesa del giorno in cui la parola avrà voce per rivelare, contro ogni inganno, le proprie radici: “risuonerà il coro delle radici,/memoria e preghiera,/per non dimenticare il proprio nome”.

L’antidoto alla nostalgia

Ma ritornare dove? A qualcosa che si è perduto, a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, desiderio di persone che non ci sono più, voglia di ripetere i momenti di libertà assoluta dalle pastoie delle “schegge di ore diurne” e di esorcizzare quelli infausti, sbagliati, assurdi. Ma Isabella è in grado di risolvere il paradosso nostalgico, perché conosce l’antidoto alla nostalgia. L’antidoto è la poesia. Grazie alla poesia le cose ritornano, danno il senso – non più della perdita – ma di quell’eterna ciclicità di cui tutti facciamo parte e a cui tutti tendiamo: è l’eterno ritorno. Beninteso è un nostos simbolico questo viaggio di ritorno che Isabella compie nella sua mente e mediante il quale il tempo passato si congiunge a quello presente, nella speranza di trovare una sintesi futura all’approssimarsi del “porto ignoto”. È il tema con variazioni lungo tutta la silloge. La nostalgia si presta alla pratica della scrittura poetica, permette di ricreare un mondo visto e vissuto intensamente attraverso forme espressive capaci di evocarlo, di mostrarlo, di renderlo presente. Un mondo che oggi va di gran fretta, che della fretta ha fatto un valore, valido certamente per gli oggetti, treni e aerei, ma che mal si adatta agli esseri umani. È un’epoca veloce perché non ha il tempo di ricordare e provoca la scissura tra interno ed esterno, la discrepanza tra la poetessa e il mondo, fra l’anima e l’azione. E allora il viaggio mentale di ritorno espresso nei versi è capacità di colmare la scissura per sanare il dolore che la nostalgia inevitabilmente produce.

Nella sera della vita

Ricordare non significa tenere a mente, sapere a memoria le date di tutto quello che è accaduto. Ricordare ha incorporato il cuore – cor – nel verbo stesso. Ciò vuol dire che per la poetessa il passato significa portare al cuore ciò che ha nella mente. Tutti i temi della Flego attraversano il cuore, quelli della vita quotidiana, degli affetti familiari, delle suggestioni della natura, dell’incontro sensibile con sé stessa e con gli altri nella comune e spesso difficile battaglia esistenziale. Emerge con insistenza il tema del ricordo collegato per lo più alla rievocazione del paese materno e dei luoghi dell’infanzia. Nella sera della vita è dolce il ritorno all’infanzia, che avvolge come un tenero abbraccio “per trastullarmi nel nido dei ricordi/avviluppato con carezze di verbi”. Nelle pieghe del cuore si sono rintanati massime e proverbi che contrastano la svalutazione delle idee e l’assenza di riferimenti ai valori etici della memoria, depositaria della saggezza degli anziani, fonti preziose, esplicatrici dei segreti e delle verità profonde della vita, testimonianze autentiche ma disperse, private ormai del brio e della mimica che le accompagnavano un tempo ormai troppo lontano e da troppo pochi oggi condiviso.

La potenza delle parole

Molti sono i momenti di riflessione e di illuminazione poetica legati a un’occasione, a un ricordo di ciò che si è vissuto, a una realtà concreta che suscita specifiche emozioni. Molti sono i versi dedicati alla madre che “squarciava le nubi” della sua infantile ingenuità, figura per eccellenza della nostalgia, ricordata con dolcezza e grande affetto. Il ricordo lancinante del padre – “cigno nero” – la cui immagine sfocata nel cerchio chiuso del “tenebroso splendore” della miniera, suscita un’inalterata commozione interiore. Grazie alla memoria nutrita di tanti affetti, anche la morte – presente quale condizione umana ineliminabile – va affrontata con sereno coraggio e raccolta meditazione. Anzi, nominare è dar vita alle persone, è opera di creazione e continua ricreazione di un passato ricco di insegnamenti esemplari, di cui la poetessa va fiera. È fiera del lavoro di sua madre, di quello di suo padre nella buia miniera, fiera della loro fatica, dei loro sacrifici e perfino della povertà stessa.
Le parole mantengono intatto il loro potenziale anche quando ricreano l’antico abbraccio, sono capaci di “avvertire in quell’abbraccio/ciò che le mani possono dire./Perché le mani parlano”, sono capaci di fare dell’indicibile (“ciò che è profondo/rimane in silenzio”) un possibile prolungamento leggibile/udibile. Il registro stilistico subisce una mutazione quando, costeggiando le metamorfosi del vissuto, la poetessa mette in luce quelle inquietudini e quelle asprezze relazionali che le provocano incomprensioni e turbamenti, senza, tuttavia, farle perdere il forte senso della propria identità: “sono cambiata è vero/modellata dalla realtà/come fossi di plastilina/con un Io e suo unico carattere/che mi determinano dando senso all’esistenza”.

Il senso della vita

Perché non tutto è cielo stellato. Ci sono versi che risentono dei toni bui e drammatici del momento post bellico e danno l’immagine della bambina che mette in sequenza tutte le vicende di quegli anni: i giovani prigionieri tedeschi, biondi, belli, occhi azzurri, tristi; le offese recate all’umanità dalla paura, dalla guerra, dalle ristrettezze economiche, dall’ingiustizia, da una vita agra; e poi, il grande “no” destinato a negare la diversità, che lascerà un segno profondo nell’adolescenza; e poi, l’abbandono della casa natale unitamente ai fuochi fatui lungo il Canal d’Arsa e alle canzoni dei merli: “Nei miei occhi le finestre dischiuse/sul giorno colmo d’infinito/dalla commozione bagnato/per dover passare un portone sconosciuto”. Fino alla coscienza del negativo perenne, della bestia innominabile che l’uomo si porta dentro, e allora la denuncia si fa necessaria perché la ragione rifiuta il male “in questo mondo ammorbato/sulla via dello sfascio”, per mantenere saldo il senso della vita. Quel senso sempre riscattato dall’energia dello spirito, che non si piega a servilismo né a implorazione di misericordia, ma libera e purifica la materialità dell’esistenza e fa riacquistare valore alla vita, che continua con severa dignità.
In ultima analisi, sono versi attraversati da una straordinaria positività della vita, sempre permeata da una poetica e intensa partecipazione emotiva che, in questo senso, non si limita ad affermare solo sé stessa ma, al contrario, dà spazio agli altri, nessuno escluso, di quelli “pieni di luce /che mi trasmettono energia” e con sorrisi umani, rasserenanti e portatori di quiete aiutano a ridare un senso all’esistenza che, grazie all’energia soccorritrice e creatrice dello spirito, dissolve nell’amore per la vita ogni margine di incertezza.

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