Uljanik, arriva un’altra fumata nera

Il Consiglio dei creditori ha detto ancora una volta «no» alla vendita delle quote alla ceca CE Industries

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Uljanik, arriva un’altra fumata nera
Il destino del cantiere navale continua a essere incerto. Foto: SLAVEN BRANISLAV BABIC/PIXSELL

Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi. Battisti cantava la paura di un uomo di dichiarare il suo amore alla persona che è riuscita a fargli dimenticare la ex, perché pensa di poter rivivere la stessa brutta esperienza dell’essere lasciati. In un gioco delle associazioni, ci ritroviamo a canticchiare la canzone di riflesso all’indecisione del Consiglio dei creditori dell’Uljanik a vendere le quote alla ceca CE Industries. Ieri, il Consiglio dei creditori ha detto “no”. E quindi si cercherà un nuovo proprietario attraverso un tender internazionale. Ha pesato la decisione dello Stato, mentre i cantierini Samir Hadžić e Neven Radolović, nonché il sindacalista Boris Cerovac e l’Agenzia per i crediti dei lavoratori avrebbero voluto l’alienazione. Guardando alla lunga, il “no” sarebbe più un “ni”, nel senso che semplicemente si apre ad altri la possibilità di fare shopping cantieristico. Potrebbe succedere, azzardiamo noi, che nessuno si faccia avanti e che la CE Industries seplicemente si stufi di questo tiraparaemmolla. Il Gruppo si era rivolto direttamente allo Stato per rilevare le quote – lo Stato, lo ricordiamo, è il proprietario di riferimento –, offrendo in cambio 155 milioni di kune, che ora dovrebbero diventare 20,584 milioni di euro. E ancora almeno 75 milioni di kune, ovvero 9,960 milioni di euro, di capitale aggiuntivo a copertura del rosso e per stabilizzare la gestione. Quello che la CE Industries vorrebbe mettere nel piatto è la fenice Uljanik 1856, sorta sulle ceneri dello stabilimento navalmeccanico in fallimento. Ma detto per inciso, non è un volo in alta quota, quello di questa cinerea fenice.

Lo Stato che, come detto, nel Consiglio dei creditori del Cantiere in fallimento detiene la maggioranza, l’anno scorso, in estate, aveva deciso che avrebbe ceduto il 54,77 delle quote societarie attraverso un invito pubblico e a un costo non inferiore a 208,3 milioni di kune. L’offerta del Gruppo ceco è quindi sotto di 50 milioni di kune.
Il Gruppo di Jaroslav Strnad aveva inoltrato dapprima una lettera d’intenti per l’acquisto delle quote, il 18 ottobre dell’anno scorso, alla qual cosa aveva fatto seguito un’offerta d’acquisto vincolante con i numeri che abbiamo detto, al di sopra del valore nominale di detta quota (di una ventina di milioni di kune), ma 50 milioni in apnea in confronto al costo sotto il quale lo Stato aveva tirato una linea. Dell’offerta della CE Industries si era discusso già a metà dicembre dell’anno scorso, alla precedente seduta del Consiglio dei creditori. E prima ancora ne avevano trattato il Ministero dell’Economia, quello delle Finanze, il CERP (Centro per la Ristrutturazione e la vendita) e la Procura di Stato, per arrivare in Consiglio con una posizione in merito all’alienazione. I ministeri competenti non erano riusciti a trovare una linea di condotta e alla domanda “Vogliamo vendere?”, in sede di Consiglio la risposta era stata più o meno “Non lo sappiamo. Ci serve tempo”. Il bello è che i supplementari avrebbe significato sforare i termini di validità dell’offerta. Si è ovviato dopo che la CE Industries aveva detto “OK. Proroghiamo la validità dell’offerta; pensate pure”. In effetti aveva accettato su richiesta del ministro Davor Filipović. La stiamo un po’ romanzando, ma i numeri e la procedura sono cose così asettiche! Bene: il 15 dicembre si era detto che il tempo sarebbe stato di 30 giorni e ora, 30 giorni dopo praticamente si è laddove si era a metà del mese scorso. Bisogna considerare pura un’altra questione: quando il Consiglio dei creditori aveva deciso che si sarebbe messo il cartellino “Vendesi”, anzi, “Sell”, trattandosi di un invito a carattere internazionale, il curatore fallimentare, Loris Rak, aveva immediatamente avviato la procedura. L’offerta diretta della CE Industries aveva fatto tirare il freno a mano all’asta. Che ora praticamente riprende corso.

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