Scoglio Olivi. In offerta la nave… incompiuta

Entro la fine del mese il Ministero della Pianificazione ambientale, Edilizia e Patrimonio statale dovrebbe mettere in vendita l’unità 531, ancora da assemblare e ormeggiata nello stabilimento navalmeccanico polese. Avrebbe dovuto essere adibita al trasporto di rotabili

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Scoglio Olivi. In offerta la nave… incompiuta
Tempi di vendite allo stabilimento navalmeccanico Scoglio Olivi. Foto: Srecko Niketic/PIXSELL

Entro la fine del mese il Ministero della Pianificazione ambientale, edilizia e patrimonio statale dovrebbe mettere in vendita l’unità 531, la nave incompiuta ancora in pezzi da assemblare parcheggiata nell’area dello stabilimento navalmeccanico Uljanik Brodogradnja 1856. Una volta finita, sarebbe stata una ro-ro, ovvero una nave per il trasporto di rotabili. Ora che non è affatto finita si riduce a 7.000 tonnellate di sezioni navali, altre 3.400 tonnellate di lamiere e altro di acciaio. Tradotto, 12.000 tonnellate di materiale vario, pesante e ingombrante che porta bene al cantiere, meno bene allo Stato. Zagabria, infatti ha versato al cantiere 1,063 milioni euro a titolo di spese di giacenza.

Acquistata per un euro
Lo Stato, per tramite del Ministero delle Finanze, era diventato proprietario del puzzle 531 nella primavera del 2021, acquistandolo all’asta elettronica, la quarta in ordine di tempo, che aveva messo la costruzione in vendita al prezzo di 1 euro. Ci aveva fatto un pensierino anche la Metis, azienda che si occupa della raccolta-riciclo. Lo Stato aveva fatto valere, nella contesa, il suo diritto di prelazione e sborsando un euro, si è metaforicamente portato a casa 12mila tonnellate di metallo. A venderlo ne avrebbe ricavato poco più di un milione di euro. Intanto quasi uno l’ha speso per la giacenza e in effetti aveva pagato più di 1 euro in quanto era stata trattenuta anche parte della garanzia ed erano state calcolate le prime spese di giacenza, come legge prevede.
Ma era stato un affare comunque, poiché nel procedimento fallimentare, l’unità 531 era stata valutata 9,6 milioni di euro. Al contempo il Ministero vantava ipoteche per oltre 45 milioni di euro. Una storia un po’ ingarbugliata.
L’intento era, acquistata l’unità, di trasformarla in nave fatta e finita, ma ormai è lampante che di questo non se ne farà proprio nulla. A inizio anno, a febbraio, per la precisione, il governo aveva incaricato il Ministero della Pianificazione ambientale, Edilizia e Patrimonio statale di predisporre quanto necessario per l’alienazione di questo peso morto. Resta da vedere quanto lo Stato cercherà di ricavare. Dovrà tenere conto anche dei costi che gravano sull’unità e relativi a imposte, spese doganali e altro.
Dal singolare al… generale o quasi. In settembre si deciderà anche delle quote societarie che lo Stato detiene dell’Uljanik Brodogradnja 1856.

Monetizzazione delle quote societarie
Lunedì prossimo al Tribunale commerciale di Pisino (ore 12.30) si riunirà per la… mah, sta diventando difficile tenere il conto, dunque, si riunirà per l’ennesima volta il Consiglio dei creditori di Scoglio Olivi, per decidere le modalità di monetizzazione delle quote societarie nell’Uljanik Brodogradnja 1856, un’araba fenice dalle ali tarpate nata sulle ceneri dello storico stabilimento navalmeccanico. Ali tarpate poiché il nuovo, ridotto impianto non solo non riesce a sollevarsi almeno un po’ da terra o dal mare, come preferite, ma si ritrova zavorrato dai debiti e insolvenza.
Di nuovo vetrina con cartellino (quello del prezzo), per il 54,77 p.c. delle quote societarie. Nella prima tornata, l’ottimistica speranza (ma le speranze sono sempre improntate all’ottimismo, no?) era di incamerare 27,64 milioni di euro. Dopo avere gentilmente rifiutato l’assegno da 20,57 milioni offerto extra vendita all’asta dal Gruppo CEI Industries di Jaroslav Strnad, che per rilevare il pacchetto aveva bussato direttamente alle porte dello Stato (proprietario delle quote, naturalmente), offrendo 20,57 milioni di euro e l’aggiunta di un’ulteriore decina di milioni da investire nell’ammodernamento e cose così. Si era preferito imboccare la strada del tender internazionale, che aveva dato modo agli interessati di studiare a fondo lo stato di salute del cantiere nel corso della due diligence. Ma dopo avere rivoltato lo stabilimento, i suoi conti, le commesse, insomma tutto quello che c’era da guardare, nessuno aveva inoltrato un’offerta obbligatoria.
Forse bisognava ricordare il detto “chi troppo vuole, nulla stringe” o “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, ma è facile giudicare con il senno di poi. Sta di fatto che la prima vendita è andata male, poi nel secondo tentativo il cartellino di vendita recava la cifra 13,83 milioni di euro. Quattro milioni in meno di quello che è il valore nominale della metà e un pezzettino delle quote societarie. E di nuovo gli interessati avrebbero potuto visitare il cantiere (non con le prerogative della due diligence) e incontrare la dirigenza per eventuali dettagli, ma non si era presentato nessuno. “Il mercato non ha manifestato interesse”, aveva detto nell’occasione il curatore fallimentare, Loris Rak. Ma, ad essere sinceri, questo lo si era capito.
Che cosa succederà lunedì? Ormai non resta altro che restringere ulteriormente il prezzo. E riprovare. Sia come sia, è già sconfitta. Non per chi vorrà acquistare, adesso o dopo ulteriori tagli, ma per chi vende e per chi aspetta l’assegno per vedersi onorare il dovuto. ad esempio i cantierini.

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