Pola. La metamorfosi dell’ex orfanotrofio

La Casa delle forze armate ha ospitato la conferenza finale del progetto «Ruža»

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Pola. La metamorfosi dell’ex orfanotrofio
La conferenza conclusiva dell’europrogetto “Ruža”. Foto: DARIA DEGHENGHI

Due milioni di euro spesi in quattro anni tra l’aprile 2019 e il maggio 2023, per ristrutturare, adeguare, arredare ed equipaggiare una decina di unità immobiliari collocate in sei siti e due località, ma anche per riformare due istituzioni governative: il Centro famiglia e l’ex Istituto “Ruža Petrović” che offre accoglienza e assistenza a orfani e bambini maltrattati o trascurati. Si è trattato di un europrogetto ad amplissimo respiro, probabilmente uno dei più importanti in campo socio-sanitario degli ultimi anni e tuttavia uno dei meno esposti all’interesse dai mass media. Con la conferenza finale a conclusione del progetto “Ruža” si è cercato di ovviare anche a questo errore. I suoi obiettivi, gli strumenti, i percorsi e i risultati sono stati presentati al pubblico alla Casa delle forze armate di Pola da Davorka Belošević e Mladen Kosanović rispettivamente dirigente e psicologo dell’ex Istituto che nel frattempo ha cambiato denominazione in “Centro servizi alla comunità” perché nella transizione in corso stanno cambiando anche le sue funzioni, gli strumenti e le strategie assistenziali.

La famiglia alternativa
L’obiettivo quadro della metamorfosi è stato quello di frammentare un istituto monolitico, erede dei vecchi orfanotrofi, in una serie di piccole unità abitative organizzate, pensate per simulare la famiglia, di cui i ragazzi sono stati loro malgrado privati. Si chiama “deistituzionalizzazione” dei servizi assistenziali indirizzati ai minori e serve a spazzare via di scena il classico “casermone” col refettorio e le camere che sanno appunto di “istituto” per creare piccoli nuclei ispirati al modello familiare composti da tre a cinque ragazzi di età compatibili e complementari, affiancati dai rispettivi educatori che staranno loro accanto giorno e notte, a turni. Il vantaggio sembra banale ma non lo è affatto: nella casa-famiglia i ragazzi hanno più incombenze domestiche a cui badare, devono partecipare alla preparazione dei pasti e al mantenimento in ordine degli ambienti, possono imparare a cucinare e a stirare, a prendersi cura delle proprie cose con maggiore autonomia, per cui le relazioni assumono una dimensione più intima rispetto all’istituto. Uno dei maggiori vantaggi della deistituzionalizzazione – come ha fatto notare Kosanović nella sua relazione – è la riduzione del numero e della gravità dei conflitti che si moltiplicano in progressione con l’aumento degli assistiti che condividono una stessa abitazione. In passato l’Istituto “Ruža Petrović” di Veruda ha avuto anche 60 ragazzi sotto lo stesso tetto, e in condizioni simili è chiaro che gli attriti tendono a inasprirsi fino a degenerare in aperta conflittualità. L’altro scopo della transizione istituto-centro è la deistituzionalizzazione nel senso proprio del termine, che significa essenzialmente due cose. Trasferire il maggior numero possibile dei ragazzi in famiglie affidatarie e lavorare direttamente in famiglia con i genitori, aiutarli a crescere i propri figli evitando così di separarli anche solo provvisoriamente.

Il ruolo dei genitori
Ovviamente una qualche forma di istituto dovrà restare immutata – spiega lo psicologo – perché ci sarà sempre bisogno di salvare un bambino dalla violenza domestica e da altre forme di maltrattamento, abuso o trascuratezza. Per tutti questi casi, gravi abbastanza per intervenire con un’ingiunzione di allontanamento, l’istituzionalizzazione avrà sempre un ruolo importante nell’obbligo della società di salvare il bambino da degrado fisico, psicologico e morale. Tuttavia vi sono casi in cui il ruolo dei genitori può essere per così dire “aggiustato” con un lavoro paziente di assistenza, consulenza e sorveglianza. Ci sono genitori che semplicemente non hanno mai imparato a fare i genitori, famiglie in preda alla povertà ma anche madri e padri con scarse competenze genitoriali. Per tutti questi casi, allontanare il bambino da casa non è la soluzione migliore e allora scattano i programmi di accoglienza diurna per uno o più giorni la settimana da quattro a sei e da sei a dieci ore al giorno. E anche per questo che la sede centrale di via Pino Budicin è stata ristrutturata e attrezzata diversamente, con più spazi adatti ai programmi diurni e meno camere da letto. Inoltre la separazione dei gruppi in piccole unità familiari e l’appartamento condiviso si è rivelato utilissimo per continuare a seguire i giovani dopo il conseguimento della maggiore età. Se infatti un tempo il processo di formazione dell’individuo adulto poteva dichiararsi concluso in concomitanza con i 21 anni, oggi, con le necessità di frequentazione dell’università, è necessario che lo Stato continui a seguire i ragazzi senza famiglia fino ai 26 anni d’età.

Le sede e i restauri
Piuttosto, come sono stati impegnati i mezzi forniti dall’UE (1,75 milioni su complessivi 2 milioni di euro del valore complessivo del progetto)? Lo ha spiegato per fino e per segno la direttrice Davorka Belošević. Intanto la sede centrale di via Budicin a Veruda è stata ristrutturata solo parzialmente (il primo e il secondo livello) perché l’UE impegna i propri fondi solo a favore della deistituzionalizzazione. Ciò significa che il resto degli interventi va a carico del governo secondo una tempistica propria. In parallelo è stata ristrutturata anche la dépendance in giardino. La sede centrale accoglierà nel pianterreno il Centro Famiglia e nel resto degli ambienti le tre categorie di accoglienza: 12 ragazzi con vitto e alloggio completo dai 7 ai 18 anni, e altri 15 ragazzi per il programma diurno a metà orario o a orario pieno sempre dai 7 ai 18 anni. In via Nobile sono stati arredati tre appartamenti della superficie abitativa complessiva di 198 metri quadrati. Gli alloggi sono stati messi a disposizione dalla Città di Pola per un periodo di 15 anni e saranno abitati da comunità formato famiglia da tre individui l’una. In via Tesla è stato ristrutturato e arredato un alloggio da 84 metri quadrati di proprietà del Centro (avuto in dono di privati). Sarà abitato da cinque ragazzi in età compresa tra i 16 o 18 e 21 anni. Un altro alloggio avuto in dono è un monolocale di 28 metri quadrati situato in un condominio di via Divković, ristrutturato per accogliere una donna in procinto di parto (o una neo mamma col neonato), oppure un genitore single col suo bambino piccolo. Infine, a Rovigno sono stati ristrutturati, arredati e attrezzati ambienti per l’accoglienza di ragazzi della zona e la consulenza alle famiglie. A quando il trasferimento? A partire da gennaio del prossimo anno, a scaglioni. Una parte dei ragazzi, lo ricordiamo, è ancora alloggiata negli ambienti provvisoriamente adattati allo scopo nel vecchio ospedale a padiglioni di via Zagabria.

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