Vini Arman. Una storia di successo

Risale al 1850 l’avvio della produzione del «nettare degli dei» da parte di questa famiglia a Narducci. Oggi è la settima generazione a occuparsi di quest’attività, come ci hanno confermato i nostri interlocutori

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Vini Arman. Una storia di successo
I vigneti degli Arman. Foto: DENIS VISINTIN

Tradizione, esperienza e qualità sono sinonimi di successo. E sono elementi che raccontano pure il percorso della famiglia Arman e della “Franc Arman Winery”. La loro è una storia che dura ormai dal lontano 1850, a quando, nella penisola istriana, risalgono le prime tracce dell’oidio e della peronospera, malattie che, assieme alla ben più pericolosa fillossera, hanno rischiato di cancellare per sempre la vitivinicoltura europea e stagionale. Così non è stato grazie all’allora nascente scienza agronomica.

Gli inizi
Fu in quell’anno che cominciò l’avventura vitivinicola della famiglia Arman, che oggi continua con Franc e Oliver Arman. È Franc a raccontarci questi inizi e a riassumerci gli ormai 172 anni di questa splendida storia, in cui il vigneto ha rappresentato l’essenza della loro esistenza e talvolta della stessa sopravvivenza. “La famiglia Arman giunse a Narducci, che sotto l’Italia si chiamava Villa Pastori, dal villaggio di Iermani, sotto Grisignana. Un antenato si era sposato qui, con una minorenne, abbiamo conservato il contratto di matrimonio”, ci ha raccontato Franc mostrandoci, con orgoglio, il documento, del 1850, incorniciato e appeso sul muro della sala di degustazione. Risale dunque a quell’anno la presenza degli Arman a Narducci. L’antenata era una Pastorcich, Pastorelli sotto l’Italia. “Così è iniziata la nostra storia a Narducci, io rappresento la settima generazione che lavora qui la terra e ora mio figlio Oliver sta proseguendo quest’impegno. Mi auguro che lo faranno anche i nipoti. Adesso produciamo solo vino, prima però ci dedicavamo anche ad altre cose, allevavamo gli animali, i maiali, coltivavamo patate e altre derrate agricole, pero l’uva e il vino stavano sempre al primo posto. Noi ci siamo sempre dedicati all’agricoltura. Io sono stato il primo a lavorare in una ditta, nel 1981, continuando a lavorare la terra nel tempo libero. Mio padre aveva lavorato in azienda a Fiume, negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando si doveva andare ai lavori volontari. Per il resto, ripeto, abbiamo sempre lavorato la nostra terra, in modo tradizionale. A ogni modo, anche mell’ex Jugoslavia la famiglia viveva sempre di campagna. Negli ultimi 25 anni abbiamo cambiato tecnologia. Prima producevamo soltanto vini da tavola, rosso e bianco, adesso ci siamo indirizzati verso vini di qualità, per la maggior parte Malvasia e Terrano, tipici per queste nostre zone, e in più abbiamo, tra i bianchi lo Chardonnay, il Pinot grigio e il Sauvignon blanc e, tra i rossi, Merlot e Cabernet blanc.
Negli ultimi cinquant’anni, è stato il nonno Edoardo a dedicare tempo, cura e amore ai vigneti, piantando la Malvasia e il Terrano, portando al culmine l’arte della vinificazione, raffinata poi da Franc e da suo figlio Oliver, quest’ultimo impegnato anche in seno alla Comunità degli Italiani di Visinada. I due continuano a innalzare l’asticella della qualità.
Partendo dal sapere e dalle attrezzature dalle tecniche acquisite, Franc e Oliver, fin dall’infanzia, si avvalgono delle più avanzate tecnologie produttive, con un processo completamente naturale, acquistate anche con il sostegno dei fondi europei. “Fa sempre piacere avere un sostegno per acquistare la tecnologia e riuscire a risparmiare, come nel nostro caso, la metà delle spese”, ha iniziato Oliver nel presentare l’azienda e la vendemmia di quest’anno, da loro già in corso.

Che cosa fa la differenza
Abbiamo incontrato Oliver in una tarda mattinata, mentre giungeva l’ultimo carico d’uva vendemmiata, “perché se si prosegue con la raccolta, l’uva rischia di attendere la lavorazione il giorno successivo, e la cosa non fa bene alla produzione”. Abbiamo parlato nella cantina posta a cinque metri sotto terra, interrata praticamente nel colle, dove nelle botti d’inox e lignee nasce il loro prelibato “nettare degli dei”. Le botti d’inox conservano i vini giovani, freschi e ricchi d’aromi. Quelle lignee, i vini più maturi, complessi e robusti, che vengono pure barricati. Franc e Oliver scelgono accuratamente i migliori grappoli, raccolti a mano. Da qui l’aroma distinto e un boccato ricco, in sinergia fra tradizione, innovazione e genuinità.
“Ci troviamo nella cantina costruita nel 2004. All’epoca disponevamo della metà dei vigneti di oggi, all’incirca 9,5-10 ettari di vigneto. Adesso lavoriamo 21 ettari e altri quattro sono in preparazione. Stiamo aumentando la superficie produttiva, poiché la ricerca e la disposizione d’uva di prima qualità sul mercato sta diventando un problema, anche a un prezzo ragionevole. Adesso produciamo in gran parte vini freschi. Il 60% dei vini prodotti bianchi sono di Malvasia, Chardonnay, Pinot grigio, Sauvignon bianco, Moscato, che proprio adesso stiamo vendemmiando, dei rossi, in gran parte Terrano, Merlot e Cabernet. Il 70% dei vini è custodito nelle botti d’acciaio in inox, il resto in quelle di legno, in rovere di Slavonia, ma lavorato in Italia. Le botti grandi le abbiamo acquistate da Gardellotto, il produttore europeo di maggior tradizione e più noto di botti in rovere, che costano, ma valgono”, prosegue Oliver.

Perché questa diversa deposizione dei vini, in acciaio inox e botti lignee, dove sta la differenza?
“La cosa dipende in gran parte dai gusti personali e da che cosa la persona mangia. D’estate, per esempio, vanno per la maggiore i vini freschi, che si abbinano a pesce, pasta, carne bianca… Quando il clima cambia e si mangiano cibi con più grassi, si consumano vini più maturi. Il vino conservato in inox è fresco, aromatico, quello prodotto in botti di rovere è più strutturato, serio e serve un solido pasto per consumarlo”.

Quale tecnologia usate nella produzione?
“Per quanto riguarda i vini freschi, subito dopo la vendemmia l’uva viene deposta nella pressa, si estrae il mosto e il succo viene deposto nelle botti d’inox. Procediamo, quindi, a un metodo meccanico per purificare il mosto, il che vuol dire che non usiamo solfiti per la sedimentazione. Quando si vendemmia, il mosto non è puro, contiene tanto sporco e per questo va purificato. La maggior parte dei produttori usa i metodi chimici, ossia additivi che aiutano la sedimentazione. Noi adoperiamo il quotatore, ossia un metodo inverso, che mescola il mosto all’azoto. Quest’ultimo è più leggero, lo sporco viene estratto e il mosto pulito rimane in basso. In pratica, in cinque o sei ore svolgiamo un lavoro che una volta si faceva in due o tre giorni, riducendo il tempo d’ossidazione. Questa è la cosa più problematica nel processo produttivo: dalla vendemmia alla sedimentazione deve trascorrere il minor tempo possibile”.

Istriani ottimi cantinieri
Una volta si diceva che l’istriano era un ottimo viticoltore, ma un pessimo cantiniere. Se andiamo a leggere i resoconti degli esperti vinicoli di più di un secolo fa per esempio, si denunciava il pessimo stato delle cantine e la mancanza di sapere tecnologico. Oggi la cosa è diversa…
“Vero. In Istria tutti i vigneti avevano l’aspetto di un giardino. Si faceva tanta e buona uva, c’era una competizione tra chi ne aveva di più o la più bella. Quando giungeva la vendemmia, si produceva vino, ma non si sapeva come farlo buono e come proteggerlo dagli effetti negativi. Il metodo di stoccaggio non era ben concepito. Negli ultimi 20-25 anni, con la collaborazione di tanti produttori e l’uso di tecnologie in gran parte italiane, i produttori istriani hanno fatto passi da gigante, dal punto di vista della produzione e della qualità del vino, del metodo di confezionamento e altro. Adesso si può dire che gli istriani siano ottimi come viticoltori e come cantinieri”.

Le vostre vigne, come sono lavorate, praticate la coltivazione biologica?
“Noi siamo in produzione integrata, essendo io un po’ testardo. Nella produzione biologica, il marchio ecologico consiste nell’uva prodotta ecologicamente, ma nessuno controlla la lavorazione del vino in cantina. Per la nostra uva, coltivata ecologicamente, con prodotti chimici per il trattamento ecologico approvati a livello dell’Unione europea, non usiamo concimi minerali. In ogni secondo filare impiantiamo un miscuglio di erbe utili all’assimilazione dei differenti micro e macro elementi presenti nel suolo. Questo procedimento interessa i filari ad anni alterni. Il tutto viene poi trinciato e arato e queste erbe, così marcite, fermentate e decomposte, fertilizzano il suolo. Essendo i nostri terreni in gran parte di terra rossa, abbastanza povera di concime organico, questo metodo serve ad associare la terra al concime organico e per assimilare l’acqua nei periodi di siccità”.

La vendemmia l’avete ormai in corso. Come sarà il prodotto?
“Vista la siccità, per adesso possiamo essere contenti. Abbiamo iniziato con la vendemmia del Pinot grigio, dello Chardonnay, del Sauvignon bianco e del Moscato, pienamente pronti perché con la siccità estiva l’uva è risultata essere molto più preparata. Fino a quest’anno la data più anticipata per le nostre vendemmie era il 24 agosto. Quest’anno abbiamo iniziato il 23, che per noi rappresenta un nuovo record, però con gli zuccheri, il fattore pH e gli acidi, che sono solidi nell’uva vendemmiata, posso concludere che quest’anno avremo una vendemmia molto buona. Speriamo si prosegua così e che non sopraggiunga tanta pioggia, poiché, dopo la siccità estiva, la buccia degli acini è molto fragile e con la pioggia la vite inizia ad aspirare molta acqua, col rischio di farla esplodere, con perdita di qualità dell’uva”, conclude Oliver la nostra chiacchierata, prendendo in mano il mostimetro per misurare il grado zuccherino del mosto in una botte, indicatore di un’annata che si presenta eccellente.

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