Fabio Zolia si racconta: «Qui mi sento come a casa»

Da Trieste alla città dell’Eufrasiana, prima per le vacanze, poi per lavoro e ora per avervi messo su famiglia. Integrarsi è stato facile, dice, ma in chi viene serve un po’ d’apertura

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Fabio Zolia si racconta: «Qui mi sento come a casa»
Fabio Zolia. Foto: DENIS VISINTIN

La pizzeria “La riva” è uno dei locali preferiti dagli abitanti di Parenzo ed è gestita da Fabio Zolia, triestino di nascita, parentino d’adozione. Fabio è uno dei molti italiani che a un certo punto della sua vita ha scelto di vivere a Parenzo.

“Io sono nato a Trieste – così Fabio inizia la nostra chiacchierata –, città di mia madre, mentre mio padre era di Duino. Lui ha lavorato un po’ in tutta l’ex Jugoslavia, in Slovenia, in Macedonia, in Croazia. Io ho studiato a Trieste. Un anno o due dopo aver terminato le superiori sono andato a Milano, dove mi sono fermato più di dieci anni. Sono stato poi un anno in Francia. Quindi mi sono riavvicinato a queste nostre zone. Sono stato a Monfalcone e all’età di 34 anni ho raggiunto mio padre che lavorava a Parenzo. Lui in tutta la sua vita ha inaugurato 13 casino nell’ex Jugoslavia. Allora erano impianti piccoli; a volte andavano bene, altre male: li apriva, li vendeva. Si però è però tenuto costantemente, per trent’anni il Casino dell’albergo Parentium alla Zelena laguna di Parenzo, da lui aperto ancora ai tempi della Jugoslavia. Prima il Casino era al 51 p.c. di proprietà dello Stato, come voleva la legge. Poi, con l’indipendenza della Croazia è stato possibile avere la proprietà privata completa, i Casino sono stati trasformati in Spa e la cosa era diventata più regolamentata e più seria. Prima il Casino era una struttura abbastanza turistica, ha sempre funzionato all’interno dell’albergo e perciò i clienti erano al 90 p.c. gli ospiti dell’hotel. Ospiti che ritornavano. Il gioco d’azzardo e il naturismo erano le due attrazioni turistiche per eccellenza di Parenzo. “Cossa xe un Casino?”, “ Cossa xe un campo nudista?” Questi erano gli interrogativi della gente che s’incontrava per strada e che veniva a trovarci. L’afflusso era notevole”.

Quindi le tue conoscenze su Parenzo sono abbastanza lontane?
“Conosco Parenzo da tanto tempo. Un po’ perché già da ragazzino vi venivo durante le vacanze. Più tardi le opportunità di lavoro mi hanno portato qui. Prima mi occupavo di altre cose: lavoravo nell’immobiliare, nel finanziario. Il mio è stato un avvicinamento graduale a Parenzo: prima trascorrevo le vacanze, poi venivo qui in visita a mio padre, che ci viveva stabilmente, mentre noi con la mamma eravamo a Trieste. Poi c’è stata l’occasione di lavoro, ho conosciuto mia moglie, che è di Parenzo, ho imparato la lingua croata. Sono tra i pochi cittadini italiani qui residenti che hanno avuto l’interesse d’imparare il croato”.

Fai parte di questo fenomeno migratorio che potremmo dire al contrario, rispetto a quello tristemente noto del secondo dopoguerra che ha coinvolto queste terre. Non ti è stato difficile integrarti?
“No. Per qualcun altro forse lo sarebbe stato, ma dipende dalla mentalità, dall’apertura di chi viene qua. Credo che non sia difficile integrarsi a Parenzo, perché molti parlano la lingua italiana. Quando sono venuto a lavorare al Casino tutti s’esprimevano in italiano o in dialetto e quindi nei primi anni non ho avuto bisogno d’imparare il croato. Chi viene qua, gira per la città, va al mercato… incontra gente che s’esprime in lingua italiana e riesce a trovarsi molto bene. Io ho iniziato a frequentare gente croata che non parlava l’italiano e piano a piano, registrando e ripetendo le parole, ho imparato questa lingua e oggi son tanti anni che la conosco e l’uso. Mi sento veramente integrato. A volte manca, da parte di chi viene, quel piccolo passo in più, la volontà di avvicinarsi. Se uno resta al solo uso dell’italiano, rimarrà turista per sempre: io ho fatto quel passo in più e mi sono trovato bene accolto e riconosciuto da tutti. ‘Ti si naš’, mi dicevano e io rispondevo ‘Ne nisam vaš’; un po’ di nazionalismo viene sempre fuori, ma mi hanno accolto bene perché io mi sono aperto. Per essere accolti bisogna dare. Conosco degli italiani che si sono trasferiti qui e più che il triestino non vogliono usare altro idioma. Ok, ti capiscono molti, ma non tutti. C’è stata un’immigrazione, gente che viene qui per lavorare da altre parti, che si ferma”.

Tuo figlio ha frequentato l’elementare italiana “Bernardo Parentin” di Parenzo e ora la “Leonardo Da Vinci” di Buie?
“Mio figlio frequenta la scuola italiana. Ho voluto che acquisisca un po’ della mia cultura e della mia tradizione e che la porti avanti. Della scuola italiana parentina mi piace il fatto che si tratta come d’una famiglia, in cui i ragazzi sono ben seguiti e conosciuti e quindi ci siamo trovati bene”.

A un certo punto hai iniziato a gestire la pizzeria “La riva”?
“L’attività di mio padre, un po’ per la sua età, un po’ per mutamenti economici, andava un po’ scemando. Ho avuto l’occasione, 17 anni fa, di prendere in mano “La riva”, già nota come bar locale. Ho mantenuto e continuato la tradizione del gelato e delle torte, dell’apertura alle famiglie, agli studenti e ai giovani di Parenzo. Ho soltanto aggiunto un po’ della mia cultura, stando sempre attento alla qualità dei materiali. Ho integrato un po’ la qualità dei materiali con quella che era la tradizione del locale ed è andata molto bene”.

La ricetta per una buona pizza qual è?
“Come quando parliamo d’una buona torta o di un buon arrosto, tutto sta nella conoscenza delle materie prime, che bisogna conoscere, saper scegliere e sfruttare al meglio. Si deve saper sfruttare le caratteristiche delle farine adatte alla preparazione della pizza. Non si può troppo spesso fare la pizza in maniera veloce. Le farine sono diverse e ognuna ha bisogno dei suoi tempi, per cui la pizza è un prodotto su cui si lavora da un giorno all’altro, andando sempre alla ricerca dei buoni ingredienti”.

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