Annata ottima, nonostante il maltempo

Lunga chiacchierata con il connazionale Dejan Radoš, il quale, dopo gli studi universitari, ha deciso di continuare la tradizione vitivinicola familiare. Ora offre un prodotto locale di qualità

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Annata ottima, nonostante il maltempo
Dejan Radoš. Foto: DENIS VISINTIN

La vendemmia è ormai in corso, con i suoi consuetudinari impegni e problemi per i vinai. Perciò siamo stati a Tadini, in quel di Castellier, in visita all’azienda del connazionale Dejan Radoš, la cui famiglia si occupa di vitivinicoltura da quattro generazioni.

“Il documento più antico che lo attesta è del 1902”, ha esordito Dejan, proseguendo: “Lo faceva mio nonno Cociani (Kocijančić), padre della mia mamma, quand’era venuto ad abitare qua, dove prima c’erano i Legović, quindi mia madre, che ha sposato mio padre, un Radoš, pure egli agricoltore. Al termine degli studi universitari ho preso io in mano il tutto. La tecnologia è cambiata tantissimo. Adesso proseguiamo investendo e speriamo nel futuro, nella viticoltura e nel vino. Coltiviamo intorno ai 5 ettari di vigneto, circa 20mila barbatelle, di cui il 70% di varietà bianca, la Malvasia istriana, il Chardonnay e il Moscato giallo, che ci dà un vino un po’ dolce. Dei rossi abbiamo il Terrano e il Borgogna e da quest’ultimo ricaviamo il rosé. Quest’anno abbiamo fatto anche il Cabernet sauvignon, imbottigliando il barrique. Per l’anno prossimo abbiamo in preparazione il Merlot, con un lotto imbottato nelle botti lignee”.

Un’azienda in espansione, la vostra, ma i vini tipici di Castellier quali sono?
“La Malvasia, il Terrano e il Borgogna. Non abbiamo vini specifici come Parenzo, caratteristica per il suo Moscato rosa”.

Quanto vino producete?
“Dipende dall’annata, comunque intorno ai 30-40mila litri, su suoli di tipo rosso, quindi calcarei, in alcune parti abbastanza profondi, in altre no. Ciò significa che bisogna investire di più nella preparazione dei terreni, ma alla fine la qualità paga sempre. La terra bianca è più pesante nel lavorarla rispetto a quella rossa, la differenza nella produzione è grande. La terra rossa si asciuga precocemente e per questo d’estate dobbiamo lavorarla di più per conservare la sua acqua, realizzando uno strato soffice di superficie capace di chiudere i pori del suolo rosso, in modo che l’acqua non vada via. La terra rossa è così, se non fai questo e se incombe la siccità, allora seguono i problemi: se interviene la pioggia la produzione è salva”.

Il vostro vino si giova di premi?
“Siamo stati premiati nel 2014 a ‘Vinistra’ con la medaglia d’oro. A Gallignana il nostro Terrano ha ricevuto il primo premio nel 2015. Ogni anno riceviamo qualche riconoscimento da qualche parte”.

Il ruolo della Comunità degli Italiani
Ciò vuol dire qualità, ma nella produzione si deve puntare su questa o sulla quantità?
“Si deve puntare sulla qualità, ma venduta a buon prezzo. Tanti acquirenti cercano la qualità, ma a prezzi bassi. Conta pure la promozione. Se questa è buona, il prezzo non conta. Gli acquirenti talvolta vengono per provare il vino, perché hanno sentito il nome del produttore tramite passa parola o lo hanno letto sul giornale”.

Quindi va incentivata la promozione. Che cosa si può fare a livello locale?
“Qui a Castellier si sta facendo un buon lavoro da due o tre anni. Recentemente è stata aperta la bottega con i nostri prodotti autoctoni dove, ogni venerdì sera, vengono fatte delle promozioni con la presentazione di un vinaio locale, il che è una cosa meravigliosa. Noto di continuo che la gente cerca un qualche cosa del posto. Se si offre solo una casa con piscina, la località non è interessante. La gente cerca e vuole provare i prodotti locali, acquistarli e portarseli a casa. In questo segmento qui si sta operando bene, con il contributo della Comunità degli Italiani di Castellier-Santa Domenica”.

In passato, le CI e l’Unione Italiana, come pure la vecchia Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, offrivano corsi e conferenze in materia agricola e particolarmente vitivinicola, visite alla Fiera di Verona, gite d’istruzione, ecc. Che cosa possono fare le istituzioni dell’etnia oggi?
“Sarebbe interessante ripetere questo percorso, ma di agricoltori non siamo rimasti in molti, non so in quale modo e quante persone sarebbero interessate. Noi produttori lo saremmo sicuramente, ma nei periodi di pausa nel lavoro, nei mesi invernali. Ma, ripeto, non siamo rimasti in molti ed è una cosa triste. Lo sviluppo complessivo del paese sta, a mio avviso, andando in una direzione sbagliata. Temo che questa scelta la pagheranno le generazioni future. È un peccato; è triste vedere le campagne abbandonate diventate boschi invasi dalla selvaggina, contro la quale stiamo lottando per salvaguardare il prodotto, malattie e altre nocività a parte”.

La flavescenza dorata
Per quanto riguarda la vendemmia, come sarà quest’anno?
“L’annata è iniziata benissimo. La fioritura è stata eccellente, la vegetazione è andata bene. Siamo stati colpiti dal maltempo che ha causato un po’ di danni, per questo il prodotto di quest’anno sarà ridotto, ma di ottima qualità. Credo che le gradazioni saranno elevate. In alcuni vigneti l’uva è maturata precocemente”.

Come producete i vini nella vostra cantina?
“Usiamo la tecnologia contemporanea. I vini bianchi, li pressiamo immediatamente e quindi facciamo la fluttuazione affinché vadano subito in fermentazione, il che dà al prodotto gusto e aroma. Produciamo vini freschi non stagionati per adesso. Lasciamo questo discorso per il futuro”.

Come vi comportate nella concimazione e nella lotta antiparassitaria, usate prodotti biologici o chimici?
“Concimiamo tutto con lo stallatico animale, ma non disponiamo del certificato di produzione biologica. Abbiamo visto che con l’uso del letame già da 7-8 anni cambia tutto, non eravamo contenti con i fertilizzanti. La lotta biologica possiamo farla in alcune campagne, in altre no. Avendo tutte le viti in massima produzione, forse si potrebbe provare a farlo, ma le annate cambiano molto. Se l’annata è secca, si può farlo, altrimenti no. Il letame lo prendiamo dagli allevatori, al fiume Quieto o alla Lanterna, Quando ero piccolo avevamo il nostro letame, prodotto dai maiali che allevavamo sotto casa. Poi abbiamo dovuto accantonare l’allevamento dei maiali. Il paese era cambiato e nessuno voleva più la loro puzza e adesso siamo diventati zona turistica, per cui ci eravamo rivolti ai fertilizzanti minerali. Va detto anche che di solo allevamento di maiali non si vive, io ho provato a farlo per un anno, ne avevo 30-40. Per vivere di ciò, bisogna averne almeno 200. Ho lavorato poi in una rivendita agraria a Buie e quello a casa era per me un doppio lavoro. Dopo alcuni anni di investimenti a casa ho continuato con l’impegno casereccio, favorito dai sostegni europei. Ho partecipato a due concorsi per affrontare la flavescenza dorata che mi hanno consentito il reimpianto di alcuni vigneti. La zona di Castellier e quella di Umago erano le prime e maggiormente colpite dalla flavescenza dorata, diffusasi con l’annata secca del 2011 e l’anno dopo c’erano tante viti infettate. La vite deperiva e la gente, soprattutto gli anziani, non sapevano come affrontare l’epidemia e come curare la vite che non dava i suoi prodotti. L’errore grande è stato fatto nell’abbandonare la vite per tutta l’annata. E qua, i trattamenti con gli insetticidi, non li facevano mai. Per cui il problema si è diffuso.
La scienza è intervenuta quattro o cinque anni fa con dei corsi, invitando la gente a trattare le viti con gli insetticidi e al taglio di quelle che erano fortemente infestate. Gli anziani erano contrari al taglio delle viti che si presentavano ancora verdi e tanti vigneti sono purtroppo andati perduti”.

Qui siamo entrati in un altro discorso: il confronto generazionale tra il vecchio e il nuovo. Questa è una costante nella storia agraria istriana; come l’ha superata?
“Già i miei genitori avevano dovuto affrontare questo problema con il nonno, levando immediatamente il mosto dal vino bianco. Vedendo questo, mio nonno si era messo a piangere ed era scappato fuori dalla cantina. Mio padre aveva allora sfiorato con il suo vino l’oro a ‘Vinistra’ e mio nonno aveva capito che forse quella era la strada giusta da percorrere. Quando ho preso in mano io la produzione, la cosa si è ripetuta, in campagna e in cantina, essendo evolute le tecniche”.

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