Oskar Skerbec: «La politica è un’arte servono serietà e preparazione»

Dopo avere miliato per 12 anni nelle file della Dieta democratica istriana ha deciso di riturarsi per occuparsi di cose che lo rendono felice

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Oskar Skerbec: «La politica è un’arte servono serietà e preparazione»

Una persona trasparente e molto perbene. Questo è Oskar Skerbec. Un connazionale “coi fiocchi” che dopo tre mandati quale consigliere del Consiglio cittadino nelle file della Dieta democratica istriana (DDI-IDS), ha deciso di ritirarsi. L’abbiamo incontrato davanti a un caffè e, con la semplicità e la gentilezza che lo contraddistinguono, ci ha raccontato del suo lavoro, della sua famiglia, dell’esperienza politica e di ciò che lo ispira e rende felice.

 

Consigliere, avvocato, membro/presidente di svariati Comitati e Consigli esecutivi e amministrativi della Città e all’interno alle istituzioni della CNI, allenatore di ginnastica, ex atleta, papà di quattro figli, marito. Chi è Oskar Skerbec?

”Tutte queste funzioni, eccetto il mio ruolo di padre e marito e la scelta di fare sport sono avvenute per puro caso. Terminato il Liceo, la cosa che mi premeva maggiormente era focalizzarmi sugli studi di legge, scelti da ragazzino e, in seguito, puntare a costruirmi una buona carriera lavorativa e creare una solida realtà professionale”.

Con te lo studio legale Skerbec è giunto alla sua seconda generazione. La scelta d’intraprendere gli studi di legge è stata in qualche modo dettata dalla provenienza da una famiglia di avvocati?

”Inizialmente no. Da piccolissimo sognavo di diventare un Vigile del fuoco, ero affascinato dai camion dei pompieri, dalle loro divise, dal fatto di spegnere gli incendi. Verso i dieci anni, invece, ho rinunciato e ho deciso di diventare avvocato. Così è stato”.

Una scelta ferma, quindi, senza ripensamenti?

”Più o meno. Verso i 13 anni ho scoperto la ginnastica artistica ed è stato amore a prima vista. Me ne sono occupato per moltissimi anni, inizialmente a livello amatoriale e, in seguito, anche agonistico. Nel periodo degli studi universitari frequentavo parallelamente anche quelli cinesiologici e, in seguito al conseguimento del diploma, ho fatto l’allenatore. Entrando in diretto contatto con quel mondo, ci sono state alcune situazioni che non mi sono piaciute. Così ho portato a termine gli studi di legge e mi sono dedicato all’avvocatura”.

Tuo padre, anche avvocato, ti ha indirizzato verso questa opzione?

”Mio padre non ha mai preteso nulla, mi lasciava scegliere, aveva fiducia in me. É stato sempre un aiuto, una guida, un supporto importante. Mi ha insegnato l’etica professionale, il rispetto verso il lavoro e i colleghi. Un grande maestro di vita. Ho cercato di fare la stessa cosa con i miei figli. Non gli dico mai – dovete fare questo o quello – anzi. Mia figlia più grande, Nika, studia legge, quella più piccola, Luna, vorrebbe fare la parrucchiera. E va bene così”.

Quindi, ciò che conta è la fiducia e il rispetto

”Assolutamente, ma per le persone in generale, nei rapporti interpersonali, nelle relazioni di tutti i tipi. Il rispetto è fondamentale. Una delle cose che mi danno maggior fastidio in generale è l’ingiustizia, l’approfittarsi dei più deboli, dei più vulnerabili e socialmente fragili”.

Ti senti un po’ un paladino della giustizia?

”Un po’ si. Fa parte del mio essere. Ad esempio quando, da giovane, mi trovavo in compagnia di più persone che prendevano di mira il ragazzo più mingherlino, quello più timido e insicuro, mi arrabbiavo e mi veniva naturale prendere le sue difese. È così anche oggi, se posso cerco di aiutare”.

Che rapporto hai con lo sport oggi?

”Oggi vivo lo sport come una dimensione soltanto mia. Secondo il detto “mens sana in corpore sano” mi ci dedico amatorialmente, vado in palestra, corro. Lo faccio regolarmente e devo dire che mi fa sentire molto bene, mi aiuta ad affrontare la giornata, il lavoro”.

Come sei riuscito a gestire tutti i tuoi mondi, a muovere tante fila contemporaneamente e rimanere una persona semplice, alla mano?

”Ho cercato innanzitutto di rimanere sempre umile e con i piedi per terra. L’ambizione è buona quando è sana, quando ti sprona a fare, creare, costruire. Non mi sono mai posto obiettivi troppo alti, al di fuori della mia portata, o che credevo tali. Ho cercato sempre di tirare fuori il meglio di me, ma senza farne una ragione di vita. Vivo con leggerezza e filosofia. Se qualcosa deve arrivare, in un modo o nell’altro, arriva. È fondamentale rimanere sé stessi, non montarsi la testa, non cambiare in relazione agli eventi, perseguire una vita sana, curare gli affetti, le amicizie, i valori. E aiutare. Farlo sempre, in ogni occasione”.

Sei molto sensibile sul tema del volontariato…

”Esatto. Oggi verso lo stesso c’è un rapporto strano. Quando lo si fa lo sanno tutti. Lo si grida e lo si sottolinea. E magari ci si aspetta anche qualcosa in cambio (sottoforma di popolarità, interessi vari e, ahimè, anche denaro). Ciò non mi piace. Io credo nell’aiuto intuitivo, empatico, che viene dal cuore. Ricordo con nostalgia i tempi in cui mio padre collaborava con parecchie comunità assolutamente gratuitamente, munito soltanto di sogni, entusiasmo e tanta voglia di fare. Allora tutti facevano volontariato. Era bello”.

Hai alle spalle una lunga carriera nel mondo dell’avvocatura. Quanto è cambiato negli anni?

”Purtroppo è cambiato molto in peggio. Oggi lo definirei un mondo di squali, in cui si assalgono l’un l’altro”.

Addirittura?

”Sì. Ad esempio prima, una quindicina, ventina d’anni fa, quando arrivava un nuovo cliente che prima era stato rappresentato da qualche altro collega, ci si chiamava tra noi per chiedere informazioni sul caso, ci si consultava, consigliava. Si condividevano idee e soluzioni. Oggi ognuno lavora come sa e crede, anche sbagliando, ma senza rivolgersi all’altro. In seguito alle dinamiche dovute alla pandemia poi, è diventato tutto molto stressante. Le persone vengono da noi chiedendoci di fare miracoli, di aiutarle anche dal punto di vista psicologico. La sera, al termine della giornata, si è sfiniti. Ecco perché faccio sport. È un appiglio al quale mi aggrappo per sfogarmi e scaricare tutte le energie negative”.

E la politica? Com’è entrata nella tua vita?

”Sono stato 12 anni in politica, sempre fedele alle file della Dieta democratica istriana (DDI-IDS), scelta principalmente per il fatto che nel programma si trattava anche la questione del bilinguismo. Come accennato prima mi ci sono trovato per caso. Dei colleghi cercavano professionisti, persone nuove. Inizialmente non avevo accettato, non mi interessava. Poi ci ho ripensato. Mi intrigava l’idea dell’arte politica in sé, dell’avere un altro strumento con cui aiutare gli altri, con cui fare del bene alla collettività. In fin dei conti la politica è molto vicina alla mia professione. Dopo avere accumulato molta esperienza lavorativa, costruito una bella carriera, essermi assicurato materialmente l’esistenza, ho pensato di condividere tutto ciò con gli altri. Ricambiare alla vita, che è stata generosa con me, mettendomi al servizio della società. Oggidì, tirando le somme, sono un po’ deluso”.

Come mai?

”Soprattutto per il fatto che non si fa molta selezione. Se ne occupa chi vuole, con le più svariate motivazioni e interessi. Non tutti lo fanno per cause nobili, il che la rende spesso indecorosa e corrotta. È ovvio che è un mondo in cui bisogna saper fare l’equilibrista, saper ponderare il possibile e l’impossibile, avere l’esperienza e la conoscenza di capire quali sono i momenti giusti per affrontare tematiche, fare richieste. Fare politica non significa solo esprimere il proprio parere e votare, o battere i pugni sul tavolo e imporre qualcosa, o aggredire. Come ho detto prima, è un’arte. Bisogna affrontarla con serietà e preparazione. Cosa che oggi viene un po’ a mancare”.

Quindi, niente più candidature?

”No. Sono stanco e ho voglia di dedicarmi a qualcosa che mi dà soddisfazione, che mi rende felice. È importante sapersi ritirare al punto giusto”.

Che cosa prenderà il suo posto?

”I libri, le gite in barca, lo sport, i viaggi”.

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