Neanche la perseverante pioggia tipicamente fiumana e la giornata grigia e plumbea hanno fatto da intralcio all’imperterrita e appassionata comitiva radunatasi recentemente sotto la cappella neoclassica di San Michele, firmata dall’architetto Luigi de Emili, oggi apertura di passaggio, per seguire lo storico dell’arte Theodor De Canziani in uno dei suoi ormai noti tour cittadini, organizzato dai Comitati di quartiere di Cosala e Podmurvice e, nello specifico, dalla segretaria di quest’ultimo, Đulijana Desanti. Il tema dell’incontro, interessantissimo, era concentrato sulle donne, affermate e coraggiose, che in un modo o nell’altro hanno cambiato e reso peculiare la storia del capoluogo quarnerino e che hanno trovato sepoltura all’ombra dei cipressi del Cimitero monumentale di Cosala. Storie al femminile in cui le protagoniste sono divenute, di volta in volta, tramiti del passaggio all’aldilà, testimoni degli affetti scomparsi, incarnazioni di virtù e valore dei defunti.
Un patrimonio sepolcrale scalfito
Affiancato dall’immancabile Filip Jakovac, addetto e custode del prezioso altoparlante che ha inondato il silenzio che vince e regna lo storico cimitero, nonché un altrettanto appassionato cultore del patrimonio culturale fiumano, l’esperto ha iniziato il suo racconto spiegando che fondamentalmente della tematica cimiteriale si sono occupate soltanto le donne. In tale senso, eccetto Egisto Rossi, che nel 1906 ha lasciato lo scritto “Cimitero monumentale di Cosala a Fiume”, sono da rilevare le opere di Anita Antoniazzo Bocchina, Radmila Matejčić e Daina Baumann Glavočić. “Purtroppo, lo stato in cui si presentano tante tombe, anche e soprattutto quelle storiche di notevole valore artistico-architettonico, è terribile”, ha esordito, spiegando che “prendendo atto che a riguardo vi sono da risolvere molteplici problematiche di varia natura, se desideriamo che quelli che verranno possano leggere e riconoscere la nota multiculturalità, il plurilinguismo, la muliconvenzionalità, l’apertura che caratterizzavano Fiume, noi fiumani di oggi dobbiamo fare uno sforzo e prodigarci affinché questo luogo venga salvaguardato”.
Donne di forte tempra
“Le donne che narrarono la storia fiumana sono quelle che, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, molto spesso affiancando i mariti, grazie alla loro forza e all’agire pubblico realizzarono carriere importanti e lasciarono un’impronta significativa”, ha riferito De Canziani, rilevando che “il primo mausoleo da raccontare, che a modo di altri patrimoni fiumani sembra brutalmente condannato alla damnatio memoriae e si trova in uno stato pietoso, è la meravigliosa cappella funeraria che ospita il riposo eterno di Antonia Gelletich nata Bartolich e del suo consorte Nicolaki Nicolaides, realizzata dal rinomato architetto Filiberto Bazarig e dallo scultore Ivan Randić. Figlia di un ricco armatore e proprietario di svariati mulini ubicati tra Scoglietto e le odierne vie Ružić e dell’Acquedotto, quindi godente di un’ottima dote, sposò un importante e benestante membro della buona società quarnerina, ovvero Nicolò Tommaso Gelletich, capitano di nave ed eccellente partito. Alla sua prematura morte, ereditando tutta la fortuna del coniuge, la vedova, a mo’ di altre donne dell’epoca rimaste da sole che lo facevano probabilmente per assicurarsi l’esistenza futura, innalzò un altro piano sulla villa in cui vivevano, sita nel rione di Pećine. In omaggio al marito fece anche costruire questo bellissimo mausoleo dall’armonica forma neorinascimentale, nel cui spazio interno sono collocate tre lapidi: quella di Antonia in cima, quella di Tommaso Gelletich e la targa sepolcrale del console turco-greco Nikolai Nicolaki Effendi de Nicolaides. Di quasi vent’anni più giovane di lei, lo conobbe negli ambienti della “Fiume bene”, se ne invaghì subito e lo sposò. Dato che lui abbisognava di una residenza per il suo consolato, alla palazzina di proprietà di Antonia, ubicata tra il Mercato cittadino e il Teatro, vennero aggiunti altri due livelli e fu realizzata quella che oggidì è nota quale “Casa turca”, sulla cui facciata si possono osservare rari esempi di calligrafia caratterizzata da quattro varianti della scrittura araba (nastaliq, thuluth, kufic e tugra), con citazioni riprese dal Corano, che trasmettono messaggi di pace. Nelle targhe dentro alla cappella si può leggere di tutti i riconoscimenti e medaglie assegnatele da parte del Regno ottomano, ricevute in qualità di benefattrice quanto del capoluogo quarnerino tanto della Turchia”.
Maestra Barbara e nipote Dora Ploech
A pochi passi dal succitato loculo è sita la tomba della famiglia Ploech, che rappresenta il lavoro organico di rinomati artisti che all’epoca operavano a Fiume. A commissionarla all’architetto Filiberto Bazarig è stato il facoltoso ingegnere austriaco Annibale Ploech, il quale lavorò presso il Silurificio, collaborando strettamente con Robert Whitehead e altri. Nella stessa, ha spiegato de Canziani, giacciono le spoglie della maestra di Šmrika Barbara Ružić nata Burić, il cui consorte, Juraj Ružić, industriale, grossista, proprietario terriero, è sepolto nel Cimitero di Tersatto. “Nonna di Dora (Polić) Ploech, l’ultima dell’illustre famiglia ad aver abitato nel noto palazzo Ploech sito in zona Žabica, Barbara è una donna da ricordare per il suo incredibile coraggio, che in nome dell’amore per il marito ha sacrificato tantissimo. Sposandolo, infatti, dovette lasciare il suo lavoro e occuparsi della famiglia, costituita da dieci figli. Apprezzata moglie e angelo del focolare, morì di colera nella seconda metà del XIX secolo”, ha delucidato De Canziani, soffermandosi a seguire sulla straordinaria storia della stravagante parente. A sua detta “Dora visse la sua vita senza rimpiangere nulla, il che le costò molti momenti difficili. Titolare di un avviato salone di parrucchiera, Ploech da coniugata, si sposò più volte e non si fece mancare una miriade di amanti, tutti bellissimi, brillanti, di famiglie interessanti, ricchi e diplomatici, dimostrando una particolare predilezione per gli ufficiali. Facilmente innamorabile, estremamente eloquente e intrigante, si muoveva in diversi cerchi sociali, ragione per cui perse quasi la vita nel 1945.
In concomitanza a ciò, scontò due anni di pena nel campo femminile per prigioniere politiche sull’isola di San Gregorio, vicino all’Isola Calva, dove assistette a orrori indicibili tali da incanutire nel tempo di un giorno. Ritornò a Fiume segretamente, di modo che nessuno la vedesse in quello stato e così esausta, magra e pallida, raggiunse un’amica dalla quale si fece prestare del denaro, andò da una parrucchiera e si fece tingere i cappelli del colore più rosso. Successivamente acquistò di contrabbando dei collant neri con la riga, si fece cucire l’abito più drammatico, indossò le scarpe col tacco alto e rimessa a nuovo, rigenerata come una fenice, si fece una passeggiata lungo il Corso fiumano. Morì nel 1984. Essere bambino nel suo salone era come se qualcuno ti desse tutto ciò che non puoi avere. Le piaceva raccontare storie sconce, usava parole interessanti che non si dovevano dire e narrava avvenimenti del passato. Ringrazio ancora Dora Polić per avermi insegnato più cose relative a Fiume di qualsiasi libro”.
Iginio e Angiolina
Un imponente mausoleo che accoglie un’altra storia femminile è quello inerente alla famiglia Scarpa Sartorio. Riguardo allo stesso, De Canziani ha spiegato che vi è sepolto il patrizio, commerciante e politico fiumano, Iginio Scarpa (1794 – 1866), nato e deceduto nel capoluogo quarnerino. “Figlio dell’imprenditore commerciale Paolo Scarpa, trasferitosi a Fiume da Venezia intorno al 1778, e della fiumana Marija Tomašić, fu un abile grossista di legname e grano, viceconsole in Danimarca (1822), membro dell’amministrazione cittadina dal 1823 al 1859, presidente della Camera di commercio di Fiume dal 1857 al 1866, nonché valido promotore del turismo abbaziano”, ha affermato, rimarcando che “sostenne attivamente lo sviluppo economico della città, contribuì alla creazione di nuovi impianti industriali e all’avvio dei collegamenti stradali e ferroviari con l’entroterra. Sposò Angiolina Sartorio nel 1821, con la quale ebbe quattro figli. Dopo la nascita dell’ultimo la donna s’indebolì e, purtroppo, venne a mancare. Il ricordo dell’amore di Iginio per la moglie prematuramente scomparsa è diventato quasi una leggenda. In tale contesto ricorderemo che egli acquistò una stalla e, in suo luogo, fece costruire Villa Angiolina, sita nel parco abbaziano, la quale spiccava per la sua architettura e l’ottima posizione, tantoché sul suo modello ne furono costruite altre. I primi ospiti che vi soggiornarono diffusero il nome di Abbazia e da lì si sparse la voce che vicino al mare l’aria avesse un odore diverso, che nella cittadina ci si potesse divertire e rilassare, come pure curare dalle malattie. Abbazia divenne così un riconoscibile luogo di vacanza. Nonostante non si abbia nozione del nome dell’autore del neogotico monumento sepolcrale della famiglia Scarpa, è ben conosciuto quello dello scultore, Niccolò Pasquanini, il quale realizzò i due busti al suo interno nel 1861. Oggi nelle nicchie del mausoleo giacciono anche le spoglie di altre persone”.
Leard, Cosulich e Matejčić
A seguire il gruppo, sempre armato di grande curiosità e di coloratissimi ombrelli contrastanti la cupa atmosfera, ha avuto modo di sentire anche di Amalia Wranizany e Amalia Fumi, rispettivamente consorti di Giovanni Luppis e Giovanni Fumi, come pure di Cristina Scott, figlia del commerciante croato e promotore della vita economica e culturale Andrija Ljudevit Adamić e dell’artista grafica Rosa Leard. Quest’ultima, ha ribadito lo storico dell’arte, fu una delle rare pittrici operanti in Croazia nel XIX secolo. Studiò pittura a Firenze e Roma e dipinse ad acquerello, olio e tempera. Nel corso del suo creare focalizzò maggiormente la sua attenzione sui motivi relativi ai paesaggi, alle marine dal carattere romantico e ai ritratti delle personalità fiumane. Da rilevare, ha specificato, la sua realizzazione inerente alla Chiesa evangelica di Fiume.
Nel Cimitero monumentale di Cosala riposano anche Maria Crocifissa Cosulich e Radmila Matejčić. In merito alla prima, De Canziani ha raccontato essere stata “proveniente da un’importante e benestante famiglia cristiana di armatori e capitani lussignani, conosciuti quali benefattori delle istituzioni ecclesiastiche e umanitarie di Fiume. Sin dalla prima gioventù manifestò il suo grande impegno nell’ambito della dimensione religiosa e spirituale, ereditando dai parenti una particolare devozione al Sacro Cuore di Gesù. In tale contesto, fondò l’omonimo orfanotrofio femminile, nonché il suo nome adorna l’ospizio fiumano”. In conclusione della visita, imprescindibile è stata la tappa alla tomba di Radmila Matejčić, illustre storica dell’arte e archeologa, la quale, soprattutto con lo scritto “Come leggere la città”, ha lasciato una traccia indelebile riguardo alla conservazione di un significativo numero di opere d’arte.
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