INTERVISTA Michela Magaš. L’arte e il coraggio di osare

Chiacchierata a tutto tondo con l'ex allieva dell’SMSI di Fiume, oggi imprenditrice di successo nel mondo del design digitale con indirizzo a Umeå in Svezia

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INTERVISTA Michela Magaš. L’arte e il coraggio di osare
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Visionaria, appassionata, sorprendentemente vitale, Michela è una vera forza della natura, un concentrato di energia che crea, scorre, coinvolge, trascina e travolge, a dimostrazione del fatto che i limiti, se esistono, abitano solo dentro di noi. Figlia dei rinomati architetti Olga e Boris Magaš, ex allieva della SMSI, ha conseguito la laurea presso il prestigioso Royal College of Art londinese, che le ha aperto le porte più impensate. Nel corso della sua importante carriera internazionale, l’imprenditrice, con attuale indirizzo svedese, ha fatto suoi e coniugato i mondi del design, della tecnologia, dell’innovazione, dell’arte, della musica e della ricerca accademica e industriale. E non poteva essere altrimenti visto che, a soli dieci anni, insieme a suo papà, ha firmato i progetti di alcuni dei palazzi più rappresentativi del capoluogo quarnerino. L’abbiamo incontrata nell’ambito dello STEM picnic, organizzato dal Centro di cultura tecnica (CTK) di Fiume, con il quale collabora, per fare due chiacchiere, dove ci ha raccontato il suo incredibile percorso professionale.

Una carriera decisamente importante e, in qualche modo, fuori dalle righe. Ma partiamo dall’SMSI – nella quale si è iscritta dopo aver concluso la SEI Dolac – dove ha maturato i suoi interessi. Quale indirizzo ha frequentato?

“All’epoca ce n’erano soltanto due, l’indirizzo alberghiero e quello educativo istruttivo. Dato che era il più vicino a un programma ginnasiale classico, ho scelto il secondo e, nel 1986, ho completato gli studi liceali quale collaboratrice all’insegnamento di classe. Siccome, sin da subito, aspiravo ad andare in Inghilterra per studiare design, il che in quel periodo non era ancora possibile, in vista di partire per Londra ho trascorso un anno a Zagabria, dove ho studiato lingue e letteratura. Prima di affrontare il programma di postlaurea del Royal College of Art (RCA), sono riucita a entrare alla Epsom School of Art and Design, alla quale è seguita la laurea presso la Kingston University. Mentre ero lì, mio padre si ammalò gravemente e scoppiò la Guerra patriottica così, per alleggerire i miei genitori da quel peso economico, pensai di lasciare tutto. Ma, dato che i miei voti erano i migliori della classe, l’Ateneo mi ha offerto una borsa di studio per poter continuare. Essendo l’RCA il College di design più prestigioso al mondo e la selezione è durissima, sono stata l’unica della Kingston ad entravici, come pure la prima studentessa croata. Eravamo in 600 candidati, dei quali siamo stati scelti in 50 per fare l’intervista e solo in 15 siamo stati ammessi”.

Una bellissima soddisfazione. In quale ramo del design si è specializzata?

“Mi sono laureata in Design della comunicazione e, subito dopo, ho iniziato a lavorare nel campo della Progettazione dei prodotti. È stata sicuramente una bellissima soddisfazione, anche se il periodo non è stato dei migliori. Ho frequentato il College dal 1992 al 1994, ai tempi della Guerra patriottica, e non è stato affatto semplice, soprattutto dal lato economico. Solo qualche giorno dopo l’iscrizione mi è giunta una comunicazione con la quale mi s’informava che, nell’arco di due settimane, avrei dovuto pagare la quota d’iscrizione dall’importo di 7.500 sterline la quale, date le discrete possibilità economiche della mia famiglia, era una cifra consistente. All’epoca, con lo stipendio di mio padre, che lavorava presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Zagabria e che equivaleva a 300 sterline mensili, era impensabile immaginare di racimolare quella somma in così poco tempo. Quindi, ci siamo rivolti ai cugini americani e alla famiglia inglese, dalla quale ero in custodia, e ce la siamo fatta prestare. Più in là, non appena iniziai a lavorare, ho restituito tutto. Per ciò che riguarda, invece, il secondo anno, i cui costi corrispondevano a 8.000 sterline, sono stati generosamente coperti da un noto designer di origine slovena, David Mlinarić, il quale aveva collaborato con i Rothschild, con Mick Jagger, con Eric Clapton e tanti altri e che, su richiesta del College, dopo aver visionato alcuni miei lavori, mi aveva fatto da sponsor. Insomma, ho faticato parecchio anche perché, essendo croata, non potevo ricevere il permesso di lavoro e, non avendo soldi per nulla, il mio pensiero fisso era riuscire a pagarmi le altre spese universitarie e quelle relative al vitto”.

Nonostante tutto, però, è riuscita a completare gli studi con successo e conseguire la laurea. Immagino che, da lì, tante porte si siano iniziate ad aprire?

“È accaduto subito, in occasione della grande rassegna di fine anno in cui vengono presentati ed esposti tutti i progetti degli studenti. La stessa attira molte aziende e persone influenti interessate al mondo del design e, per ciò che mi riguarda, i miei lavori sono stati apprezzati dai rappresentanti del Financial Times. Mi hanno proposto immediatamente una collaborazione dicendomi – “Vieni a lavorare, inizi lunedì. Penseremo noi a sistemare tutti i documenti”. E così è stato. Ci sono rimasta per sette anni e, sin da subito, il mio ruolo è stato quello di ridisegnare e riprogettare alcuni settori del giornale, al fine di modernizzarlo per la digitalizzazione e l’espansione a livello globale. Nel giro di poco tempo la testata ha aperto altri uffici editoriali negli Stati Uniti e nell’Asia e, grazie all’apporto dei suddetti cambiamenti, la sua tiratura è passata da 175.000 a mezzo milione di copie. È stata una piccola rivoluzione”.

Come ricorda quel periodo?

“A dire il vero agli inizi è stata un po’ dura. Per poter restituire i prestiti di cui ho già accennato, dovevo rimanere in Inghilterra, continuare a lavorare e cercare di costruire una buona carriera. Curavo le prime pagine di tutte le edizioni e le riviste speciali, il che mi oberava molto, ma mi pagavano benissimo. Inoltre, dato che il Financial Times garantiva per il mio visto, non avevo molta scelta. Quindi, non ho potuto permettermi la spensieratezza dei miei colleghi universitari, i quali si spostavano da un’attività all’altra con leggerezza. Più in là, però, ho appurato quanto quell’esperienza mi sia venuta utile: in primis per ciò che concerne il miglioramento e l’arricchimento delle mie competenze relative all’inglese professionale, soprattutto nello scritto e, in secondo luogo, in relazione alle mie conoscenze inerenti al mondo della finanza, dell’economia. Settori di cui sapevo poco o nulla, per i quali non nutrivo alcun interesse, ma che successivamente, con l’apertura delle mie ditte, si sono dimostrate essenziali. Col tempo, sono diventata Art Editor, raggiungendo così il massimo livello professionale per un designer all’interno di un quotidiano. È un’ottima posizione e, se avessi scelto di rimanere, non mi sarebbe mancato nulla. Invece, me ne sono andata. Volevo andare oltre e affrontare la trasformazione digitale”.

Dove l’ha portata l’allontanamento dal Financial Times?

“Dopo aver lasciato la testata, sempre con il desiderio di esplorare e innovare, mi sono occupata di digitalizzazione in svariati campi di ricerca. A dire il vero non ci vedo nulla di strano, anzi, sono convinta che il futuro sia proprio questo: l’essere creativi, curiosi, muoversi attraverso i domini, fare ricerca. Nel 2000, insieme a Peter Russell-Clarke, ho co-fondato la società Stromatolite Design Innovation Lab, in seno alla quale abbiamo sviluppato svariati concept futuri per una serie di clienti internazionali tra cui Apple, Nike e Nokia. In seguito lui è entrato a far parte dell’Apple Industrial Design Team e, insieme a Jonathan Ive, ha disegnato l’iPhone. La Apple mi ha fatto visitare la sua sede di Cupertino, in California ma, dopo aver atteso per ben dieci anni prima di ottenere il passaporto inglese, non avevo voglia di rivivere le stesse peripezie con la carta verde e sono rimasta in Inghilterra. In qualità di consulente ho lavorato per la Apple, per la Nokia e anche con Peter Gabriel, il quale investiva molto nel digitale. Nel 2012, sempre nell’ambito della Stromatolite, ho creato la piattaforma Music Tech Fest – selezionata dalla Commissione Europea quale uno dei primi veri ecosistemi di innovazione, dove abbiamo coniugato musica e scienza. Negli ultimi 10 anni la stessa ha accumulato una comunità di oltre 8000 di contribuenti all’innovazione. Ho progettato i sistemi abilitanti per la stessa e per la gestione dei dati. Nel 2017, sempre in relazione alla piattaforma, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, mi è stato conferito il riconoscimento di imprenditrice più innovativa dell’anno (EU Woman Innovator)”.

Ha raggiunto traguardi importantissimi. Ne possiamo convenire che il suo curiosare e spaziare da una dimensione all’altra è un agire vincente?

“In effetti sono dimensioni che s’intrecciano. Essendo architetti, i miei genitori mi avevano introdotta nel loro mondo sin dall’età di dieci anni, quando mi facevano fare i progetti con loro. Su quelli relativi agli edifici delle Facoltà di Ingegneria edile e di Giurisprudenza dell’Università di Fiume, oltre alla firma di mio padre, vi è anche la mia in qualità di coautrice. Mi hanno insegnato a fare architettura d’informazione che, nel corso della mia carriera, ho trasferito nel digitale arrivando, infine, alla dimensione della musica. A seguire ho cominciato a fare tanta ricerca sul connubio tra arte e scienza che, essendo parte della mia ricerca di dottorato, mi ha portata a tenere svariate conferenze sulla tematica negli Stati Uniti e vincere anche il premio NEM “l’arte incontra la scienza”, indetto dalla Commissione Europea”.

Ora vive a Umeå, in Svezia.Come mai?

“Nel 2014, con mio marito Andrew, che è un neozelandese con radici scozzesi, ci siamo resi conto che quello che stava facendo il governo britannico non andava bene, anzi, accadeva esattamente il contrario. Nel mentre ci hanno contattati dalla Svezia, invitandoci a venire lì. Siamo andati via prima della Brexit. Da quattro anni a questa parte, dopo la stessa, ho avviato svariate nuove realtà, quali la piattaforma MTF Labs e la Industry Commons Foundation. Sono membro della Tavola rotonda ad alto livello della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen in seno all’iniziativa New European Bauhaus, consulente del CERN IdeaSquare e abbiamo instaurato anche svariate interessanti collaborazioni con la Croazia, tra cui quella con il Centro di cultura tecnica (CTK), con l’associazione FabLab di Zagabria, con l’Alleanza croata di cultura di Fiume, con l’Infobip e altri”.

Dove si vede nel futuro?

Alla MTF Labs diciamo sempre che noi non prevediamo il futuro, lo inventiamo.

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