INTERVISTA Dino Škamo: combattere l’indifferenza

Con Dino Škamo, comandante del 4º turno dei Vigili del fuoco professionisti di Fiume, che ha coordinato le azioni sul campo durante il nubifragio del 28 settembre

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INTERVISTA Dino Škamo: combattere l’indifferenza
Dino Škamo. Foto: RONI BRMALJ

Eroi di ogni giorno, che affrontano il pericolo con straordinario coraggio e con una tenacia che li spinge a superare qualsiasi ostacolo, a spezzare ogni barriera e a salvare vite e cose, ma soprattutto vite. Spesso il loro ruolo viene dato (ingiustamente) per scontato – certo, è il loro mestiere –, ma l’importanza, l’essenzialità del loro lavoro riusciamo a capirla veramente solo nei momenti d’estremo rischio, come quello che Fiume ha vissuto lo scorso 28 settembre. Una data che rimarrà scolpita nella nostra mente, in cui la città è stata percossa da un nubifragio inaudito, mai visto finora da queste parti. Così almeno dicono, ma lo confermano anche i dati ufficiali sulla quantità di pioggia caduta nelle lunghe ore di durata del maltempo. Ore di panico, di sconforto, di profonda incertezza, paura, a momenti anche terrore (è morta una persona), in cui la vita si è piegata al ruggito della natura. Una violenza che ci ha fatto sentire piccoli e impotenti, ma che non è riuscita a fermare loro, i Vigili del fuoco, nei loro fondamentali interventi sul campo – attorno ai 200 quella sera, tra centro città e Anello fiumano, con l’uscita soltanto nell’area di Fiume di circa 40 pompieri professionisti, più le due unità volontarie cittadine (Sušak e Drenova), una attiva e l’altra rimasta in allerta –, eseguiti come sempre in maniera ineccepibile. Temerari del nostro tempo (e di altri tempi), appunto. Uno di loro è Dino Škamo, comandante del 4º turno dell’Unità dei Vigili del fuoco professionisti di Fiume, che ha coordinato, la sera del diluvio, dal suo ufficio in via Krešimir, tutte le azioni sul campo.

Scenario inevitabile
“A mente fredda, ma col cuore a mille”, ha esordito durante un colloquio da noi voluto per farci raccontare l’esperienza dal punto di vista dei pompieri, veri protagonisti del caso. A dieci giorni dal disastro, sono tante le domande che da cronisti ci poniamo, forti però della consapevolezza che le cose sarebbero potute finire ben peggio se gli interventi degli addetti ai soccorsi non fossero stati tali da scongiurare i vari pericoli. Uno dei nostri quesiti ha riguardato l’entità dei danni subiti dai vari edifici in seguito agli allagamenti provocati dal nubifragio. Con la calamità naturale che ha colpito Fiume, si sarebbe potuta prevenire una cosa del genere? Ridurre, in qualche modo, la consistenza degli stessi? “Difficile, per non dire impossibile – ci ha risposto Dino Škamo –. La quantità di pioggia caduta quella sera è un dato reale e già questo dovrebbe bastare per dissipare ogni dubbio. Abbiamo vissuto tutti assieme un momento di forte impotenza, compresi noi pompieri, per quanto abituati a ogni sorta di rischio. È stata una di quelle circostanze in cui uno può fare poco o niente di fronte alla violenza e alla caparbietà della natura. Sono eventi fortunatamente rari, ma che ci dimostrano quanto piccoli siamo. Certo, una volta rientrato il pericolo, è facile lanciare sentenze, puntare il dito contro i potenziali responsabili, cercare i colpevoli, magari seduti comodamente davanti alla tastiera di un computer o con uno smartphone in mano, ma quando succedono eventi del genere, chi critica dovrebbe pensare due volte prima di esternare le cose, farlo con maggiore cognizione di causa. Personalmente, non mi permetterei mai di accusare a destra e a manca senza essermi documentato in modo approfondito e avere sentito il parere degli esperti”. Quest’affermazione è seguita al fatto – da noi fattogli presente – che nei giorni successivi al diluvio, diverse critiche sono state mosse sui social e nei media contro le autorità cittadine e le municipalizzate competenti, circa un’eventuale scarsa manutenzione e pulizia del sistema di drenaggio delle acque meteoriche, dei tombini e delle caditoie, come ad esempio in via Krešimir, dove gli allagamenti in caso di piogge più intese, sono generalmente più consistenti che in altri punti della città, nonostante i lavori effettuati di recente. Anche nell’ultimo caso, gli edifici nei rioni di Braida e Potok sono stati i maggiormente invasi dall’acqua, seppure la stima esatta dei danni la si potrà avere soltanto a conclusione delle valutazioni dei periti, ancora impegnati nei sopralluoghi. “Non è mio compito esprimermi al riguardo, mi mancano gli elementi per farlo ed è competenza di altri, ma da Vigile del fuoco con trentennale esperienza alle spalle, posso confermare che le zone da lei indicate sono sempre state tra le più critiche in casi di forte maltempo, oggi come vent’anni fa. Anzi, le dirò di più. Nell’ultimo nubifragio, non c’è stata regola: ad avere la peggio sono state altre zone del centro, in primis via Rački, ma anche Scoglietto, via Fiumara, il Corso. Non c’è stato punto, quella sera, che è riuscito a salvarsi dall’impeto della pioggia. In quanto al grado di pulizia dei tombini, da pompiere non posso dire più di tanto, gli indirizzi a cui chiederlo sono altri. Posso, però, affermare che anche in caso di funzionamento impeccabile, e non dico non ci sia stato, i danni sarebbero stati gli stessi vista la violenza del diluvio. Quando succedono eventi simili, bisogna sempre tenere di conto la particolare configurazione di Fiume. Non dico che la crescente urbanizzazione non abbia influito sulle cose, ma non mi sento di dubitare del fatto che i progettisti dei nuovi edifici o della ristrutturazione di quelli vecchi, abbiano valutato male le cose”.

«Non voltiamo la testa»
Risolta la questione tecnica, con Dino Škamo ci siamo soffermati su quella umana, chiedendogli di darci un consiglio su come comportarci in casi come quest’ultimo, in cui uno si ritrova improvvisamente a non potere reagire. “Il mio suggerimento ai cittadini è di non fare mosse azzardate, ma di cercare di mantenere sangue freddo e di chiamare i soccorsi. L’essenziale è tentare di preservare sé stessi, ovviamente quanto le circostanze lo consentono. È naturale che la paura e il panico blocchino la persona quando si vivono momenti di potenziale pericolo. Proprio per questo motivo, è importante cercare di rimanere calmi e di riflettere con quanta più lucidità. Lo so, è difficile, ma in casi come quest’ultimo, un atteggiamento simile può risultare di grande aiuto. Quello che, però, desta in me grande preoccupazione è il livello d’indifferenza e la scarsa empatia a cui abbiamo assistito in relazione al tragico caso avvenuto in via Rački, dove un uomo ha tentato invano, con uno sforzo immane, di salvare la vita a un suo simile, senza che nessuno dei presenti in zona gli corresse in aiuto. Quella vita, in circostanze diverse, sarebbe potuta venir salvata. È stata una grande lezione, io non ci ho dormito la notte, ma anche la dimostrazione di quanto ci siamo chiusi in noi stessi, diventando egoisti. Prima di voltare la testa dall’altra parte, dovremmo vestire i panni altrui, chiederci come ci sentiremmo se al posto di quella persona ci fosse un nostro caro, o magari noi stessi, e nessuno si degnasse di porgerci aiuto. Quanto accaduto quella sera dovrebbe essere uno sprone alla società a migliorarsi. L’educazione, l’imparare a comportarsi, ad agire in determinati momenti, è di essenziale importanza. Dei deterrenti, in questo senso, potrebbero essere iniziative e azioni volte a sensibilizzare la gente sull’importanza dell’aiutare”, ha precisato.

«Un pugno nello stomaco»

“La morte dell’uomo in via Rački rappresenta per me un pugno nello stomaco. Avremmo potuto salvarlo se solo le nostre squadre fossero state avvertite prima. Mi dispiace non essere intervenuto di persona”.

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