Il faro di Fiume. 135 anni e non sentirli

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Il faro di Fiume. 135 anni e non sentirli

“Ora erano molto vicini al faro. Eccolo che si stagliava, nudo e dritto, abbagliante di bianco e nero, e si vedevano le onde rompersi in schegge bianche come vetro infranto contro gli scogli. Si vedevano le venature e le spaccature degli scogli. Si vedevano chiaramente le finestre; un tocco di bianco su una di esse, e un ciuffo di verde sullo scoglio. Un uomo era uscito e li aveva guardati con il cannocchiale ed era rientrato. Ecco com’era il faro, pensò James, che per tutti quegli anni avevano visto attraverso la baia; era una torre nuda su una roccia deserta”. Lo descrive così, in un breve passo, la grande scrittrice inglese Virginia Woolf, nel suo libro “Gita al faro” (titolo originale: To the lighthouse) del 1927: parole semplici, ma dal significato profondo, che abbiamo cercato di proposito per raccontare la storia del nostro faro, quello di Fiume, costruito nel lontano 1884 in cima al Molo Maria Teresa, l’odierno Molo longo, e trasferito poi nel suo attuale sito, in via Milutin Barač, ex via dell’Industria, nel rione di Mlaka.

Evoluzione a pari passo con la navigazione

I fari hanno da sempre solleticato l’interesse e affascinato l’immaginario collettivo, innanzitutto perché nascono in epoche lontanissime e la loro evoluzione va di pari passo con l’evolversi della navigazione. La storia racconta che all’inizio erano soltanto dei semplici falò alimentati a legna, e venivano tenuti accesi durante tutta la notte sulle colline affacciate su zone pericolose per la navigazione o negli ingressi di rade e porti, per poi svilupparsi attraverso i secoli fino a diventare quelli che oggi tutti conosciamo. Le prime torri in pietra, con un fuoco acceso sulla sommità, nacquero con l’Impero romano, e si espansero poi non soltanto nel Mediterraneo, ma dovunque arrivasse la conquista Romana. Alla caduta dell’Impero, seguirono i secoli bui del Medioevo e anche molte luci sul mare si spensero. In quel periodo, soprattutto nel Nord Europa, furono i campanili dei monasteri a svolgere questa funzione. L’epoca del Rinascimento e del Barocco – scrive il sito www.ilmondodeifari.com – vide sorgere grandi fari monumentali, veri e propri castelli in mezzo al mare, costruzioni bellissime, ma poco adatte a svolgere il compito per cui erano state erette. Soltanto a partire dalla fine del XVIII e nel corso del XIX secolo, i fari raggiunsero la connotazione da noi oggi conosciuta.

Una storia particolare e travagliata

Il faro di Fiume sorse proprio in quell’epoca, alla fine dell’Ottocento, e presenta una storia molto particolare e, per alcuni versi, travagliata come, d’altronde, lo è anche quella della nostra città. Fu costruito su progetto architettonico di Lajos Luigi Burgstaller – che firmò anche quello del complesso dei magazzini portuali Metropolis, sorti a inizio Novecento –, e su commissione dell’allora Governo marittimo ungherese, in un periodo di grande prosperità per Fiume. Illuminò per la prima volta l’orizzonte del mare il 26 novembre 1884. Da allora sono trascorsi 135 anni, ma il faro fiumano ha mantenuto intatta la sua bellezza, senza perdere fascino. Ce ne siamo resi conto di persona durante una visita in cui ci siamo arrampicati in cima – su previa concessione dell’azienda statale Plovput, con sede centrale a Spalato, che gestisce tutti e 46 i fari presenti attualmente in Croazia –, per fiutare l’aria che si sprigiona da lì e per ammirare dall’alto Fiume, in tutto il suo splendore. Perché la vista che si presenta, una volta saliti, non ha davvero prezzo e giustifica appieno il mito di queste particolari strutture al servizio della navigazione, l’attrazione che l’uomo da sempre prova verso di esse. Una delle particolarità del faro fiumano, che lo rende diverso dagli altri, sta nel fatto che nel corso della sua lunga esistenza fu smantellato e rimesso in piedi due volte, la prima nel 1893, quando le fondamenta del Molo Maria Teresa, poggianti sul fondale marino a 40 metri di profondità, iniziarono a sprofondare mettendo in serio pericolo la stabilità della costruzione. Il faro fu trasferito sul suo attuale sito e nuovamente fortificato, a livello di suolo, senza piedistallo. Rimase così per quarant’anni per venire smontato un’altra volta nel 1933 e posizionato, su progetto di Andrea Bayer, sul tetto dell’odierna struttura, che ospita oggi la filiale fiumana della Plovput e al quinto piano la Stazione radio costiera, altra peculiarità del faro di Fiume. Nessuno di quelli presenti lungo la costa croata accoglie infatti un istituto di questo tipo. Dagli iniziali 29 metri d’altezza, dopo il trasferimento in Mlaka ne ha ottenuti altri 9. Oggi è alto 38 metri e ha una portata di 16 miglia nautiche. Ogni dieci secondi, sprigiona un fascio di luce bianca, rendendosi ben visibile alle imbarcazioni in entrata nel porto. Dopo il suo spostamento in via Milutin Barač, il faro fiumano ha cambiato aspetto e ad oggi, la sua parte rivolta al mare, è ricoperta in alternanza da fasce di vernice orizzontali, nere e bianche. Che esso sia particolarmente attraente, lo dimostra infine anche il fatto che nel 1937 fu realizzata a Budapest una sua esatta replica, come monumento in onore ai caduti ungheresi della Grande guerra. La scultura non ebbe però lunga vita e venne distrutta durante uno dei bombardamenti della città.

Quella luce che illuminò l’orizzonte

“Il tratto di scogliera che si estendeva nell’ultima parte della riva e che era rimasto abbandonato per lungo tempo, si era rivelato insufficiente a proteggere il porto dalle violente mareggiate. Infatti, in più di un punto, la parete aveva ceduto, lasciando libero il passaggio ai marosi (…). Occorreva perciò utilizzare questa parte della diga e ridarle una funzione nel nostro porto. Così è stato fatto. L’impresa fiumana dei Lavori Portuali, diretta dal Cav. Uff. Zancan, fu incaricata dei lavori ed iniziò alacremente l’opera. Difficoltà enormi si frapponevano: la profondità del mare, di circa 45 metri nel punto estremo della diga, era un baluardo quasi insormontabile. Si dovette ricorrere all’opera dei palombari, che con assiduità ingegnosa ed ardita scandagliarono il fondale marino e la vecchia costruzione, abbattendo le pareti pericolanti e segnalando le basi per depositare nuovi massi. Furono allora affondati numerosi massi di cemento, provenienti dal cantiere di Costabella e quantitativi enormi di detriti e rocce che consolidarono la diga per un tratto di circa 25 metri, allargandola come la parte vecchia (…). Dai magazzini al faro la diga è lunga circa 250 metri e descrive un angolo piuttosto accentuato verso il mare aperto (…). Quest’opera è costata la somma di 2.385.000 lire”. Così scriveva “La Vedetta d’Italia” del 28 ottobre 1933, nell’articolo intitolato “Il prolungamento della diga Cagni”, riportando una vecchia immagine del faro ottocentesco sul Molo longo, scomparso con l’avanzamento del molo. Il passo qui riportato è stato ripreso dal libro “Lo stradario di Fiume”, di Massimo Superina.

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