Emergenza migranti. C’è il container docce

Numerosi volontari porgono quotidianamente una mano amica

0
Emergenza migranti. C’è il container docce
Fiume per i migranti è soltanto una delle tante tappe. Foto: RONI BRMALJ

Ormai è chiaro che Fiume è una tappa su una delle rotte europee dei migranti e che, probabilmente, lo rimarrà per diverso tempo. Le strutture locali, Città, Croce rossa, Caritas, Ferrovie e Questura, adottano quotidianamente i protocolli per i migranti in transito offrendo pasti e servizi igienici. A breve distanza dalla Stazione ferroviaria, nell’area a Ovest dell’ex Casa del ferroviere (Magazzino 33), ieri mattina è arrivato il secondo container con l’acqua potabile e le docce. L’altro container, operativo da venerdì scorso, viene utilizzato come magazzino dai volontari della Caritas. Abbiamo voluto sentire proprio da quest’ultimi come funzionano i servizi offerti in loco al flusso di migranti che quotidianamente arrivano, per poi ripartire da Fiume.

Missione
“Faccio parte della Jesuit Refugee Service (JRS), un’organizzazione cattolica internazionale, attiva in 57 nazioni, la cui missione è accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati. Quella che rappresento ha la propria sede in Bosnia ed Erzegovina, ma s’avvale di una filiale anche a Zagabria. Aiutiamo tutti coloro che sono lontani dalle proprie case a causa di conflitti, tragedie umanitarie o violazioni dei diritti umani e collaboriamo molto con la Comunità di Sant’Egidio di Padova”, ci ha spiegato Emina Hosić, una delle coordinatrici delle attività d’assistenza inerenti agli immigrati nel Centro d’accoglienza fiumano. “Sono qui da un paio di giorni dato che l’organizzazione interviene ovunque i bisogni degli sfollati siano urgenti e/o trascurati da altri. Fiume ha ora bisogno d’aiuto. La mia intenzione primaria, oltre all’assistenza a livello umanitario, è trasmettere energia positiva di cui, in questo momento, tutti hanno bisogno”. L’esperienza relativa alle dinamiche dei migranti non le è nuova in quanto, in concomitanza con la JRS, è attiva dal 2018, per cui la conosce molto bene.

La volontaria Emina Hosić.
Foto: ORNELLA SCIUCCA

Voglia di fare
“La Bosnia è ormai abituata a situazioni come queste e, di conseguenza, le affronta con meno tensione. Vi agisconoo una quindicina di centri umanitari, vi sono quattro campi di accoglienza, due a Bihać e due a Sarajevo e tutto è molto ben organizzato, dalla distribuzione dei pasti alle necessità igieniche. Venendo a Fiume, ciò che mi ha colpito sin da subito è la voglia, da parte di tante persone, soprattutto giovani, di aiutare e cercare di fare qualcosa, il loro desiderio di cambiare le cose. Dall’altro lato comprendo anche le preoccupazioni di coloro che sono titubanti nei confronti di questo fenomeno. Anche se, dal punto di vista storico, i flussi migratori ci sono sempre stati, le persone per natura sono diffidenti. Oggi i tempi sono complicati, non sai mai chi ti ritrovi davanti, per non parlare di tutte le altre problematiche coinvolte: fisiche, amministrative, politiche”. In merito ai container appena collocati, Hosić ha rilevato che, in uno di essi si raccoglieranno vestiti, scarpe, coperte da distribuire al loro arrivo, mentre nell’altro i fruitori potranno farsi la doccia. A parte, invece, sono stati installati due bagni toilette mobili.
“Purtroppo, però, non vi sono ancora soluzioni relative alla sistemazione dei migranti durante la notte e, per il momento, dormono per terra, lungo la Stazione”, ha ancora rilevato. Ma come si muovono i rifugiati nel momento in cui arrivano a Fiume? “Fondamentalmente rimangono nei pressi della Stazione ferroviaria. O aspettano il treno o raggiungono la stazione delle corriere e ripartono subito. Fiume per loro rappresenta soltanto un momento di passaggio. La maggior parte riceve un permesso di soggiorno (da parte della Questura) della durata di 7 giorni, per cui non possono fare diversamente. Le loro mete sono Paesi quali l’Italia, la Spagna, la Germania. Trattasi per lo più di persone molto giovani (il 90 p.c.), generalmente molto insoddisfatte della loro vita nei Paesi da cui provengono, che sono fondamentalmente il Pakistan, l’Iran, l’Iraq, la Libia e, ultimamente, il Burundi. Dalle loro storie, che sono tutte intrise di sofferenza e sempre raccontate a metà, si evince che hanno dovuto affrontare grandi prove di vita, per alcuni di noi inimmaginabili, ma che non hanno perso la speranza di trovare un futuro per sé e per quella parte della famiglia che non li ha potuti seguire. Ognuno sulle proprie spalle porta un grosso peso, un percorso, un bagaglio. In quanto individui, persone, istituzioni sarebbe bello che ognuno di noi gli parlasse, li ascoltasse e capisse, almeno in parte, le ragioni per cui sono qui. Sarebbe bello, insomma, se la coscienza collettiva si svegliasse un pochino”.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display