L’importanza del riciclo e nuova vita del vestiario

L’industria del ramo tessile è divenuta la seconda fonte più dannosa per l’ambiente e dal complesso smaltimento, per cui molte realtà anche a livello locale sono impegnate in pratiche sostenibili

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L’importanza del riciclo e nuova vita del vestiario
A Isola scambio di vestiti e accessori. Foto: MARIELLA MEHLE

Sono finite le feste e sono iniziati i saldi, che hanno sostituito i colori delle luci natalizie con gli adesivi fluorescenti dei prezzi scontati. Se un secolo fa ci avessero detto che, nel futuro, la moda sarebbe stata alla portata di tutti, ci sarebbe sicuramente sembrata una notizia meravigliosa ed egualitaria. Non avremmo potuto immaginare che quella dell’abbigliamento sarebbe divenuta una delle industrie più dannose per l’ambiente, seconda soltanto all’industria dei combustibili fossili, oltre ad accentuare le ingiustizie del divario sociale. Eppure è così. L’industria globale del tessile genera attualmente 1,7 milioni di tonnellate di gas serra e 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno, il che significa che ogni secondo un camion carico di materiali scartati finisce nelle discariche o negli inceneritori collocati generalmente nei Paesi più poveri. Secondo le stime, inoltre, gli abitanti della Slovenia superano addirittura la media europea per quanto riguarda la quantità di vestiti cestinati e per il numero di acquisti nella cosiddetta “fast fashion”, ovvero la moda veloce. Un tempo questo era un settore riservato all’aristocrazia o alle classi più alte della borghesia, mentre l’acquisto di vestiti era per i meno abbienti un evento occasionale, collegato al cambio di stagione o alla crescita. Negli ultimi cinquant’anni, tuttavia, hanno fatto capolino nel mercato delle nuove aziende, che, con abiti ad esempio a prezzi standard di 9 euro e 99 centesimi, permettevano di vestirsi come le celebrità e indossare le ultime tendenze delle passerella. Il nuovo consumismo gioca con l’idea che ripetere l’outfit sia un passo falso e che il proprio valore vada sfoggiato anche tramite l’esibizione dell’abbigliamento, che deve essere continuamente rifocillato dalle catene globali di “fast fashion”, “ultra fast fashion” e dallo shopping online. Il problema è che, dietro a questi prezzi invitanti, oltre a una bassa qualità si cela un costo reale molto più alto, nocivo e dannoso. Il crollo di un complesso produttivo in Bangladesh nel 2013 è stata la prima delle molte tragedie che hanno dimostrato l’insostenibilità del processo produttivo e le condizioni abusanti dei lavoratori, che spesso operano in ambienti pericolosi, con salari bassi e senza la tutela dei diritti umani fondamentali. Molte volte sono minorenni privati dell’accesso all’istruzione. In natura, inoltre, i coloranti tossici e le micro-fibre rilasciati nei corsi d’acqua vengono ingeriti dalla fauna terrestre e marina, nonché dall’uomo, con effetti devastanti. Negli ultimi anni è emerso un nuovo grave problema, che riguarda il ciclo di utilizzo di questi indumenti dai bassi prezzi e dalla ancor più bassa qualità. Fotografie di discariche piene di stoffe, colonne di abiti accatastati insieme alla polvere, il fumo che sale da inceneritori sembrano preannunciare un pianeta ricoperto da rifiuti e fuliggine. Il danno, oltre che alla salute, avviene anche nella mente dei consumatori, che si trovano imbrigliati dal circolo vizioso del costante bisogno e della finale insoddisfazione. Fortunatamente, sia tra i produttori che tra gli acquirenti, c’è anche chi ha voluto sottrarsi al sistema usa-e-getta, iniziando a pensare in modo più sostenibile e rispettoso dell’ambiente, dei lavoratori e dei cittadini. In questi giorni anche il Comune di Ancarano ha riportato una lista di consigli utili ad arginare questa montagna di scarti. Non c’è bisogno di buttare gli abiti nella spazzatura, poiché si possono vendere online sulle nuove applicazioni disponibili, si possono donare a enti di beneficenza e rifugi per animali, si possono riutilizzare in casa per fare pulizia o giardinaggio e, addirittura, è possibile utilizzare le fibre naturali per accelerare i processi di compostaggio. Inoltre, negli ultimi anni anche in Slovenia i negozi di abiti usati hanno vissuto una rinascita grazie alla maggiore attenzione rivolta alle questioni ambientali e sociali. In questo filone si sono inseriti anche i Comuni istriani e in particolare le Associazioni locali, come ad esempio il Centro giovani di Capodistria o il Club degli studenti di Isola, nell’ambito dell’economia circolare e delle pratiche sostenibili, organizzando periodicamente momenti di scambio di abiti, calzature e accessori.

L’offerta di capi d’abbigliamento.
Foto: MARIANGELA PIZZIOLO

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