Toni Kukoč nella Hall of Fame delle stelle NBA

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Toni Kukoč nella Hall of Fame delle stelle NBA

Nella notte tra sabato e domenica Toni Kukoč è entrato ufficialmente nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. Il fuoriclasse di Spalato ha inciso così il proprio nome accanto alle altre leggende del basket croato già presenti nella Casa, ovvero Dražen Petrović, Krešimir Ćosić, Mirko Novosel e Dino Rađa. Un riconoscimento dovuto per un autentico fenomeno nel cui palmarès figurano tre titoli NBA con i Chicago Bulls di Michael Jordan (1996-1998), tre Coppe dei Campioni con la Jugoplastika (1989-1991), due argenti olimpici con Jugoslavia (Seul 1988) e Croazia (Barcellona 1992), un oro mondiale (1990) e due europei (1989 e 1991) sempre con la Jugoslavia, oltre a un’infinità di altre medaglie e premi individuali. Nel 2017 era entrato nella Hall of Fame della FIBA e ora, finalmente, anche quella dell’NBA, anche se ci sono volute ben otto nomination prima di entrarci. Nella cerimonia tenutasi a Springfield, Massachusetts, Kukoč è stato accompagnato sul palco nientepopodimeno che da Michael Jordan e dal proprietario dei Bulls Jerry Reinsdorf. L’ex cestista ha tenuto un lungo discorso ringraziando tutti gli allenatori, compagni di squadra, avversari, amici e familiari. Insomma, tutte le figure fondamentali nella sua carriera.
“Mio padre è stato fondamentale nell’infondermi l’amore per lo sport – ha sottolineato subito all’inizio –. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di giocare per due Paesi grandiosi, Jugoslavia e Croazia, e ho avuto successo con entrambi. Ovviamente ho giocato al fianco di compagni fortissimi, alcuni dei quali sono già membri della Hall of Fame come Dražen Petrović, Dino Rađa e Vlade Divac. Inoltre vorrei ringraziare questo gentiluomo qui di fianco, Michael Jordan, e Scottie Pippen, per avermi preso a calci nel sedere alle Olimpiadi di Barcellona e in questo modo avermi motivato a lavorare ancora più duramente. La mia gratitudine va anche al qui presente Jerry Reinsdorf e al compianto Jerry Krause per aver insistito nel volermi portare a Chicago e aver creduto in me quando era raro che giocatori non americani sbarcassero in NBA”.

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