Raccolta delle olive: una tradizione millenaria (foto)

Ottobre e novembre rappresentano il periodo in cui si procede con un’attività che si rinnova di anno in anno, tra vecchi trucchi del mestiere e metodi innovativi, puntando a produrre un olio extravergine raffinato e di qualità, che sappia stuzzicare ogni tipo di palato. Una delizia gastronomica, sana e ricercata, in grado di dare un qualcosa in più a ogni nostro piatto

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Raccolta delle olive: una tradizione millenaria (foto)
Raccogliere olive non è un lavoro facile, ma concede tante soddisfazioni, innanzitutto quella di stare a contatto con la natura

L’olio extravergine di oliva rappresenta un prodotto raffinato, sano, ricco di sostanze nutritive, ricercato, molto diffuso nelle zone dall’Istria alla Dalmazia, senza tralasciare il Quarnero. A produrlo ormai sono in tanti, c’è chi lo realizza per il mercato industriale, chi per la propria attività a conduzione familiare e chi lo produce per tradizione e per passione, perché appassionato di agricoltura.

In ogni caso il periodo che va da inizio ottobre fino alla prima metà di novembre nelle campagne del nostro territorio a fare da protagonista assoluta è la raccolta delle olive. Questa attività scandisce il ritmo delle giornate e dei weekend, soprattutto per chi ha un altro lavoro e deve occuparsi di questo impegno nel tempo libero. Non sono poche le persone che sfruttano le ferie o i giorni liberi proprio per raccogliere le olive e trasformare questo frutto nel prezioso olio extravergine di oliva.
Le prime tracce storiche di questa prelibatezza risalgono addirittura al 4000 a. C. quando nelle zone dell’odierna Armenia e Palestina veniva utilizzato come unguento medicinale o come sostanza per l’alimentazione delle lampade a olio. Qualche millennio dopo, attorno al 2500 a. C. i Babilonesi e in seguito i Greci commercializzarono e diffusero tale alimento nel Mediterraneo. I Romani diramarono l’olio di oliva, ma anche la coltivazione degli olivi in tutto l’Impero, raggiungendo addirittura il Nord Europa. Furono proprio i Romani a sviluppare la spremitura meccanica a freddo, tecnica di lavorazione che non altera il grado di acidità libera – più basso è questo valore migliore è la qualità dell’olio – e non modifica le caratteristiche organolettiche del prodotto, come il colore, la forma, il sapore e la consistenza. Nei secoli successivi la produzione di questo bene ha visto molti alti e bassi; assieme al decadimento dell’Impero Romano, anche l’olivicoltura fu quasi del tutto dimenticata, tranne che in alcune zone. Nel Medioevo fu la borghesia commerciale a intuire che l’olio EVO fosse fonte di grande guadagno e ne sostenne la sua commercializzazione, trasformando attorno al 1400 l’Italia nel suo maggiore produttore. Nel corso del Rinascimento le abbazie si ersero a custodi delle piante aromatiche e delle erbe medicali e ciò evitò che le viti e gli ulivi fossero abbandonati. Fu nel Settecento che si avvertì la vera potenzialità dell’olivo e se ne diffuse la coltivazione in gran parte d’Europa, esportandolo in America, ma inizialmente non ebbe grande successo, oltreoceano la sua vera diffusione si ebbe a inizio Novecento grazie ai tanti immigrati greci e italiani. Successivamente al secondo dopoguerra e al conseguente boom economico l’olio di oliva venne considerato un bene alimentare povero e a lui si preferì il consumo di grassi animali, percepiti come più nutrienti. Nell’ultimo periodo l’associazione della dieta mediterranea a una tipologia di alimentazione sana ed equilibrata ha riportato in auge questo prodotto, confermandolo uno dei condimenti più salutari ed equilibrati.

Epoche lontane
In Istria e sulle isole del Quarnero la produzione di olio risale all’epoca preromana quando probabilmente coloni Fenici e Greci avviarono la coltivazione degli olivi. I Romani compresero fin da subito la naturale predisposizione di questi territori che, legata al clima favorevole, garantiva la produzione di un prodotto eccellente e ne aumentarono la coltivazione, sfruttando la posizione geografica e puntando sul commercio lungo il Danubio. Marziale, famoso poeta romano, definì l’olio d’Istria il migliore di tutti.
Nel periodo post-romano in Istria, a differenza di altre parti d’Europa, la coltivazione dell’olivo si mantenne nei secoli, anche se affrontò periodi più o meno bui. La produzione di questo bene ebbe grande diffusione nel periodo del dominio asburgico, in quanto la monarchia sfruttò il suo potenziale, lo esportò e commercializzò nei suoi domini. Nella prima metà del Novecento per ridare vigore alla produzione di olio EVO, oltre alle varietà autoctone furono introdotte nuove varietà d’importazione. La Seconda guerra mondiale devastò l’agricoltura e mise in serio pericolo la sopravvivenza dell’olivicoltura radicata da secoli nelle campagne quarnerine e istriane. La tenacia e la perseveranza dei contadini locali garantirono la sopravvivenza di questa tradizione millenaria trasformandola oggi nel fiore all’occhiello della penisola al punto che l’Istria si è guadagnata l’appellativo di Toscana della Croazia.

Giornata tipo
Ma come si svolge oggi la giornata tipica dei raccoglitori di olive? Si distingue molto dalle tradizioni dei nostri nonni e bisnonni che lavoravano gli olivi per produrre l’olio per soddisfare le necessità familiari. All’epoca la raccolta iniziava dopo il 25 novembre, giorno di Santa Caterina, comprendeva i soli componenti della famiglia ed era caratterizzata dal freddo intenso dovuto a temperature più basse rispetto a quelle odierne e a pungenti raffiche di bora. Allora come attualmente, per prima cosa bisognava fare attenzione al meteo, se pioveva si rimandava tutto a un altro giorno. Tutt’oggi non si fa niente sotto la pioggia o in mezzo alle pozzanghere, le olive marcirebbero e la qualità dell’olio ne risentirebbe. Una volta era l’esperienza dei contadini a determinare se la giornata fosse giusta per il raccolto, oggi la tecnologia ci aiuta molto con le applicazioni delle previsioni del tempo per gli smartphone. Appurato che non ci sia pioggia in vista e che il tempo regga, se la giornata è soleggiata si va in campagna già di prima mattina, oppure si aspetta qualche ora affinché la rugiada si asciughi per evitare di rovinare le olive che verranno buttate a terra.
Per gran parte del secolo scorso la raccolta durava molto di più, non c’erano macchine che scuotessero i rami, o che facessero tremare il tronco per far cadere i frutti, ma le olive si raccoglievano a mano una a una e si riempivano i “balighi”, apposite sacche di tessuto che si tenevano a tracolla o legate alla vita, molto spesso realizzate dalle mogli dei contadini. Oggi non vengono quasi più usati, o comunque molto poco, principalmente sugli alberi sotto ai quali non si possono mettere le reti. Infatti, stendere le reti è la prima cosa da fare all’inizio della raccolta. Bisogna posizionarle accuratamente ai piedi delle piante e attorno ai tronchi, facendo attenzione a non lasciare buchi o spazi vuoti nei quali le olive potrebbero infilarsi. Conclusa questa fase, si passa alla raccolta vera e propria e i modi per affrontarla sono diversi, dipendono soprattutto da quanto è esteso l’uliveto, dal lavoro da fare e anche dagli introiti che ci saranno una volta venduto il prodotto finale. Le attività a conduzione familiare, affermate e quelle legate all’industria, possiedono macchinari tecnologici avanzati, come ad esempio appositi trattori con dei bracci meccanici che “afferrano” il tronco, scuotendo l’intera pianta e facendo così cadere le olive. L’ultima tecnologia in questo settore è la “macchina ombrello”, ai bracci meccanici, di cui sopra, è attaccato un ombrello dal diametro variabile, che si apre a mo’ di imbuto sotto l’albero, così quando le olive cadono, finiscono direttamente in questo strumento, senza bisogno di raccoglierle dalle reti. I comuni mortali, invece, si accontentano di strumenti molto meno costosi e più alla portata di mano, o meglio di portafoglio. Ciò comporta, però, un maggiore lavoro manuale.

Attrezzatura che aiuta
Oggigiorno quasi tutti i contadini possiedono un abbacchiatore scuotitore elettrico, che consiste in una specie di rastrello o pettine, con le estremità mobili, le quali scuotono i rami e fanno cadere le olive. Questa macchina permette di accelerare il lavoro, mentre con i rastrelli normali si impiega molto più tempo e si fa più fatica per staccare gli acini dall’albero. Oltre a essere un impegno, la raccolta delle olive è anche un momento di aggregazione, intere famiglie si ritrovano in campagna e passano lunghe giornate assieme chiacchierando, scherzando, anche discutendo, adattandosi però al ritmo della natura e riassaporando quella che è la vita contadina. Le giornate trascorrono in mezzo all’uliveto, dove ci si ferma a mangiare godendosi un pasto ristoratore ampiamente meritato. Sia chiaro, non si tratta di un quadretto bucolico e idilliaco come descritto in alcune opere pastorali. Richiede un lavoro lungo, impegnativo e faticoso, ma che in qualche modo rappresenta un ritorno alla natura. Una natura a volte benevola, che concede raccolti abbondanti, ma in altre cruda e aspra, che sa devastare le piantagioni con tempeste, piogge, gelate e forti venti e rende vano il lavoro di un anno intero.
Raccolte le olive, inizia la parte più noiosa: separarle dalle foglie in quanto queste non sono utili alla produzione dell’olio e appesantiscono solo il carico che verrà portato all’oleificio per la lavorazione. Di solito, una prima pulizia viene fatta già quando le olive vengono raccolte dalle reti e buttate nelle cassette; qui si separano rami, rametti e foglie dal resto del raccolto, ma in tale modo è difficile eliminare tutto il fogliame in eccesso. Nella maggior parte dei casi le cassette vengono pulite ulteriormente in un secondo momento, prima di portarle al torchio. Anche in questo caso ci sono diversi modi per affrontare il lavoro, quello più impegnativo è ovviamente il lavoro manuale, ma esistono anche le defogliatrici manuali o elettriche che velocizzano la procedura e garantiscono un risultato migliore. All’oleificio bisogna pagare la “mita”, cioè per ogni chilogrammo di olive portato bisogna pagare una certa somma, che varia annualmente e quest’anno si aggira attorno ai 30 centesimi di euro. Di conseguenza, non conviene appesantire il carico con foglie che verranno eliminate.

Tra passato e presente
Nel passato ogni paese aveva il suo torchio costituito da una macina di pietra molto pesante che, schiacciando le olive, le trasformava in olio e veniva fatta girare da più uomini contemporaneamente, da un asino o da un cavallo. Oggi è tutt’altra storia: l’oleificio è meccanizzato e richiede una minore manodopera.
Nel frantoio il trattamento prevede diverse fasi, la prima è quella della molitura dove le olive vengono schiacciate meccanicamente e si ottiene un primo olio grezzo mescolato con la pasta d’olio. La seconda fase è costituita dalla gramolatura nella quale l’olio vero e proprio viene separato dalla pasta d’olio e, infine, c’è il filtraggio grazie al quale viene rimossa la residua quantità di acqua e altre particelle. Ciò garantisce una produzione di olio puro e di qualità. Tale passaggio è fondamentale, anche perché così il prodotto finale diventa più resistente all’invecchiamento, garantendo una lunga conservazione. L’olio prodotto è sostanzialmente di due tipi: olio monovarietale e multivarietale; il primo viene realizzato selezionando un’unica varietà di olive, di solito autoctona, che viene coltivata per esaltare il gusto e le caratteristiche del territorio. Mentre il secondo si ottiene mescolando diverse varietà tra loro ed è anche quello più diffuso, sia per esigenze di mercato, sia per praticità, ciò non significa che l’olio extravergine multivarietale non sia un prodotto eccellente. Finita la lavorazione, si porta a casa il “bottino” e si conserva in recipienti preferibilmente di latta o di alluminio, mentre prima di utilizzarlo si ripone in bottiglie di vetro scuro. Fino a meno di un secolo fa, l’olio si conservava nelle pile, enormi recipienti di pietra, che oggi non è difficile trovare come ornamento nei giardini o negli agriturismi. L’olio appena prodotto non ha un sapore ottimale, va fatto riposare per un periodo, in modo che i residui si sedimentino sul fondo e il prodotto acquisti il suo tipico sapore deciso e corposo.
Produrre l’olio extravergine di oliva significa dedicare molto tempo e impegno alla campagna, non solo nella stagione della raccolta, ma nell’arco di tutto l’anno. Significa anche potare gli alberi, falciare l’erba, curare le piante stando attenti a eventuali malattie, fertilizzare il terreno e amare la natura. La ricompensa, oltre alla soddisfazione personale, sarà un prodotto di qualità, sano e nutriente, versatile da accompagnare a quasi ogni pasto, molto richiesto sul mercato, che quest’anno viene venduto attorno ai 15 euro al litro.

Curiosità
Per concludere qualche curiosità: quali sono i maggiori produttori di olio di oliva? Quanto olio si produce in un anno? Quanto se ne produce in Italia e in Croazia? Quanto olio si consuma mediamente? Il bacino del Mediterraneo si conferma l’ecosistema ideale per la coltivazione dell’olivo. I maggiori produttori ed esportatori di olio di oliva sono la Spagna e l’Italia, seguite dalla Tunisia. In un anno nell’Unione europea si producono approssimativamente 2 milioni di tonnellate, di cui in Italia circa 300mila tonnellate, mentre in Croazia 4.300 tonnellate. I numeri variano in maniera sensibile di anno in anno a seconda dell’annata. Gli italiani si classificano tra i maggiori consumatori di olio di oliva con una media di 7,5 chilogrammi pro capite all’anno, invece i croati ne consumano molto di meno, solo 1,5 chilogrammi all’anno.

Oggi ci si aiuta con abbacchiatori scuotitori elettrici
Pila ornamentale per olio
Un antico torchio di Mošćenice (Moschiena)
Un lavoratore instancabile…

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