Il Cristo conteso

Tra il 20 e il 30 maggio 1522 la città di Genova, difesa dai francesi, venne assediata dalle truppe imperiali, che una volta entrate si sentirono legittimate a metterla sotto saccheggio. In un susseguirsi di avvenimenti tragici, un soldato fiammingo, forse colpito da tanta crudeltà, o forse sensibile agli avvenimenti che non condivideva appieno, sul muro di un'edicola a ridosso del faro dipinse una raffigurazione di Gesù portante la croce. Oggi l'affresco si trova nella Chiesa di S. Maria della Cella a Sampierdarena, tra il 1798 e il 1926 comune autonomo, poi inglobato a Genova, che ne reclama la proprietà

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Il Cristo conteso
Genova al tramonto

Il 30 maggio del 1522 fu uno dei tanti giorni nefasti che la storia della Repubblica di Genova dovette sopportare nel corso della sua travagliata epopea. La famiglia degli Adorno, mai sazi di insanguinare la patria per cupidigia di potere, come racconta il “Donaver” nella sua “Storia di Genova”, con un esercito di ventimila mercenari spagnoli, fiamminghi, tedeschi, svizzeri e fuoriusciti genovesi fornito da Carlo V d’Austria, re e imperatore di Spagna, assalta Genova che viene presa e offerta in preda di saccheggio ai conquistatori, come pattuito nel convegno di Cremona tra gli Adorno e il comandante dell’esercito mercenario. A Ottavio Fregoso, il comandante dei difensori della città fatto prigioniero, viene concesso di essere condotto a Napoli. Ci arriverà morto perché Antoniotto Adorno lo fa avvelenare, prima di farsi proclamare Doge di Genova.

Cristo conteso in processione

In questo susseguirsi di avvenimenti tragici e nella desolazione di una città distrutta dal saccheggio, un soldato fiammingo, molto presente alle congiure di palazzo, forse colpito da tanta crudeltà, o forse sensibile agli avvenimenti che non condivideva appieno, si ricordò di essere stato anni addietro, nel suo Paese, apprendista di bottega di uno dei tanti pittori della rinomata scuola fiamminga. La sua guarnigione era di “guardia alla Lanterna” e sul muro di un’edicola a ridosso del faro dipinse una raffigurazione del Cristo portante la croce.
Duecento anni dopo, Genova stava ancora nell’“orgia” delle guerre, dei tradimenti e dei contrasti politici tra le varie famiglie. Il suo porto però, sempre più efficiente, era il perno attorno al quale ruotavano l’economia, i commerci e le grandi istituzioni pubbliche. Molte di queste erano state create a soccorso dei cittadini come le “Misericordie” e altre erano le cosiddette “Compagnie”, nelle quali si riconoscevano determinati lavoratori o commercianti. Misericordie e Compagnie ruotavano ovviamente sotto l’egida della Chiesa e facevano capo alle parrocchie dei vari quartieri.
La Lanterna sorgeva al confine tra la Parrocchia di San Teodoro e quella di San Martino. La prima faceva parte del centro urbano di Genova e la seconda del centro urbano di Sampierdarena. Sotto la Lanterna, a ridosso dei bastioni dei magazzini portuali, c’era a quel tempo una grande “osteria” che funzionava a cooperativa tra due compagnie portuali che fornivano gli umili, ma indispensabili “lavoratori” necessari al funzionamento, alla manutenzione dei vascelli e al lavoro di carico e scarico delle merci da essi trasportate. Erano la compagnia dei “minolli” e la compagnia dei “camalli”.

La lanterna di Genova

I «camalli» e i «minolli»
I “minolli” provvedevano soprattutto al reperimento, al trasporto e alla sistemazione della sabbia occorrente al giusto zavorramento dei bastimenti a vela. Era un lavoro cui occorrevano esperienza e calcolo nella sistemazione dei pesi in funzione del tipo di carico e delle rotte da percorrere.
I “camalli”, invece, erano gli scaricatori e i caricatori della merce trasportata dalle navi. Erano forti e abilissimi equilibristi, che dosavano il passo nel percorrere le lunghe passerelle che si flettevano e rimbalzavano sotto il peso delle merci trasportate esclusivamente a spalla. Esisteva tra le due compagnie una forte rivalità dovuta non solamente al tipo di lavoro che ambedue reputavano essere il più importante, ma soprattutto esisteva una forte rivalità di “quartiere”.
I “minolli” erano per la maggior parte legati alla frazione di Sampierdarena, mentre i “camalli” a quella di Genova. Di conseguenza anche le due parrocchie erano in contrasto tra di loro e se ne erano accorti anche i “Maggiorenti della Repubblica” che dovevano spesso intervenire per sedare piccole risse, soprattutto nel giorno di riscossione del soldo e di conseguenza di ricche bevute, che nascevano per lo più per questioni di rivalità parrocchiale.
Il capo riconosciuto dei “minolli” era un tale sampierdarenese di nome “Trogolo”, così soprannominato in quanto riconosciuto il “più grande bevitore del porto”. Era un tipo basso, tarchiato, con una pancia prominente che dicevano lo aiutasse, dato il baricentro abbassato, a mantenere l’equilibrio sulle traballanti passerelle sopra le quali i “minolli” transitavano con i carichi di sabbia.
Era un bevitore incallito e, pare, grazie al suo soprannome, che il detto genovese “beve come un trogolo” fosse nato allora in riferimento a lui che portava il soprannome derivato dai “trogi”: le capaci vasche dove le lavandaie sciorinavano i panni.
Capo dei “camalli” era invece un certo Nan, diminutivo di Nanni o Giovanni: forzuto e allampanato, originario del “Mandraccio” il porto genovese delle galee da guerra. Pare che avesse trascorso alcuni anni al remo delle navi della “Superba”, in giro per il Mediterraneo e che si fosse distinto anche in battaglia. Nan girava sempre con un gancio appuntito fissato alla cintura fatta di corda. Era il prototipo dei famosi ganci che i “camalli” del porto di Genova adoperavano nelle stive delle navi per lo scarico delle balle di cotone e dei sacchi di juta e che furono in uso sino all’avvento recente dei container.

Bartolomeo Pagano, un famoso “camallo” soprannominato Maciste

Processioni
Erano loro due che al termine di ogni “comandata” importante di lavoro sulle navi, per ringraziare il cielo di non aver subito infortuni gravi, guidavano la processione dei compagni al “Cristo della Lanterna”, che era divenuto un dipinto molto venerato e meta di continue visite. Durante queste processioni, gli oratori erano vestiti con una cappa che li avvolgeva completamente e siccome il dipinto si trovava nella zona di interesse militare in cui sorgeva la Lanterna, i responsabili del servizio di controllo non riuscivano a verificare se i fedeli e la moltitudine di gente nascondessero armi sotto le cappe.
Il 12 agosto del 1717 i Maggiorenti della Repubblica emisero un editto, comandando che “non si lascino entrare nei siti delle fortificazioni e porta della Lanterna compagnie di oratori vestiti con cappe, né si trattengano folle di persone”.
Successe il finimondo, tanto che si formò una commissione che decise di spostare altrove il dipinto.
Nan e Trogolo furono i primi a essere interessati del problema. Un problema oltretutto tecnico, perché il dipinto del Cristo era stato realizzato su muro come affresco. Un muro che faceva parte della costruzione della Lanterna e che diveniva dunque un problema arduo per quei tempi. Furono interessati i Priori delle due Parrocchie e, di conseguenza, il problema divenne ancora più ingarbugliato perché ambedue pretendevano di conservare il dipinto.
Ancor prima di decidere il modo di separare il dipinto dal muro, la diatriba tra le due Parrocchie e, di conseguenza, tra i loro reciproci sostenitori, s’infuocò a tal punto che “camalli” e “minolli”, per più di un anno pur lavorando spalla a spalla nel porto, non si parlarono, guardandosi in cagnesco.
La lotta tra le Parrocchie verteva sul giudizio soggettivo di ambedue i Priori. San Teodoro sosteneva che toccava a lei custodire il dipinto, in quanto Parrocchia di Genova cui la Lanterna era il simbolo riconosciuto. San Martino sosteneva invece che la Lanterna, insistendo nel frattempo sul territorio di Sampierdarena, dovesse cedere a lei l’onore della custodia e, per sottolineare la questione, il Priore asseriva che Sampierdarena con Genova non avesse nulla a che fare.
A questo punto si scatenò un putiferio generale che, sottolineano le cronache, durò un anno. Intanto c’era chi studiava il metodo per staccare il dipinto dalla sua sede e chi cercava di appianare il contrasto che era sorto tra Genova e Sampierdarena. Nel frattempo i Maggiorenti della Repubblica avevano dato corso all’editto che proibiva tassativamente l’entrata degli oratori vestiti con cappe nei siti delle fortificazioni e, di conseguenza non si poteva rendere omaggio al dipinto com’era tradizione. Questo aveva innescato un forte attrito tra i componenti delle due compagnie e, sempre più spesso, avvenivano risse e scontri.
All’inizio del 1719 rimase ucciso, in circostanze mai chiarite, uno dei “minolli”. Fu trovato al mattino che galleggiava esanime sulle acque del porto. Iniziò subito una rissa gigantesca tra “minolli” e “camalli”, che si protrasse sino a sera. A un certo punto, dall’alto della Lanterna qualcuno scagliò in mezzo ai litiganti una botticella piena di vino che si sfasciò con un gran botto sull’acciottolato della “calata” portuale. Per fortuna non ferì nessuno, ma il gesto contribuì a calmare i contendenti.
Furono chiamati i Priori delle due Parrocchie, che si riunirono con un Capitano del Popolo, con un notaio e i capi delle due compagnie per trovare una soluzione. Fecero intervenire un certo Oberto, un costruttore di opere murarie che si era occupato della riparazione dei bastioni della Lanterna. Aveva un progetto per staccare il dipinto dalla nicchia dove si trovava. C’era da sedare il forte contrasto tra le due Parrocchie, tanto che dovette intervenire energicamente il Vescovo di Genova.
Tra il maggio e il giugno del medesimo anno, il dipinto del Cristo, conglobato in un masso largo 95 centimetri, alto 140 e spesso 95 centimetri, del peso di 7 quintali, fu finalmente staccato dall’edicola della Lanterna.
Fu deciso che dodici “camalli” avrebbero trasportato in processione il masso sino alla chiesa di San Martino in Sampierdarena, così come aveva stabilito l’arbitrato del Vescovo di Genova. Il contrasto tra le due Parrocchie, mai sopito, impedì i festeggiamenti ancora per un anno, festeggiamenti che comunque esclusero per sempre le tradizionali processioni delle due compagnie portuali. Nel 1799, perdurando i contrasti e gli screzi, in una sorta di atto sanatorio, il masso con il dipinto venne trasferito nella Chiesa di S.Maria della Cella a Sampierdarena, dove si trova tutt’ora e da dove viene portato ogni anno in processione da coloro che sostengono che la Lanterna è di Sampierdarena e non di Genova.

Il Porto antico di Genova

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