Gli autonomisti dimenticati

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Gli autonomisti dimenticati

Non è un fatto insolito che un quotidiano di destra come il Secolo d’Italia ricordi le violenze compiute dai comunisti di Tito ai danni della popolazione italiana d’Istria, Fiume e Dalmazia. Il giornale da sempre dimostra sensibilità e attenzione alla storia del confine orientale e in particolare al dramma dell’esodo e delle foibe. Tra i personaggi di queste terre, però, non capita spesso di leggere “omaggi” a un esponente del Partito Autonomo di Riccardo Zanella. L’ha fatto, in coincidenza con la giornata della liberazione di Fiume (3 maggio), Antonio Pannullo, in un articolo intitolato: “La fine di Nevio Skull, ucciso dai partigiani perché rifiutò di vendere Fiume”. Figura “luminosa”, la definisce Pannullo. Fu assassinato, che non aveva ancora 43 anni, “in quell’ondata di barbarie che colpì tutta la zona in quei mesi”.

Nato a Fiume nel 1903, medico e industriale, ereditò dal padre Giuseppe la proprietà della “Fonderia e Fabbrica macchine Matteo Skull”, fondata a Fiume nel 1878 e diventata in breve tempo la più importante industria privata della città. Fu proprio dalle sue fucine che uscì la statua dell’aquila bicipite, collocata in cima alla Torre Civica nel giugno 1906. Nevio Skull era un uomo illuminato. Era sposato con Xenia Budak, croata. Come ha testimoniato la pronipote Alice Salvatore in un intervento pronunciato nel Giorno del ricordo 2016 a Genova, durante la guerra metteva a disposizione della collettività il rifugio antiaereo ricavato nel perimetro della fabbrica. In “piena occupazione nazista, i tedeschi ispezionarono la fabbrica a caccia di un partigiano fuggiasco, e si fecero accompagnare da Nevio Skull – racconta Alice Salvatore –, puntandogli il fucile alla schiena, e ricordandogli che se avessero trovato il fuggitivo per lui sarebbe stata la fine. Pare proprio che Nevio Skull nascondesse il fuggiasco nella fabbrica, che mai fu trovato dai nazisti.
Dunque, era ben voluto da tutti e per questo (anche) costituiva una potenziale minaccia per il nuovo regime. Sia Nevio Skull che Giovanni Sincich, Angelo Adam e Mario Blasich erano autonomisti e antifascisti; avevano largo seguito in città, rappresentavano la tradizione di quel movimento che nel primo dopoguerra si era opposto a D’Annunzio e aveva dato vita al breve esperimento di Stato libero travolto dal colpo di Stato fascista del 1922. Non accettavano però la linea politica e la guida del movimento di liberazione croato. Scrive Pannullo: “Skull da tempo frequentava il Partito Autonomo fiumano di Riccardo Zanella, che si batteva per l’autonomia della Dalmazia (eh, non ci siamo!, ndr). Proprio per questo fu avvicinato da esponenti comunisti titini, che probabilmente volevano costringerlo ad accettare il dominio jugoslavo sulla città di Fiume. Ovviamente, Skull rifiutò, e nella notte del 3 maggio fu sequestrato dalla temuta Ozna, la polizia politica di Tito, e fatto sparire”. Fu fatto prelevare “di fronte a tutta la famiglia – dice la pronipote –. Nessuno lo vide più da vivo”. La famiglia Skull nel frattempo fu tenuta in ostaggio in casa e piano piano spogliata di ogni bene”.
“Il suo cadavere, come quello di molti altri patrioti, fu ritrovato 25 giorni dopo sul greto del fiume Eneo, con un foro di proiettile alla nuca, secondo il miglior stile dei partigiani comunisti di qualsiasi nazione – rileva il giornalista –. Analoga sorte era toccata il 2 maggio all’altro patriota fiumano Mario Blasich, che ugualmente aveva rifiutato di dare il suo assenso all’annessione di Fiume alla Jugoslavia. Blasich, appena partite le truppe tedesche, fu aggredito e strangolato in casa sua”. Angelo Adam, invece, rientrato a Fiume nel luglio del 1945, dopo quasi due anni di internamento nel campo di concentramento tedesco di Dachau in quanto ebreo, venne arrestato in dicembre assieme alla moglie Ernesta Stefancich e fatto sparire. Stessa sorte venne poi riservata alla figlia diciassettenne Zulema, che era andata in cerca di notizie sui genitori. I tre corpi non sono mai stati trovati
Un breve ritratto, quello di Skull, e una sintetica rievocazione di ciò che avvenne nelle prime giornate del maggio 1945, che da una parte smontano l’assurda tesi – accarezzata da certi circoli in odor di negazionismo – secondo la quale nelle foibe ci finirono per rappresaglia solo i fascisti; dall’altra parte tratteggiano benissimo il disegno che si celava dietro all’ingresso trionfale dei partigiani a Fiume. Fu liberazione?
Su Facebook (Kvernerski.com) è circolato in questi giorni un simil-sondaggio provocatorio: “Che cosa avvenne in questa data quasi 80 anni fa? Il 3 maggio 1945, con l’ingresso dei partigiani in città, questa zona del Quarnero entrò a far parte della Jugoslavia. I partigiani hanno veramente liberato Fiume oppure l’hanno occupata?”. Due foto simboliche (che vi riproponiamo) sotto le due opzioni: nella prima, sfilano i soldati di Tito con cartelloni in italiano (altro che bilinguismo!) inneggianti al leader maximo e all’AVNOJ; sotto la risposta: “È stata liberata dagli occupatori italiani e altri che per secoli hanno vessato questa terra croata. Fiume è stata finalmente restitutita alla madrepatria e il popolo ha accolto festosamente i liberatori”. Ma c’è un piccolo particolare: nell’immagine, il popolo non si vede. C’è invece – ed è un plebiscito per l’Italia – sotto l’altra risposta “È stata conquistata. La stragrande maggioranza degli abitanti della Fiume di allora non erano croati e non riuscivano a immaginare la loro città nell’ambito di uno Stato jugoslavo. I partigiani occuparono militarmente Fiume (come di fatto avvenne, ndr) e conseguentemente la maggior parte dei cittadini di Fiume fu costretta all’esodo, mentre nelle loro abitazioni s’insediarono i nuovi arrivati dalle diverse parti della Jugoslavia”. Il 70 p.c. del popolo di FB ha cliccato la prima opzione, esito quasi scontato. Più interessanti i commenti, dai quali emerge comunque una certa consapevolezza che la storia in ogni caso non è unidirezionale. Come il racconto che si cerca di propinare da 73 anni.

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