Così è (anche se non vi pare) Quelle verità su cui non è dato indagare

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Così è (anche se non vi pare) Quelle verità su cui non è dato indagare

Che la verità sia pudica e rivelarla dannoso, può sembrare ingiusto e raccapricciante. Ai bambini si insegna che dire bugie è sbagliato, ai ragazzi si racconta che la verità è un bene etico civile e agli adulti si fa credere che sia il parametro con cui garantire alla società giustizia. Ma se è così, perché allora dà fastidio? Perché la si manipola, distorce, nasconde? Perché si minaccia di eliminare (anche fisicamente) chi osa svelarla? La verità è strana: è una pluralità di frammenti che ritrovano il proprio nesso soltanto quando a riunirli provvede la coerenza, vale a dire un insieme di rapporti di causa-effetto sottesi da una logica di fondo. È un gruzzolo di tessere faticoso da ricomporre, ma quando ci si riesce, il mosaico parla. Illustra un contenuto e trasmette un messaggio. Ecco, il punto non sono le tessere (le verità parziali), ma il quadro d’insieme di cui queste fanno parte. Per coglierlo, bisogna allargare la prospettiva. Vederci chiaro è quanto tutti vorremmo, a prescindere. Purtroppo, però, alcuni mosaici sono delle vere e proprie mappe del tesoro, di cui è preclusa la visione ai più, a meno che non si faccia parte di un equipaggio di pirati, di milizie specializzate o non si voglia diventare un eroe. Un frammento non è il tutto. Chi lo crede tale, non si accorge che abbiamo a che fare con un mosaico incompleto.
In questi giorni tutti parlano della Sea-Watch, una nave ONG che con bandiera olandese ed equipaggio tedesco ha raccolto 47 migranti nel mezzo del Mediterraneo, prelevandoli dai barconi degli scafisti. Tutte vere le poche tessere che ci ritroviamo in mano: gente in fuga da Paesi a economia instabile, necessità di prestare loro aiuto umanitario a bordo e a terra, desiderio di affermazione della carità cristiana sorretta dal principio dell’accoglienza. Ma è davvero tutto qui? Qualche curioso, in cerca di altre tessere sparse nella polvere, c’è. E si scopre che il comandante non sbarca i passeggeri in Tunisia, a sole 2 miglia di distanza, ma si avventura nel mare in tempesta per raggiungere la Sicilia, che sta a 40 miglia. Eppure nessuno lo chiama a giudizio per l’avventatezza con cui ha messo a repentaglio passeggeri ed equipaggio. Il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, e il suo portavoce, don Ivan Maffesi, si appellano al Vangelo e all’umanità: chiedono lo sbarco immediato degli immigrati (tutti maschi) e si dicono disponibili ad accogliere i minori – sedicenti 17enni privi di documenti in grado di attestarlo. Gli operatori sociali, da terra, ammoniscono che già in passato molti presunti minorenni poi si sono rivelati adulti, e che da allora 5.000 “minori” si sarebbero dileguati sul territorio senza lasciare traccia. Viene da chiedersi, con l’inverno al picco, cosa sia rimasto dell’umanità e del Vangelo nei paesi dell’Abruzzo, sulle cui piazze in rovina, dopo l’ultimo terremoto, i sindaci protestano minacciando di deporre le proprie fasce in piazza a Roma: nessuno si cura più dei loro cittadini, che (quelli sì), stanno al freddo e senza una possibilità di ripresa economica (gli esercizi sono ancora in passivo), non vengono monitorati dalle vedette né visitati da solerti parlamentari, mossi all’improvviso da nobili obblighi etici di stampo pseudocristiano. Malta e Spagna rinfacciano all’Italia gravi omissioni di soccorso, laddove per prime l’hanno rifiutato alle ONG, mentre Germania e Francia, contrarie all’accoglienza di altri immigrati e ree loro stesse di numerosi respingimenti verso l’Italia, si affrettano a stipulare accordi antipopulisti, temendo il ribaltone alle prossime elezioni europee. Alle recenti affermazioni di Di Maio, circa le ingerenze del governo di Parigi in alcuni Paesi africani, ex-colonie francesi, dove l’economia locale viene a tutt’oggi controllata a distanza a scapito di uno sviluppo autonomo del territorio, il commissario degli Affari economici dell’UE, Pierre Moscovici, ricusa come inappropriati i toni del ministro. Parlare di “sfruttamento” o “colonialismo” in atto, sarebbero delle illazioni offensive e infondate. Tuttavia, bisogna dire che se il mandato di Moscovici è agli sgoccioli, Macron l’ha già proposto come candidato in pectore per la presidenza della Corte dei Conti nazionale, e che l’isola di Mayotte, ancora a giurisdizione francese, sita nell’Oceano Indiano tra il nord del Madagascar e il Mozambico, si è ben guardata dal seguire le altre isole dell’arcipelago, di cui per altro fa parte (le Comore), nella strada verso l’indipendenza. Mayotte ha importanza strategica per gli interessi francesi verso l’Africa: ma è anche la prima tappa d’approdo dei migranti africani, in cerca di documenti che ne legalizzino l’entrata in Europa. Nel 2017, nei suoi Centri di detenzione amministrativa, erano registrati solo 2.493 bambini, senza contare le famiglie al seguito. E mentre in Europa ci tiriamo addosso le tessere dell’altruismo e giochiamo a guardie e ladri, la Cina in Africa ha portato a termine 1.046 progetti, 2.233 km di ferrovie e 3.350 di strade. Secondo i dati Fmi, la Cina scambia merci con l’Africa per un valore di 220 miliardi, l’equivalente di Europa e Stati Uniti messi insieme. Basta cambiare emisfero: la prospettiva sul mosaico della cupola internazionale, da laggiù, appare subito molto più chiara.

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