Gli italiani di Dalmazia e il Trattato di Rapallo

Comunicato della Federesuli in occasione dei cent’anni dalla firma dell’accordo

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Gli italiani di Dalmazia e il Trattato di Rapallo

A cent’anni dalla firma del Trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che fissò il confine orientale italiano dopo la Prima guerra mondiale sulle Alpi Giulie, la Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati vuole ricordare questa data “come la fase iniziale di un processo che ha portato alla definitiva cancellazione degli italiani dalla Dalmazia”. In una nota firmata da Piero Cordignano dell’Associazione Dalmati Italiani nel mondo – Libero Comune di Zara in esilio, e da Giuseppe de Vergottini, presidente della Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, si sottolinea che il “Giorno del ricordo non si ferma al solo 10 febbraio”. Pertanto Federesuli, “a cent’anni della sbrigativa intesa fra Regno d’Italia e Regno di Serbi, Croati e Sloveni desidera ricordare la data di inizio della cancellazione degli italiani dalla Dalmazia”.
“Quel fragile microcosmo dove partendo dalla caduta dell’Impero romano, passando per San Girolamo e per i due papi dalmati San Caio e Giovanni IV, dagli albori del basso medioevo era nata una cultura tardo latina che intrecciava quella italiana alla slava, a quella albanese, a quella sefardita e alla greca per dare i suoi frutti nella letteratura, nell’arte e nella scienza, il 12 di novembre 1920 cessò di esistere”, si afferma nel comunicato. “Quel giorno moriva il sogno della ‘Nazione dalmata’ tanto agognata da Tommaseo, dal podestà di Spalato Bajamonti e descritta alla perfezione dal primo archeologo di Spalato, monsignor Francesco Carrara quando nel 1849 immaginava una nazione dalmata ponte culturale fra Slavia e Italia, dove ‘l’italiano non istudia di italianizzare lo slavo, né lo slavo di slavizzar l’italiano’. Le clausole del trattato di Rapallo prevedevano l’annessione all’Italia di Zara con un piccolo entroterra e del solo arcipelago di Lagosta: in tutto il resto dei territori dalmati, a chi optava per la cittadinanza italiana veniva impedito di possedere beni mobili ed immobili o di svolgere qualsiasi professione anche in lingua italiana come era avvenuto sino a quel momento. Queste disposizioni immediatamente applicate dalle nuove autorità jugoslave provocarono l’esodo di ventimila dalmati dai piccoli centri. Molti furono costretti a trasferirsi a Zara, ma la maggior parte emigrò verso la penisola o le Americhe privando della loro millenaria presenza le città di Ragusa, Cattaro, Traù, ma specialmente Spalato e Sebenico. I piccoli centri delle isole come Lissa, Lesina, Curzola, Brazza, Pago, Veglia e Arbe videro la partenza di tanti italiani e anche lo smembramento di tante famiglie, metà in Italia e metà sul posto”, si rileva nella nota. “Quel che resta degli italiani di Dalmazia è timidamente risorto dopo il 1992 grazie alla Croazia democratica. Oggi esistono le Comunità di Zara, di Spalato e quella di Lesina, ma stentano a sopravvivere con gli intermittenti finanziamenti che non sempre ricevono. Stentano soprattutto a nascere gli asili e i corsi d’italiano nelle prime classi delle scuole primarie: se le cose continueranno come negli ultimi decenni, gli italiani della Dalmazia, ridotti oggi a poco più di un migliaio, saranno destinati a scomparire portando a termine il progetto di eliminazione iniziato con il trattato di Rapallo”, conclude Federesuli.

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