Umberto Bosazzi racconta suo padre e intanto immagina il 2021 di Alida Valli

L’Unione degli Istriani premia il giornalista e conduttore di Telequattro. Emergono così le radici familiari

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Umberto Bosazzi racconta suo padre e intanto immagina il 2021 di Alida Valli

A mio padre dissi “Leggi Materada di Fulvio Tomizza, se non ti piace lascia perdere”. Due giorni dopo mi riconsegnò il libro dicendomi: “Tutta la nostra storia è scritta qua dentro”. A parlare è Umberto Bosazzi, giornalista di lungo corso. Nato a Trieste, ma per tre quarti istriano: padre di Pola e nonno materno venuto a Trieste dalla stessa città istriana nel 1920. Liceo classico e tesi di laurea in storia del cinema, la sua vera passione. Wilder è il suo regista preferito al punto da citarlo nell’indirizzo mail. Dopo la gavetta nei giornali della città giuliana, Bosazzi approda al giornalismo televisivo dell’emittente Tele4, oggi agganciata a un circuito che copre tutto il nord Italia. Si compiace di dire che ama tutto ciò che anche lontanamente profuma di Gran Bretagna, spendendo spesso il tempo delle ferie nell’isola. Dei britannici ha ereditato l’humour, spesso sottile e raffinato.
La targa che gli è stata consegnata dall’Unione degli Istriani di Trieste, associazione degli esuli organizzata in Famiglie provenienti dalle varie località istriane, è grande…
Un premio che avrebbe dovuto essergli consegnato il 24 febbraio scorso, ma la cerimonia ha subito ripetuti rinvii a causa dell’epidemia. Finalmente, lunedì 28 settembre, nella Sala Maggiore della sede di Palazzo Tonello, gli è stato conferito. “Per fortuna ho comperato una libreria nuova; avrò lo spazio per contenerla”, dice con un sorriso divertito.
Il premio in questione è il Vessillo della Libera Provincia dell’Istria e per Umberto Bosazzi rappresenta un omaggio a suo padre che gli disse: “Ricordati che tu sei triestino. Io, dall’Istria sono dovuto fuggire”. Un dolore terribile, straziante quello del distacco, mai sopito, racchiuso in un silenzio totale che ha impedito a Bosazzi di approfondire per pudore e rispetto. “Vedevo che la sua reticenza – ci dice – nascondeva un dolore profondo, mai sopito; credevo fosse irrispettoso persino cominciare a indagare. Del resto mio padre lasciò Pola a vent’anni, a un’età in cui un ragazzo avrebbe il diritto se non il dovere di fare ‘scemenze’; lui che aveva perso il padre quando non aveva ancora dieci anni, arrivato a Trieste si mise immediatamente a cercare un posto dove vivere e dove ospitare mia mamma e gli zii”.

Ma che famiglia era quella dei Bosazzi?
“Allargata nel senso più profondamente e orgogliosamente contadino del termine – dice –; una di quelle famiglie dove attorno allo stesso tavolo sedevano mamme, papà, nonni, zii e cugini e che fu sconvolta da quello che accadde dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Un cugino di mio papà, partigiano, fu ucciso dagli ustascia; il marito di una cugina di mio papà, non so se lo fosse già allora, rubava le provviste che mia nonna nascondeva in soffitta; il padrino di cresima di mio papà, un tale che aveva il terribile nome di Ivan, indicò la sorella di mio padre nella lista per essere rapata dai partigiani, perché piccola italiana. In famiglia si raccontava che anni dopo, tornata a Pola, incontrò Ivan che le diede un bacio, a cui la zia rispose: “Bacio di Giuda”. Ho motivo di credere – rammenta – che non sia una leggenda, che il fatto sia accaduto realmente”.

Il giornalista Umberto Bosazzi

Il racconto di Umberto Bosazzi si fa più stretto sui riflessi psicologici dell’esodo…
“L’esodo ha negato a mio padre la giovinezza e in un’analisi retrospettiva, gli ha negato la possibilità di ripensare alla sua infanzia con la serenità che dovrebbe essere consueta. Cosa gli passava per la testa le poche volte che tornava in Istria, per lo più in occasione di qualche funerale, quando si irrigidiva ancora prima di attraversare il confine, per tornare sé stesso solo dopo il ritorno a casa a viaggio concluso? Cosa gli veniva in mente quando nel soggiorno del cugino Bepo, che ricordo bene perché assomigliava tanto a Kirk Douglas, la prima cosa che gli capitava sotto gli occhi erano le medaglie di Lenin e Stalin? Mio padre si era costruito una corazza, con la quale si negava la nostalgia, ma il tempo ne scalfiva la solidità. Una volta mia madre, la cui durezza mi ha sempre fatto pensare alle mamme ebree, a Natale gli regalò il volume sulle foibe di monsignor Rocchi”.
Racconta Bosazzi che suo padre si mise a piangere quando nel libro vide la foto di tre sorelle che conosceva, della cui sorte era ignaro. Quando il sindaco di Pola in esilio, suo amico, telefonò per chiedergli un ricordo delle tre ragazze, non volle parlarne e fu inamovibile.
“Conscio di questa sua scarsa propensione ad affrontare determinati temi, ogni mio tentativo di farmi dire qualcosa in merito avveniva per via indiretta. A volte il risultato di determinati sforzi era positivo, come con il libro di Tomizza. A testimonianza di quanto l’essere stato costretto a lasciare Pola continuasse a pesargli non ho difficoltà a raccontare un dettaglio persino troppo intimo”.
In vecchiaia Bosazzi senior fu colpito da demenza senile e come noto, questa malattia induce a ricordare i fatti del passato remoto, mentre il presente si sgretola nella memoria.
“Ogni sera, prima di coricarsi – racconta Umberto – non deponeva i vestiti, com’era abituato, sul servo muto, l’omo lo chiamava lui, bensì li adagiava ai piedi del letto. E ogni sera le domande erano sempre le stesse: “Semo d’acordo, no?”, “Xe tuto pronto?”: affioravano i momenti del distacco, segno inequivocabile che, nonostante una certa tranquillità raggiunta col lavoro e in famiglia, era in qualche modo rimasto a quel drammatico tempo che ha caratterizzato indelebilmente il resto della sua esistenza che, per certi aspetti, non ha mai vissuto del tutto pacificato”.

Il Vessillo della Libera Provincia dell’Istria consegnato a Umberto Bosazzi

Ma come è stato per il figlio rivivere le proprie radici?
“Troppo ingombrante – racconta –; era e resta quel: ‘Tu sei triestino’. Ho però, e perfino perciò, cercato di superare questa sorta di ostacolo, attraverso il lavoro: occupandomi quasi sempre di questioni che hanno a che fare con le problematiche collegate all’esodo; ho cercato di recuperare un rapporto per certi versi inesorabilmente compromesso o meglio compresso sul nascere”.

E questo premio che cosa rappresenta per Umberto Bosazzi?
“Adesso mi sento di considerare chiuso un cerchio e di ritenere che questo riconoscimento consenta a mio padre di tornare a considerarsi istriano”.
Ma il cinema resta nel cuore di Umberto; ricorda che nel 2021 saranno cento anni dalla nascita di Alida Valli. L’attrice nata a Pola aveva lavorato negli Stati Uniti, ma a un certo punto volle tornare in Italia. Per tutta la vita dovette lavorare per pagare la penale che le grandi compagnie di produzione cinematografica imponevano agli artisti per vincolarli a lunghi contratti. Il Comune di Pola le offrì la cittadinanza onoraria, che lei rifiutò, perché nata italiana.
“Mi auguro – afferma – che la sua figura sarà degnamente ricordata, in quest’importante anniversario”.

La targa

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