PERCORSI EUROPEI L’Ucraina e l’europeizzazione dei Balcani

0
PERCORSI EUROPEI L’Ucraina e l’europeizzazione dei Balcani
Foto: Hrvoje Jelavic/PIXSELL

Purtroppo gli avvenimenti legati alla guerra in Ucraina, i massicci bombardamenti russi delle città e degli obiettivi civili e le atrocità dei militari nei confronti della popolazione civile, sono
passati dalla prima pagina e dai titoli di apertura nei notiziari radiotelevisivi, al secondo o perfino al terzo posto nella classifica dell’interesse mediatico. Ma l’Ucraina non è una delle tante guerre: purtroppo è “la guerra”, perché a rischio non ci sono soltanto le vite degli ucraini, bensì esiste anche il pericolo che questo conflitto degeneri in una guerra tra
l’Occidente e la Russia, o peggio ancora in una conflagrazione mondiale, con l’uso
delle armi atomiche. E mentre i media ormai riportano i tragici eventi della guerra con una routine che ci allontana sempre più dai patimenti della popolazione inerme, sempre più lontana appare la via d’uscita da questo circolovizioso della violenza.
L’Unione europea si è finalmente fatta sentire con il riconoscimento dello status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia, proprio per lanciare un segnale forte all’aggressore. Il Consiglio europeo si è svegliato dal torpore egoistico dell’autocompiacimento. Sembrava che
dell’allargamento dell’Unione non si parlasse più: erano stati infatti confinati nel limbo i Paesi candidati già in lista d’attesa, quelli dei Balcani occidentali. Ora, grazie alla tragedia ucraina, sembra che le coscienze europee si siano svegliate. Ed è positivo il fatto che la Croazia e la
Slovenia abbiano richiesto a Bruxelles che lo status di candidato venga concesso anche alla Bosnia ed Erzegovina, che ormai da anni aspetta questa mossa simbolica dall’UE. Ed è bene che la Croazia e la Slovenia abbiano alzato la loro voce, sebbene non lo abbiano fatto
insieme con una dichiarazione congiunta. Speriamo che dopo la visita del ministro degli Esteri di Lubiana, Tanja Fajon, a Zagabria, un’azione congiunta della Slovenia e della Croazia in questo campo acceleri i tempi della concessione della candidatura alla Bosnia e Erzegovina.
Si potrebbe dire che la Bosnia ed Erzegovina si trovi anch’essa in una situazione di aggressione interna, a differenza dell’Ucraina che è vittima di un’aggressione brutale e letale
dall’esterno. La Bosnia ed Erzegovina è, infatti, vittima, senza perdite umane ancora, ma tutti gli analisti che si occupano oggi della situazione bosniaca avvertono che dei conflitti armati
potrebbero esplodere da un momento all’altro.
Chi sono gli aggressori in questa situazione? Non è difficile individuarli: sono i leader delle tre etnie che popolano la Bosnia ed Erzegovina: in primo luogo il leader serbo bosniaco Milorad Dodik, che non ha condannato l’aggressione russa contro l’Ucraina, ma che ha dichiarato le sue simpatie per Putin e perla Russia, la “grande protettrice dei serbi nella storia”. E poi i leader nazionali delle altre due etnie, il leader croato Dragan Čović e il leader dei bosgnacchi
Bakir Izetbegović. Quello che vuole Dodik è palese, vorrebbe la distruzione della Bosnia e Erzegovina, che per lui è uno Stato artificiale, e l’annessione della Repubblica Srpska alla Serbia. Il leader croato vuole come primo passo la creazione di una terza entità in Bosnia
ed Erzegovina, quella croata, per poi annetterla alla Croazia. E il terzo, Bakir Izetbegović, vorrebbe un’islamizzazione della Bosnia ed Erzegovina, la creazione di uno Stato islamico nel centro dell’Europa, ovvero nel buco nero dell’Europa. L’Ucraina è diventata un Paese candidato proprio per poterla aiutare a fronteggiare l’invasione russa e per confermare la
sua identità europea. La Moldavia è diventata Paese candidato per prevenire un’aggressione russa. In entrambi i casi il futuro europeo dei due Paesi deve fungere da deterrente all’invasione russa. La prospettiva europea della Bosnia ed Erzegovina sarebbe un deterrente potente conto l’aggressione interna, contro i piani dei nazionalisti serbi, croati e bosgnacchi.
E se la Croazia e la Slovenia hanno reagito, in questo caso a Bruxelles, con encomiabile prudenza e buon senso, resta un senso di amarezza verso le politiche estere dei due Paesi finora manifestatesi in Bosnia e Erzegovina: la benestante Slovenia avrebbe potuto dare maggiore sostegno alla ripresa economico della Bosnia concedendo prestiti sovvenzionati,
mentre la Croazia avrebbe dovuto abbandonare la politica di sostegno al nazionalismo croato in Bosnia e aiutare a costruire una tolleranza multinazionale, riconoscendo che la Bosnia ed Erzegovina può sopravvivere soltanto come una Repubblica civica, basata sul principio
di cittadinanza e non sull’appartenenza etnica. Ma questo vale per tutti i Balcani
occidentali, inclusa la Croazia, che con l’entrata nella zona di Schengen e l’adesione all’eurozona dal 1° gennaio del 2023 sembra aver coronato il suo percorso europeo. Ma l’Europa aspira, come lo dicono i trattati istitutivi, a essere molto di più di una zona senza frontiere e con una valuta comune: deve diventare un’oasi della pace e di sicurezza per tutti i suoi cittadini.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display