PERCORSI EUROPEI Le sfide: allargamento, migranti e Mes

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PERCORSI EUROPEI Le sfide: allargamento, migranti e Mes

Il Consiglio europeo del 14-15 dicembre ha finalmente dato la luce verde per l’inizio dei negoziati di adesione all’Unione europea dell’Ucraina e della Moldavia, e in più ha concesso lo status di candidato alla Georgia. Una soluzione “di emergenza”, perché l’Ucraina è in guerra, coinvolta dall’invasione russa ormai in una guerra di posizione, di trincea, che purtroppo nessuno sembra voglia farla finire. Così il futuro dell’Ucraina che si avvia al negoziato dell’allargamento si prospetta più come un “investimento in pace, nella stabilità e nella prosperità”, come recitano le conclusioni di questo Consiglio europeo. In una pace, però, che non c’è ancora: ormai anche gli americani ammettono che la guerra di trincea non può essere vinta dalle sole truppe ucraine, a meno che le forniture delle armi non contribuiscano ad un’escalation con armi strategiche, missili di lungo raggio e aerei supersonici, che potrebbero contribuire alla dominazione ucraina – ma la vera domanda è, come reagirebbe l’altra parte? Sicuramente non restando con le mani in mano, ma con una risposta utilizzando le proprie armi strategiche, e qui, ahimè, fra queste armi anche gli strateghi dell’Occidente annoverano le bombe atomiche. E l’opinione pubblica mondiale già si sta abituando a sentire che un lancio di bombe atomiche “strategiche” non è escluso.

Ci siamo abituati anche alla guerra. E a causa di nuove guerre che scoppiano, come il massacro del gruppo terroristico Hamas e il contro-massacro degli israeliani a Gaza, siamo già pronti grazie ai media a subire la guerra come un avvenimento di cronaca di secondo piano. Ebbene, la decisione di aprire il negoziato con l’Ucraina almeno ci darà la possibilità di seguire le vicende nell’Ucraina stessa, dove le misure prese per la sospensione di certi diritti democratici con il pretesto della guerra (come il divieto di attività di nove partiti politici), con l’annuncio del presidente Zelensky che vuole reclutare 500.000 soldati nuovi mentre otto milioni di ucraini, e tra quelli proprio i giovani che potrebbero essere richiamati nell’esercito a combattere sul fronte, hanno esodato in Europa e nelle Americhe. Inoltre, le faide interne al potere e nell’esercito ucraino, la corruzione rampante (che coinvolge anche gli aiuti dall’Occidente) non mettono, certamente, in buona luce quello che sta succedendo nel Paese. Il negoziato con l’UE svelerà e scoprirà molti punti neri della “democratura” ucraina. E idem per la Moldavia, che non è in guerra, ma si trova tra i Paesi “parzialmente democratici”, come la definisce la ONG internazionale “Freedom House”.

È un peccato, però, che l’inizio del negoziato con la Bosnia ed Erzegovina sia stato rimandato al prossimo marzo. E pure evidente che le riforme anelate dall’UE non si potranno fare finché permane questo sistema politico in Bosnia, imposto proprio dall’UE (e dagli americani), che sfocia in una paralisi delle procedure democratiche proprio perché il compromesso costituzionale ha legalizzato il nazionalismo, non solo serbo, come principio costitutivo del Paese.

Il secondo tema d’imbarazzo, o meglio della “tragedia degl’immigrati,” come l’ha definita Umberto Eco, sembra sia stato finalmente affrontato, dopo dieci anni di tentativi, a Bruxelles. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo hanno infatti trovato “l’accordo politico” sulle tessere legislative che costituiscono il cuore del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Tra gli effetti, il pensionamento del famigerato accordo di Dublino e l’arrivo della “solidarietà obbligatoria” verso i Paesi di primo arrivo, come l’Italia. Il nuovo Patto non prevede ricollocamenti forzati, ma contributi finanziari, 20mila euro a persona per chi non accetta di aiutare gli altri Paesi ospitando fisicamente i migranti. L’intesa fra le tre istituzioni è figlia di quel passaggio già a modo suo storico: i 20 mila euro a migrante dovrebbero convergere in un fondo che servirebbe a mettere a terra iniziative sulla “dimensione esterna”, ovvero tutto ciò che può far diminuire gli arrivi alle frontiere dell’UE. Molte, però, le critiche che arrivano dalle ONG. “Verrà mantenuto il fallimentare sistema di Dublino e si continuerà invece a isolare i rifugiati e i richiedenti asilo, trattenendoli in campi remoti”, denunciano importanti sigle umanitarie in una lettera collettiva.

E il terzo motivo di preoccupazione è ora la mancata ratifica del Mes – del Meccanismo europeo di stabilità, conosciuto come il “fondo salva-Stati”. Questo meccanismo impone agli Stati che gli aderiscono una disciplina finanziaria rigorosa. Ma è anche un’opportunità per gli Stati che incontrano delle difficoltà finanziarie a confronto con la crisi monetaria internazionale. L’Italia è stata, proprio l’altro ieri, il Paese che con il voto negativo del Parlamento ha rifiutato la ratifica dell’accordo, nato proprio per affrontare la crisi finanziaria internazionale e la crisi del Covid. Non si potrà rinegoziare questo accordo fino alle elezioni europee nel giugno dell’anno prossimo. Dunque, l’Europa deve risolvere queste patate bollenti: come disse Romano Prodi, ad un convegno tenutosi la settimana scorsa con il titolo “L’Europa che vogliamo”, lo possiamo fare solo proseguendo sui presupposti del “Manifesto di Ventotene”: dunque, più federalismo – e sovranismo sì, ma europeo.

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