LO SPECCHIO Avevamo camminato troppo in fretta…

0
LO SPECCHIO Avevamo camminato troppo in fretta…

Michael Ende (1929-1995) lo scrittore tedesco autore de La storia infinita e di Momo, scrisse un editoriale per un periodico di ampia diffusione che ben fotografava la condizione dell’uomo occidentale e che si rivelò decisamente profetico. Mantiene la sua attualità. Lo riassumo sinteticamente.
Una spedizione archeologica stava cercando di scoprire un’antichissima città che si diceva sepolta nel fitto della giungla di un Paese centroamericano. Per procedere più agevolmente erano stati assoldati dei portatori locali che si rivelarono affidabili e volenterosi. Farsi strada nel fitto della vegetazione era molto faticoso, ma bisognava rispettare i tempi, per cui la spedizione procedeva speditamente. Una mattina però i portatori si rifiutarono di proseguire. Se ne stavano accoccolati in cerchio, senza parlare. La sosta durò alcuni giorni. Il capo della spedizione, temendo che l’impresa fosse destinata all’insuccesso, cercò di offrire ai portatori un compenso maggiore, li minacciò persino con le armi, ma senza risultato. Una mattina però i portatori ripresero il cammino senza che fosse stato loro ordinato di farlo e senza dare alcuna spiegazione del loro comportamento. Solo dopo un po’ di tempo il capo dei portatori spiegò quanto accaduto: “Avevamo camminato troppo in fretta. Le nostre anime erano rimaste indietro”.
Una bella lezione quella contenuta nella storia raccontata da Ende, profonda nella sua apparente semplicità. Ci interpella, tocca soprattutto noi, figli di questo tempo denso di inquietudini, di angosce; noi, i più accaniti sfruttatori del pianeta, espressione delle civiltà più evolute, avanzate. Già, avanzate… avanzare, verso dove? A che prezzo? Quello, appunto, di lasciare le nostre anime indietro, svuotando il nostro organismo – insieme armonioso di mente, di corpo, di spirito – di una parte essenziale, vitale, quella che ci fa, o dovrebbe renderci maggiormente umani? È tempo di dirlo forte: l’uomo è profondamente malato. Una malattia assai grave, un segnale che ci dice che da tempo avevamo intrapreso la strada del non ritorno, protesi al conseguimento parossistico di mete aleatorie, prive di contenuti che non fossero prettamente materiali e atte a far accrescere in modo abnorme il nostro io.
La nascita di un uomo nuovo – più centrato sull’essere che sull’avere, con maggiori consapevolezze rispetto alla sua personale responsabilità verso un pianeta in agonia – per evitare che sia velleitaria implicherà costanza nell’impegno e la capacità di individuare e ascoltare buoni maestri, figure tuttavia di cui siamo orfani da tempo. Per poter trasformare ciò che è fuori di noi dovremmo innanzitutto saper cambiare noi stessi.

* psicologo – psicoterapeuta, già dirigente del Servizio Sanitario Nazionale e docente di Psicologia all’Università degli Studi di Udine

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display