INSEGNANDO S’IMPARA Ridere per sopravvivere

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INSEGNANDO S’IMPARA Ridere per sopravvivere
La presentazione del libro dedicato alle barzellette sulle bionde scritto dall'attirce Leonora Surian. Foto: Goran Kovacic/PIXSELL

Nel mondo angloamericano dei comici di professione esiste un’espressione quasi matematica con cui regolarsi “tragedia + tempo = comicità” come dire che dopo un dovuto intervallo si può scherzare su qualsiasi cosa pubblicamente (privatamente l’intervallo è pressoché nullo). Quanto tempo dopo il fatale incidente avete sentito le prime barzellette sulla morte della principessa Diana? E dopo la catastrofe delle Torri Gemelle? Se i tempi non sono maturi e il pubblico non ride, ma succhia l’aria tra i denti in un “uhh” di raccapriccio, i comici non si scompongono ma si limitano a chiedere “Too soon?” (Troppo presto?), come dire “lo so io e lo sapete anche voi, che tra un po’ quello che ho appena detto vi farà scompisciare”.
Cosa succede però se i fatti tragici non avvengono una tantum, disgrazie accidentali, ma sono frutto di un sistematico accanimento del destino o della storia? Allora abbiamo quello che in inglese si chiama “black humour” e per il quale in italiano non c’è un termine adatto, perché questo tipo di umorismo non appartiene alla nostra cultura. Per comodità in questa sede lo chiameremo umorismo nero ma, lo ribadisco, il termine non soddisfa.
Già quando abbiamo parlato del sarcasmo avevamo stabilito che noi mediterranei non ci ritrovavamo più di tanto in quel modo di pensare. Perciò immaginate di prendere il sarcasmo più puro, infarinarlo nel plutonio, piazzarlo sotto a un popolo tartassato e attendere. Ne risulterà l’humour più dissacratorio e corrosivo che ci sia. Nel mondo occidentale il popolo maestro in assoluto in questo, è quello ebraico, i cui drammaturghi, umoristi e scrittori hanno prodotto comicità senza pari, distillata da secoli di sofferenze. Pensiamo solo alla traiettoria che va dai fratelli Marx, a Mel Brooks, Woody Allen fino a Sacha Baron Cohen, per apprezzare come ad ogni stadio, i limiti di ciò che era consentito fino ad allora, siano stati fatti saltare, inaugurando una nuova era. Non so se gli irlandesi siano al secondo posto, ma anche in quest’isola non si scherza. O meglio, si scherza, eccome, su tutto. Non c’è argomento che si salvi, malattia, morte, famiglia, politica, crimine, disordine mentale, disabilità, – non c’è tabù che non sia stato polverizzato dall’intelletto acutissimo e dalla lingua mordace di questa gente. Il black humour è conosciuto anche come “gallows humour” cioè umorismo da galera, quello prodotto dai condannati a morte, che, in assenza di ogni speranza spremevano gli avanzi di arguzia in frasi memorabili. Se vogliamo questo è uno dei segreti di questo umorismo: l’enorme sollievo che dà in situazioni senza tregua. E l’Irlanda del Nord conosce benissimo il significato di questa condizione. Immaginate trent’anni di violenti disordini mentre allo stesso tempo la popolazione in generale cerca di mantenere una parvenza di vita normale; atrocità tremende, e comunque si va al lavoro e si mandano i bambini a scuola; deprimenti notizie quotidiane e il momentaneo sollievo di una pinta e due battute fulminanti al pub. Questo è in effetti uno dei punti di forza del black humour, quello di rafforzare almeno temporaneamente il morale degli oppressi.
L’umorismo nero è efficace quando riesce a minimizzare l’orrore e liberare per un momento l’energia repressa, in un balsamico sfogo liberatorio. Questo si vede anche nel modo in cui qui ci si riferisce alla tragica storia recente. Mentre la stagione del terrorismo in Italia è stata battezzata “gli anni di piombo”, i nordirlandesi chiamano la loro “Troubles” i guai! Quando si dice minimizzare.
La prima barzelletta che ho sentito appena arrivata a Belfast è stata: C’è un uomo che cammina di sera per le strade deserte della città. Improvvisamente da dietro un angolo spunta uno che puntandogli una pistola alla fronte gli chiede “Cattolico o protestante?” L’uomo balbetta “Ebreo” e l’altro “Cavolo! Sono l’arabo più fortunato di Belfast”. Da notare che questa situazione è effettivamente accaduta in certi quartieri presidiati da uomini in passamontagna dove neanche la polizia si azzardava a entrare. Sembra che una volta alla risposta “ebreo” da parte dell’interrogato, l’uomo armato avesse ribattuto “Sì ma ebreo cattolico o ebreo protestante?”
Un perfetto esempio di tragedia trasformata in umorismo è quello del comico Patrick Kielty, il cui padre fu assassinato dai terroristi, ma che è riuscito a ritagliarsi una carriera ridicolizzando la violenza. “Bombs, bulletproof vests and black balaclavas – the Northern Ireland national costume” (bombe, giubbetti antiproiettile e passamamontagna neri – il costume nazionale nordirlandese) è una della sue squisite battute.
I tempi sono cambiati, sono passati 24 anni dal Belfast Agreement (Accordo di Stormont o Accordo di Pasqua) del 10 aprile 1998, che inaugurava ufficialmente la nuova era di pace in Irlanda del Nord e una nuova generazione è cresciuta in una società senza conflitti. Ma l’umorismo nero continua a prosperare e gli irlandesi non solo lo amano ma lo considerano una preziosa risorsa. A parte gli innumerevoli commenti in cui si rende merito proprio all’umorismo, se si è riusciti a superare trent’anni di “Troubles”, recentemente anche le restrizioni Covid sono risultate più sopportabili grazie a una buona dose di cattivissime battute. Ormai è una forma mentis; la capacità tipica di questa gente di andare oltre alle apparenze, di cogliere quello che gli altri non vedono, di scavare più a fondo, ma sempre con acuta intelligenza. Io avevo una barzellettina che mi sembrava perfetta e impossibile da modificare “Un masochista dice a un sadico – Picchiami! E il sadico risponde No”. Ebbene un nordirlandese me l’ha, non solo modificata, ma anche migliorata “Un masochista dice a un sadico – Picchiami! E il sadico risponde – “Forse.” Il caso è chiuso.

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