È mercoledì – giorno della rubrica, 20 marzo – si spalancano le porte alla primavera. Tutto punta verso la stagione che sta facendo il suo ingresso trionfale, per cui il tema è dettato dalle stelle. Quelli che ancora ricordano l’ebbrezza della “Pioggia nel pineto”, sono liberi di immaginarsi “volti silvani, freschi pensieri e vestimenti leggeri”, proiettati sullo sfondo delle “ginestre fulgenti, dei fiori accolti e delle coccole aulenti” della nuova stagione.
Con la mente piena di verde tenero, cominciamo la carrellata dei riti riguardanti la primavera. Va subito premesso che il contenuto che segue ha solo scopo illustrativo e non intende essere una ricerca antropologica. Va anche sottolineato che non saranno tutte rose e fiori (perdonatemi, ma ci stava) in quanto tra i rituali propiziatori della fertilità ci sono storie con immagini magari forti e a volte intrise di descrizioni raccapriccianti.
In uno dei miti primaverili greci (e romani), sono i personaggi femminili a dominare la scena. Le protagoniste sono la fiera dea Demetra che presiedeva alla natura, ai raccolti, alle messi e alle stagioni e la sua amata figlia Persefone (a volte chiamata Kore – giovinetta). Per i romani esse diventeranno Cerere e Proserpina. Con un atto di violenza Ade, signore degli inferi, rapisce Persefone e la costringe a diventare sua sposa. La madre affranta e disperata comincia a cercarla. Per obbligare gli altri dèi ad intervenire, ritira le sue energie creatrici dalla terra, rendendola sterile e morta. Allora Zeus ordina la restituzione di Persefone alla madre. Ma siccome la fanciulla ha assaggiato alcuni semi di melograno all’inferno, è condannata a vivere in perpetuo nel sottosuolo. Alla fine viene raggiunto un compromesso e a Persefone viene permesso di trascorrere con la madre sei mesi (in alcune versioni quattro), prima di dover ritornare nell’Ade. Si può così vedere come il periodo in cui le Due Dee stanno insieme corrisponde all’epoca della fioritura e crescita, prima della fase spoglia e improduttiva. Perciò i riti primaverili le celebrano insieme.
Più a oriente, nella penisola anatolica, nell’antica Frigia, per quasi tutto il mese di marzo si celebravano i riti propiziatori in onore della dea creatrice Cibele e del suo figlio/amante Attis. Siccome il culto si è diffuso nel mondo antico, venendo adottato anche dai romani, ce ne sono varie versioni e testimonianze, il che lo rende piuttosto complicato. Senza addentrarci nei dettagli, anticipiamo solo che qui sono i maschi a dover sacrificarsi e nel modo più crudele possibile: rinunciando ai loro…gioielli. (I signori lettori qui sono autorizzati a fare il gesto scaramantico di rito). Quindi, Attis, colto dalla potentissima dea Cibele, madre della terra “in flagrante delicto” con una ninfa, viene punito con l’evirazione che, nelle varie versioni o è perpetuata da altri o addirittura da egli stesso. Nella complessità del mito, Attis ha un predecessore, Agdistis, generato da Zeus e…una roccia, che a causa del suo comportamento violento e irritante verso gli altri dèi, è stato a sua volta punito con l’evirazione, effettuata in maniera particolarmente efferata da Dioniso in persona.
Sembra anche che i riti che celebravano il mito di Cibele, e che si svolgevano nel mese di marzo, includessero tra le varie pratiche, anche l’Arbor intrat, ovvero l’ingresso dell’albero. Un pino del bosco sacro a Cibele veniva tagliato e trattato come un morto cioè, fasciato con le bende, ricoperto di viole, portato in processione e, dopo tre giorni di lutto, deposto nella tomba. Ma durante quei tre giorni succedeva di tutto. Il popolo veniva progressivamente infervorato dalle urla dei sacerdoti, dalla musica e dalle danze. Il giorno del “funerale” la frenesia raggiungeva il suo apice con gli adoratori che, nell’ebbrezza del ritmo delle danze, si autoflagellavano, procurandosi ferite sanguinanti e alcuni arrivavano perfino a…l’avete capito. Una volta sacrificati i gioielli, questi fedeli erano degni di diventare sacerdoti consacrati a Cibele. Certo che in passato si dava tutto di sé stessi per celebrare le forze di rinascita della primavera. Mica come noi che, per in un buon raccolto, ci limitiamo al massimo a pregare per acqua e sole in abbondanza.
Sono interessanti anche i miti celtici, egizi, maya e aztechi, ma lo spazio è limitato. Perciò, dopo sacrifici, lacrime e sangue, finiamo con un mito a noi più vicino che, nel suo insieme, è più consono alla soave e poetica immagine della primavera. Stiamo parlando del mito di Vesna che attraversa la quasi totalità del mondo slavo, dalla Russia, Bielorussia e Ucraina, passando per le terre centrali dei polacchi, cechi e slovacchi, fino a coprire le zone slave dei Balcani.
Anche in questo caso il mito parla di una dea e della sua controparte al negativo, per cui Vesna con le sue forze rigeneratrici è contrapposta a Morana (o Marzanna, Mara, Morena, a seconda dei luoghi), la dea della morte e dell’inverno, l’una è la diretta conseguenza dell’altra, ma non possono coesistere nello stesso momento. Per cui per fare posto a Vesna, Morana deve morire e questo avviene nei rituali dell’inizio di marzo in cui si brucia o si annega la sua effige. Fatto ciò, Vesna può fare la sua entrata in tutta la sua bellezza, che è notevole. Vesna è giovane, fresca, dalle guance rosate; arriva a piedi nudi ed è drappeggiata in morbide e fluenti vesti bianche ornate di fiori e tralci intrecciati. Nelle descrizioni le vengono apposti numerosi simboli naturali che stanno ad indicare l’inizio del nuovo ciclo di abbondanza: una rondine, (che ovviamente fa primavera), una mela o altri frutti che rimandano ai raccolti che verranno e soprattutto gemme e boccioli per dare al tutto un’idea di bellezza, armonia, salute e generosità divina. Non sarà che anche il grande Sandro Botticelli sia stato ispirato da Vesna per la sua meravigliosa Primavera? La somiglianza è sorprendente. Comunque sia, buona primavera a tutti.
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