INSEGNANDO S’IMPARA Italiano: la lingua dell’amore 2

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INSEGNANDO S’IMPARA Italiano: la lingua dell’amore 2

In un precedente bozzetto avevamo menzionato alcune peculiarità un po’ terra-terra della nostra lingua, per cui in poche parole si va sempre finire… là. Insegnando l’italiano ai madrelingua anglofoni c’è sempre il problema del costrutto di “piacere”, in quanto in inglese la cosa è semplice e diretta “I like chocolate”. L’azione parte dal soggetto e, come la freccia di Robin Hood, colpisce secca l’oggetto. Nelle nostre lingue (vale anche per il croato) invece della freccia abbiamo il boomerang: bisogna prima andare dalla cioccolata che deve poi tornare indietro per piacere “a me”. Non ci aiuta il fatto che nel dire “Mi piace la cioccolata”, il “mi” iniziale viene percepito come un “io”, per cui gli studenti pensano che la cosa rifletta il loro “I like”. In effetti i più scrupolosi coniugano il verbo alla prima persona, appunto come in inglese, e finiscono con il dire “Mi piaccio”. Siccome di solito sono persone riservate che appartengono a una cultura che rifugge tutte le manifestazioni di umana vanità, per far capire loro la portata della frase che hanno appena pronunciato, mi metto a recitare “specchio, specchio delle mie brame…”. Funziona sempre e “mi piaccio” viene istantaneamente fulminato. Quando finalmente si sono abituati all’idea di dire “mi piace”, bisogna comunque dar loro la cattiva notizia che questo si applica solo al singolare, per cui è ok per la cioccolata, ma non vale per i cioccolatini. Così si ricomincia: si va prima dai cioccolatini, si costata che è plurale, si torna e si inizia la frase con “Mi piacciono”… e si perde la voglia di vivere.
Ma è proprio qui che noi insegnanti-coach, diamo il meglio di noi stessi con forti dosi di motivazione che stimolano gli studenti a perseverare e li portano al livello intermedio dove la situazione si fa ancora più complicata, perché è a questo punto che si insegna il passato prossimo e si parla di quello che si è fatto ieri. Incoraggiati da noi a fare conversazione, loro applicano le loro norme di “small talk” (che trovo riduttivo tradurre con “convenevoli” o “chiacchiere”) e cercano un punto in comune con l’interlocutore, di solito qualcosa che entrambi hanno visto, ascoltato, ammirato, sentito, letto, per cui desiderano chiedere “Did you enjoy it?”. Qui mi guardano speranzosi aspettandosi una veloce traduzione della frase, in modo da proseguire con il loro discorso. Invece mi sentono mormorare le fatidiche parole “Dobbiamo parlare” e mi vedono togliere gli occhiali, segnale al quale rispondono ormai pavlovianamente raddrizzandosi sulla sedia.
Io non so come facciano gli altri insegnanti di italiano in giro per il mondo, ma so che i miei studenti sono persone intelligenti e scrupolose, sanno cos’è un dizionario (anche digitale) e possono benissimo vedere che per la parola “enjoy” vengono date in italiano almeno tre alternative: godere, divertirsi, avere/provare piacere. Avete già capito dove sta il problema, con l’aggravante che il contesto richiede proprio la declinazione alla seconda persona singolare (tu) del passato prossimo (hai + participio passato). Permettetemi una frase in dialetto “scuro davanti ai oci” al solo pensiero queste persone, così modestamente discrete, possano pronunciare una frase del genere. Mi chiedo allora, com’è nato il problema? Non è una questione di grammatica, e neanche di significato originario delle parole (che è gioiosamente neutro), è proprio l’uso che si è fatto di tale significato nel tempo, per cui oggigiorno ci troviamo in questa situazione scabrosa. Il discorsetto che segue, l’ho fatto talmente tante volte che è diventato uno sketch.
In italiano, “to enjoy” viene di solito tradotto con piacere, godere o divertirsi. Ognuno di questi termini comporta dei problemi per i madrelingua inglesi. Cominciamo da “divertirsi”. Vedete subito che è un verbo riflessivo, per cui al passato prende l’ausiliare “essere”, ma come termine è limitato perché implica un elemento di “fun”, giocosità, che non si adatta a tutti i contesti. Potete uscire dal teatro dell’opera, dove Tosca si è appena buttata giù da Castel Sant’Angelo e comunque chiedere in inglese “Did you enjoy it?”. Ma se dite “ti sei divertito” dovreste farvi vedere da un bravo psichiatra. Passiamo a “godere” – pausa, lunga pausa – grammaticalmente è il migliore. È un verbo sia intransitivo che transitivo, tecnicamente esprime esattamente quello che volete dire. Eccetto che il significato principale del verbo (quello intransitivo) è stato requisito da… un particolare tipo di godimento che di solito non viene sbandierato in piazza, mi spiego? Per cui il mio consiglio è quello di usarlo solo quando siete sicuri al 100 p.c. di quello che dite (Dalla cima della collina si gode di una meravigliosa vista della valle) e mai e poi mai alla seconda persona singolare del passato prossimo. Anzi, neanche alla prima persona singolare. Ancora meglio: lasciate perdere il passato. Ci siamo capiti? Ne consegue, – concludo – che la nostra unica alternativa rimane sempre il verbo “piacere”.
– “Nooo” – fanno loro ancora traumatizzati dal primo anno.
– “Siii – faccio io – e stavolta è ancora più complicato perché oltre a doverci ricordare se la cosa che ci piace è singolare o plurale, adesso conta anche se è femminile o maschile, in quanto “piacere” al passato prende l’ausiliare “essere”. Adesso facciamo degli esempi…”
Come vedete, insegnare agli stranieri è divertente, comporta un godimento intenso ed è fonte di piacere inesauribile.

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