INSEGNANDO S’IMPARA È veramente internazionale la Giornata della donna?

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INSEGNANDO S’IMPARA È veramente internazionale la Giornata della donna?
Foto Ivor Hreljanović

Oggi prendiamo spunto dalla festività dell’otto marzo per fare alcune considerazioni sul fatto che la parola “internazionale” non vuol necessariamente dire che la cosa sia uguale a livello mondiale e questa festività è un chiaro esempio.

Su entrambe le sponde dell’Adriatico questa festa è culturalmente radicata e molto sentita in virtù del suo specifico carattere originario e della chiara significanza collettiva. Noi riconosciamo in questo giorno la celebrazione della donna a tutto tondo, del suo valore umano e del suo ruolo all’interno della società. La donna in tutti i suoi ruoli, non solo quello di madre, ma di figlia, lavoratrice, collega, moglie, amica. Presumo che l’enfasi vada soprattutto ai rapporti orizzontali di collaboratrice, amica e membro attivo della società, piuttosto che alla verticalità del provvedere a figli piccoli e genitori anziani.

Anche se è una festa mordi e fuggi, non troppo impegnativa (San Valentino dà più da pensare e da decidere) possiede tuttavia un colore, un odore, un rituale e un’atmosfera tutti suoi. La mimosa, che la rappresenta, la rende fresca grazie al suo profumo inebriante ma discreto, e allegra con tutto quel giallo coronato dai rametti verdi delle foglie. Una ventata di primavera in anteprima.

La briosa esuberanza innescata da questi stimoli sensori si traduce in un buonumore contagioso che si propaga lungo la rete di connessioni di ogni singola donna, in un turbine di messaggi motivazionali, d’auguri e d’affetto che rimbalzano, sia dalle piattaforme mediatiche, che dalle interazioni fisiche tra le ragazze di tutte le età. E secondo me, questo è il segreto della festività: quello di far sentire il vigore di una giovinezza mai persa. Indipendentemente dall’età, in questo giorno, tra sorrisi e occhiatine d’intesa, si ritorna tutte al grado zero dell’essere donna, a quel trampolino di lancio che racchiudeva tutte le possibilità prima che i fatti della vita indirizzassero verso la via stretta della quotidianità. Ci si riconnette per un attimo con quell’essenza umana femminile che la consuetudine di tutti i giorni ha offuscato.

Quindi cosa c’è di più bello che vedere gruppi vocianti di donne vestite, truccate e profumate solo per sé stesse, che escono a braccetto verso una serata galvanizzante. Oppure riunite insieme per il semplice gusto di condividere la reciproca compagnia nel “loro” momento, quando tutte le mansioni di casa, figli e altri impegni sono state allegramente delegate a qualcun altro.

Ma anche se non si fa niente, si ha comunque la consapevolezza che esiste la potenzialità di poter fare qualcosa, cioè che nel calendario delle abitudini, usi e costumi dell’ambiente in cui viviamo c’è lo spazio aperto alle iniziative di cui sopra. Quel giorno la finestrella della scelta è aperta.

L’otto marzo a Belfast è un po’ come il carnevale, si sa che esiste ma di fatto non c’è. Se ne parla ovviamente. Sin dal mattino la radio annuncia a lettere maiuscole che “oggi è la Giornata internazionale della donna…” magari ci sarà qualche forum di donne in TV che discuterà sulla “situazione femminile nel mondo e bla bla bla” ma questo non si propaga fino alla singola donna in ufficio, in fabbrica o a casa. Rimane un evento teorico che non filtra nella pratica della collettività. Al piano terra la finestrella non c’è.

Quindi niente mimose, niente messaggini, niente abbracci femminili, niente giornata speciale, niente uscita serale tra donne. Ci rimangono le battute cretine di alcuni maschi – “Quand’è che si festeggia la giornata internazionale degli uomini?” “Gli altri 364 giorni, caro” – che lasciano un retrogusto amarognolo, perché effettivamente si potrebbe fare di meglio.

È interessante vedere come le consuetudini sociali influenzino il modo di comportarsi delle persone. San Valentino obbliga le coppie ad uscire e “festeggiare” anche quando non lo vogliono, ma meno di un mese dopo le donne non fanno nulla insieme anche se lo vorrebbero. E tutto perché non è “tradizione”. Chi nega il valore (e il potere) delle tradizioni dovrebbe venire quassù a trascorrere qualche anno senza carnevale e senza otto marzo e vedere come se la passa.

Il che apre un’altra questione su come si formino le tradizioni. Dopo quanti anni una consuetudine viene giudicata tale? Chi lo decide? La tradizione nasce dal basso o viene imposta dall’alto? Quale proporzione della popolazione deve partecipare attivamente ad un evento per poter essere dichiarato tradizione sociale?

Ovviamente qui non si tenterà neanche di offrire risposte. Quelle le lasciamo ai sociologi, etnologi e agli studiosi del marketing. Ma è interessante vedere come parole come “internazionale” e “mondiale” vengano ormai usate quasi in modo burocratico, privo di vitalità. Andate a dare un’occhiata al calendario delle Nazioni Unite per le “Giornate internazionali di…” (www.un.org/en/observances/list-days-weeks) per farvi una risata. Non perché non sia una nobile iniziativa dedicare un giorno ad una giusta causa, ma perché l’agglomerazione di elementi eterogenei ammucchiati tutti insieme fa esplodere il nostro già esiguo spazio mentale e la nostra capacità di inglobare ulteriori “spunti di riflessione” nella nostra vita.

Inoltre alcune giustapposizioni fanno proprio ridere. Il 20 marzo è sia la giornata internazionale della felicità (!) che la giornata dedicata alla lingua francese. Madames e Messieurs, siate felici! È un ordine. D’accord?

Oppure il prossimo 21 novembre sarà, sia la giornata internazionale della filosofia, che la giornata mondiale della televisione. Questo va al di là della satira e ognuno è invitato a esprimere le sue opinioni sul contributo della televisione alla moderna filosofia.

Ma la questione è: che cosa cambia nella nostra vita sapere che il 5 aprile è la giornata mondiale della coscienza, o che il 30 giugno è la giornata mondiale degli asteroidi? Un bel niente, credo. Ma un rametto di mimosa l’otto marzo è tutta un’altra cosa.

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