INSEGNANDO S’IMPARA Come siamo arrivati ad Halloween?

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INSEGNANDO S’IMPARA Come siamo arrivati ad Halloween?

Con il ritorno di novembre, giungiamo di nuovo alla nostra tradizione di commemorare “i morti”. Il mio primo ricordo di questa festività è quello delle mie nonne che riempivano di acqua e olio un bicchiere e ci tenevano sospeso un filo, il lumino, che ardeva in continuazione per alcuni giorni vicino alle foto dei familiari defunti. Ricordo anche che, già alla fine di ottobre ci si industriava di fare scorta di candele e crisantemi per la tradizionale visita al cimitero.

Crescendo, specie durate gli anni triestini, ho scoperto che le festività erano in realtà due: Ognissanti il primo di novembre, vera e propria festa con negozi e uffici chiusi, mentre la Commemorazione dei morti si celebrava il giorno dopo.

Una volta trapiantata in Irlanda sono venuta a conoscenza delle antiche tradizioni celtiche che stanno all’origine di questa festa, come anche del fastidio che provavano gli irlandesi nel costatare come queste stesse tradizioni, una volta portate oltreoceano con gli emigranti, fossero diventate la pagliacciata nera e arancione di Halloween all’americana.

Adesso tocca a me appurare, non senza malinconia, che il circo di Halloween sia arrivato anche in Istria, con le zucche, i travestimenti e la buffonata di “dolcetto o scherzetto” che rimpiazzano il momento di accorto raccoglimento che la festa originale comandava.

Se vogliamo capire l’evoluzione della situazione, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e notare che, come già per la Pasqua, anche questa festività si è andata componendo da successive stratificazioni di antichi riti pagani (celti, greci e romani) e susseguenti sovrapposizioni cristiane. Tenendo presente che in tutte le civiltà esistono rituali che si associano al culto dei morti che vanno al di là dei semplici riti funebri, ma si riallacciano al ricordo degli antenati e alla credenza della vita dell’anima nell’oltretomba, il fulcro dei rituali europei ha la base proprio nei riti celtici, a cominciare dal momento dell’anno in cui questi vengono celebrati.

È affascinante notare che per i celti il flusso del tempo non cominciava, come per noi, con la prima luce che si avviava poi verso la notte, ma iniziava dalle tenebre andando verso il chiarore del giorno. Già Giulio Cesare nel libro VI del suo “De bello gallico”, aveva osservato questo particolare, riferendoci che “Tutti i Galli…determinano la durata di ogni tempo non dal numero dei giorni, ma delle notti; calcolano i compleanni e gli inizi dei mesi e degli anni in modo tale che il giorno segua la notte”. Ciò significa che anche il computo dell’anno seguiva questo principio e iniziava nel momento del buio, quando, dopo il raccolto, la vita si assopiva in attesa di risbocciare nella luminosità della nuova primavera. I due giorni dell’anno che segnavano, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, questi due periodi erano chiamati rispettivamente Samhain (pronuncia “sàuin”) primo novembre e Beltane (pronuncia “beltèin”) primo maggio.

Si intuisce dunque, l’importanza del primo di novembre come spartiacque dell’anno celtico, il tempo in cui ci si avvia verso la parte buia dell’anno a cui si deve aggiungere anche la credenza che questa data determini anche il momento in cui la membrana che divide il mondo dei vivi e quello dei morti, si fa più sottile, permettendo quasi un’osmosi tra i due regni. Per i celti, la notte delle calende d’inverno, detta anche Nos Galan-Gaeaf, diventa una soglia dalla quale possono entrare gli spiriti del mondo soprannaturale, spiriti che evocano sì paura (da cui tutte le storie di spettri e fantasmi), ma anche rispetto. Perciò bisogna dimostrare loro attenzione e offrire sacrifici, al fine di ingraziarsi la loro protezione per l’inverno a venire. Assieme a queste entità varcano la soglia anche le anime dei defunti che anelano ad un ricongiungimento con i luoghi e le persone che hanno lasciato, da cui tutte le tradizioni di apparecchiare la tavola anche per i familiari morti o di lasciare anche per loro un posto vicino al focolare. Si può ben capire come anche le nostre tradizioni di accendere candele e di visitare i cimiteri abbiano origine da lì.

Questi rituali erano molto radicati presso tutte le popolazioni europee e la Chiesa ha avuto un bel daffare per ridirigere l’attenzione della gente da una visione prettamente agricola e pagana, a quella cristiana. Siccome le celebrazioni non si potevano semplicemente sopprimere, era necessario riequilibrare la situazione in una direzione religiosa e di natura spirituale. Il primo passo è stato quello della compensazione, cioè di offrire una festa cristiana alternativa a quella pagana e questo venne fatto nel 609 o 610, quando papa Bonifacio IV convertì il Pantheon in basilica cristiana dedicandola alla Vergine e ai Martiri e scelse il 13 maggio come data in cui festeggiare Tutti i Santi. Non si sa esattamente quale sia stato l’impatto di questa disposizione, ma è facile ipotizzare che non abbia sortito i risultati voluti, se due secoli dopo, papa Gregorio IV fece spostare la data di Ognissanti da maggio al primo di novembre, festività che divenne obbligatoria nel 1475 sotto il pontificato di Sisto IV. Per varie ragioni, dal X secolo, la Chiesa cominciò a commemorare anche i morti, scegliendo di farlo il giorno seguente alla festività dei Santi. Tale pratica, che sembra risalire alla riforma cluniacense, venne istituzionalizzata dalla Chiesa nel XIV secolo con il nome Anniversarium Omnium Animarum. Questo spiega la sequenza delle due feste di novembre.

Prima di concludere un’ultima nota sull’etimologia di Halloween, che dovrebbe propriamente scriversi Hallowe’en. Il termine è la versione scozzese dell’inglese antico “All Hallows Eve” che significa “vigilia di Tutti i santi”. Tecnicamente quindi il termine è ineccepibile, ma volendo, possiamo sempre chiamare questi tre giorni Vigilia, Santi e Morti, come si è sempre fatto.

 

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