INSEGNANDO S’IMPARA Benedette suocere

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INSEGNANDO S’IMPARA Benedette suocere

Ed ora che mia suocera qui giace,

lei non lo so, ma io riposo in pace.

Così dicono sia scritto su una lapide di Tarquinia. Il dato certo è che la paternità dei versi è del poeta, appunto tarquinese, Giovan Battista “Titta” Marini che in due righe è riuscito ad incapsulare il sentimento generale riguardo le suocere.

Va da sé che ogni donna, madre di figli che si sposeranno (o conviveranno), è destinata a diventare una suocera. La questione è quella di essere una suocera senza diventare LA suocera.

A tutta prima, la rivalità tra suocera e nuora sembra giocarsi su chi debba primeggiare sull’uomo condiviso. In realtà questo è solo un aspetto della questione. Se analizziamo le più frequenti lamentele delle nuore, troviamo termini come “impicciona, invadente, ficcanaso, indiscreta, criticona, arrogante, dispotica, ossessionante” che, più che la gelosia, descrivono una mancanza di rispetto e di sconfinamento nel territorio dell’altra. Forse la suocera, abituata a dominare tutti gli aspetti della vita pratica del figlio, non capisce che, se prima poteva riporre la sua biancheria nel cassetto, con l’arrivo di reggiseni e slip di pizzo, quel cassetto le diventa precluso, come preclusa è anche la porta della camera da letto e, non basta, ma adesso deve anche bussare prima di varcare la soglia di casa. Sembrano cose elementari, ma rinunciare ad un potere che prima si aveva è una delle cose più difficili da accettare. Una mia amica istriana, una mattina mentre stava sonnecchiando accanto al suo neonato dopo la prima poppata del mattino, ha sentito dei rumori provenire dalla cucina. Presa dal panico, paventando un intruso, si è avvicinata di soppiatto alla porta, solo per trovare la suocera che si stava tranquillamente facendo un caffè. In questo caso, avere la chiave di un appartamento, non significava automaticamente avere anche il diritto di entrarci. Siccome la mia amica è un tipo tosto, ha risolto la questione “perdendo” tutte le chiavi di casa e “dovendo” cambiare la serratura. A mali estremi, estremi rimedi.

Analizzando ancora più profondamente, vediamo che il problema ha radici storiche. Se facciamo un passo indietro nel tempo, osserviamo che, per secoli, gruppi famigliari estesi hanno vissuto tutti sotto lo stesso tetto e che le relazioni tra i membri dei vari nuclei erano regolate da rapporti di gerarchia, comando e sottomissione. A capo della casata stava il patriarca che regolava il lavoro e gli affari esterni della famiglia, assistito dalla matriarca a cui spettava l’autorità sull’andamento della casa, dei figli e degli animali domestici. Questo includeva avere la prima, e probabilmente anche l’ultima, parola sulle scelte di coniuge per i figli. Di conseguenza, ogni nuova sposa che entrava in famiglia era “l’ultima arrivata” e doveva sottostare all’autorità sia della suocera che delle cognate più “anziane”.

Sappiamo anche che questa non era una prerogativa delle classi meno abbienti, ma che la situazione si replicava su scala notevolmente più determinante nelle famiglie reali o comunque potenti, dove le ragazze erano alla mercè della volontà paterna e materna. Andare contro il volere dei genitori era spesso controproducente e la scelta “sconsiderata” veniva scontata in un modo o nell’altro.

Ne seppe qualcosa la duchessa Elisabetta di Baviera – Sissi, che non era stata la prima scelta di moglie per il futuro imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, ma che lui insistette a sposare, nonostante sua madre, l’imperatrice Sofia, avesse inizialmente pensato alla sorella maggiore, Elena. Le cose andarono come sappiamo e dopo il matrimonio la neo-principessa entrò a vivere in un palazzo dove operavano regole rigide e ferree, sotto il controllo della risoluta imperatrice, che era anche sua zia. Non mi esprimo in merito a tutti i dettagli storici della vicenda, ma se Sissi viene ricordata come “la principessa triste”, sicuramente qualche responsabilità l’avrà avuta anche la suocera.

Nella cultura popolare televisiva possiamo pure trovare echi di tale situazione. Quelli che negli anni ‘90 hanno seguito la notissima soap “Beautiful”, si ricorderanno che lo schema di fondo su cui si svolgevano le complicate vicende dei protagonisti era proprio una ricca famiglia americana, composta da padre e madre, con due figli adulti, ognuno con la propria compagna/amante/moglie ecc., e con conseguenti propaggini dell’albero dinastico. La cosa curiosa era che, per una buona parte delle prime serie, vivevano tutti sotto lo stesso tetto. Per quanto lussuoso e spazioso fosse il palazzo, possibile che a nessuno sia mai venuto in mente di dire “Ma con tutti i soldi che avete, non potreste andare a vivere per conto vostro?”. Ovviamente la distanza fisica avrebbe fatto diminuire il fattore di suspence della telenovela, da qui la scelta di stare “tutti insieme appassionatamente”.

Vorrei concludere con un ulteriore spunto di riflessione. Sempre in quel periodo, nel mondo della pubblicità, veniva creato il mito della famiglia del Mulino Bianco. Ve la ricordate? La mamma, carina, giovane, caschetto biondo e orecchini d’oro; il papà bel moraccione dinamico; gli obbligatori due figlioletti, il maschietto più grande e la femminuccia riccioluta; e… il nonno! Proprio così, c’era anche un nonno, presumibilmente vedovo. In un paese, per non dire pianeta, in cui le vedove superano di 10 volte i vedovi – dato noto a tutti– i pubblicitari scelsero di andare controcorrente. Tenendo presente che i pubblicitari sono persone scaltre, abili manipolatori che non lasciano nulla al caso, secondo voi, perché? Si potrebbe ipotizzare che la figura del nonno evocava sentimenti di tenerezza e che la sua presenza in famiglia avrebbe avuto sicuramente un impatto positivo. Se, d’altro canto, al suo posto ci fosse stata la nonna, questa sarebbe subito stata percepita anche come suocera e di conseguenza la sua presenza avrebbe potenzialmente potuto destabilizzare l’armonia famigliare. Secondo me è così.
E voi, che ne pensate?

 

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