Lo spettacolo del Teatro satirico “Kerempuh di Zagabria” “Ožalošćena porodica” (Famiglia affranta) di Branislav Nušić per la regia di Ivan Plazibat, ha aperto all’HKD di Sušak la nuova edizione del Festival delle Piccole scene di Fiume.
Uno dei più grandi commediografi serbi, Branislav Nušić, ne “La famiglia affranta”, presenta uno scenario fin troppo comune, nel quale al momento della morte di una persona benestante, si fanno avanti parenti e amici che vorrebbero una parte del suo patrimonio. Non mancano, dunque, le occasioni per fare del buon “humor nero”, reso ancor più divertente dal fatto che lo spettacolo è in serbo e la lingua (ma anche la cultura) serba si presta a giochi di parole, battutine e battutacce, con l’immancabile bestemmia.
Un testamento in eredità
Come si potrebbe immaginare, lo spettacolo si apre con il funerale di Mate, un uomo che all’apparenza non ha lasciato eredi e che ha redatto un testamento che, però, verrà letto, per volere del defunto, soltanto a quaranta giorni dalla sua scomparsa. Si tratta, per i suoi parenti, di un periodo troppo lungo e incerto, nel corso del quale la sua ricca dimora potrebbe venire saccheggiata dalla sua governante e dalla giovane figlia di lei. Il funerale trascorre senza una lacrima, se non per le lacrime fasulle della moglie di uno dei parenti, che si è autodichiarata rappresentante del cordoglio familiare. Nonostante la mancanza di chiare espressioni di tristezza, i personaggi in scena mantengono ben salda la maschera del parente prossimo che ha subito una perdita.
Indefiniti i gradi di parentela
L’elemento che sicuramente crea un’atmosfera surreale nella quale lo spettatore non riesce a collocare i vari personaggi in un contesto familiare, è l’ambiguità dei gradi di parentela dei presenti. In nessun momento non viene detto se uno è cugino, zio o nipote del defunto, ma si nominano parentele di settimo o ottavo grado non specificate. Gran parte dei litigi si basa, dunque, sulla determinazione di chi sia il parente più prossimo. Il filo rosso che unisce tutti i personaggi è la tendenza a sperperare il denaro. Uno ha fatto bancarotta ed è indebitato fino al collo, un altro è un sindaco caduto in disgrazia, un terzo ha il vizio del gioco, il quarto ha problemi di droga. Nell’attesa che venga aperto il testamento tutti decidono di trasferirsi nella villa del defunto per “monitorare” i suoi beni e assicurarsi che nulla venga sottratto.
Un’insoddisfazione profonda
Inizia in questo momento la parte più esilarante dello spettacolo, nella quale i personaggi sono costretti a vivere sotto lo stesso tetto e a controllarsi a vicenda. Ovviamente col passare del tempo smettono di recitare e mostrano il loro vero volto, il desiderio di accumulare più proprietà, potere e funzioni, anche a scapito del prossimo. Gli oggetti vengono sottratti “per ricordo”, l’argenteria viene nascosta sotto le vestaglie, i vassoi non vengono rubati ma “salvati” dai malintenzionati. Una volta aperto il testamento viene a galla che nessuno dei presenti è un discendente diretto del defunto e dunque gli averi di Mate vanno a terzi, come si poteva presupporre dal buon inizio. Ciò crea una valanga di malcontento che unisce i parenti in un’unica invettiva contro il ricco defunto e nella quale (finalmente) vengono rivelati i veri pensieri e le opinioni nei suoi confronti. Lo spettacolo, che secondo il programma sarebbe dovuto durare cento minuti, in realtà si è protratto per più di due ore e, a parere di chi scrive, l’ultima mezz’ora è superflua e presenta situazioni in sé non comiche quanto grottesche. Da lodare senza ombra di dubbio l’eccezionale performance di tutti gli attori in scena, ovvero Hrvoje Kečkeš, Marko Makovičić, Matija Šakoronja, Luka Petrušić, Filip Detelić, Vilim Matula, Branka Trlin, Linda Begonja, Mirela Videk Hranjec, Anita Matić Delić e Josipa Anković.
Ottimo anche il lavoro della drammaturga, Nikolina Rafaj, della scenografa, Paola Lugarić e della costumista Petra Pavičić, che sono riuscite a creare un universo in bianco e nero nel quale il colore compare al riaffiorare della verità.
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