IL CALAMO Manovre di liberazione

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IL CALAMO Manovre di liberazione

L’ostentata liberazione della giovane neo-ribattezzata e neo-convertita cooperante italiana Aisha (ex Silvia) Romano, recatasi con una ONG fatiscente (Africa Milele) in Kenya, dove è stata rapita da un gruppo di terroristi islamici somali, seguaci della setta di Al Shabab, per poi essere rilasciata dopo 18 mesi di prigionia grazie alla mediazione dell’intelligence turca, ha monopolizzato gran parte dell’attenzione dei media, distogliendoli però dalla percezione di altre “manovre di liberazione”, di cui risentiremo gli effetti a medio-lungo termine. Vale la pena ricordare quanto riportato a margine della cronaca nelle settimane passate. Congiungendo certi punti, come in uno di quei giochi della Settimana enigmistica, se ne ricava un’immagine forse poco sgranata e poco dettagliata, ma eloquente abbastanza da comprenderne il significato. Dal 18 al 27 ottobre 2019 a Wuhan si è tenuta la 7° edizione dei Giochi Mondiali militari (Cism Military World Summer Games 2019). Hanno partecipato all’evento oltre 10mila atleti provenienti da 140 Paesi, sfidandosi in 27 discipline sportive presentate in oltre 300 manifestazioni. Molti atleti, tra cui Valerio Aspromonte (spadaccino olimpionico a Pechino 2008) hanno riferito di essersi ammalati e aver riportato febbre altissima debilitante, con ingenti difficoltà respiratorie protrattesi per 3 settimane (così ha dichiarato a La Gazzetta dello Sport). L’atleta, però, non è mai stato sottoposto ad alcun tampone. Non solo: pare abbia trasmesso l’infezione anche al proprio bambino, una volta rientrato a casa. Dichiarazioni analoghe rilasciate all’emittente Loir7 dalla pentatleta francese Elodie Clouvel, sono state smentite da Parigi poco dopo. Il direttore del City Jinyintan Hospital, Zhan Dingyu, dopo il ricovero di 5 atleti di cui è stata occultata la nazionalità, ma le cui condizioni si erano aggravate, dichiarò che erano “affetti da malaria”. Con l’aumento di casi sospetti a Wuhan, a dicembre 2019, la più celebre virologa cinese Shi Zhengli, che da 16 anni studiava i pipistrelli e ne catalogava i virus, fu convocata d’urgenza per una consulenza di laboratorio. Dopo aver mappato il genoma del Covid-19, il 2 gennaio Shi viene invitata via mail a non diffondere gli esiti delle sue ricerche. Ma l’11 marzo Shi rilascia un’intervista alla rivista Scientific American, accennando all’ipotesi che il virus possa essere “stato liberato” dal suo Istituto. La zoonosi (lo spillover o salto di specie), avrebbe potuto verificarsi in zone subtropicali dello Yunnan, del Guandong e del Guanxi. Che sia avvenuto proprio in un centro urbano, dove la promiscuità tra umani e animali è praticamente rasente lo zero, le sembrò anomalo. Da allora, Shi, è dispersa. Non si sa più nulla di lei. Una collega americana, Jonna Mazet, sostiene di averle parlato di recente e, fungendo da ventriloquo non si sa bene di chi e perché, dichiara in sua vece ai media che “il virus non è stato liberato da alcun laboratorio”. Nel frattempo gli USA, saltate le trattative di metà marzo per l’acquisizione dell’esclusiva su di un prototipo di vaccino sviluppato dalla casa biofarmaceutica tedesca CureVac, tentano di trovarne uno da soli. Ma il 2 maggio il professore cinese Bing Liu, che all’Università di Pittsburgh, secondo i colleghi, “era sul punto di fare scoperte molto significative sul Covid-19”, viene freddato con un colpo di pistola da un certo Hao Gu, a quanto pare suicida nelle vicinanze. A questo punto Cina e USA iniziano a rinfacciarsi a vicenda di volersi appropriare l’una delle ricerche dell’altra, per accaparrarsi, oltre agli introiti derivanti dal primato del vaccino, vantaggi politico-diplomatici su scala globale. A ciò si aggiungono le accuse cinesi mosse agli USA, di aver importato il virus coi giochi militari per destabilizzare l’economia e frenare l’impennata espansiva del dragone verso occidente, mentre gli USA accusano la Cina di aver “infettato” il mondo, reclamando il diritto ad un risarcimento. Pretesa contestata dall’Ambasciatore cinese in Israele, Du Wei, durante la visita a Gerusalemme del segretario di Stato americano nonché ex direttore della CIA Mike Pompeo, giunto per ribadire che Washington non gradisce la penetrazione di Pechino a Tel Aviv (con l’acquisto dell’impianto di dissalazione Sorek2 per conto della società cinese Hutchison) e al porto di Haifa (che, da civile, potrebbe diventare anche d’uso militare, minacciando così i già travagliati equilibri geostrategici nel Mediterraneo). Tre giorni dopo, Du viene trovato morto. Pechino vuole inviare una commissione d’inchiesta per far luce sul decesso, ma poi ritira tutto e s’accontenta della versione della “morte naturale”. Gli USA vietano a studenti o docenti cinesi di accedere a informazioni riservate inerenti agli sviluppi del vaccino in laboratori e università americane; all’improvviso si aprono però alla cooperazione con la Huawei sullo sviluppo del 5G e del 6G, rigettata con veemenza nei mesi passati. Disse Andreotti che “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. A cosa ci serve ormai la TV, se le più banali spy stories hollywoodiane le troviamo tra le righe dei giornali? E i governi si credono furbi, avallando sistemi di monitoraggio stile Big Brother a danno della privacy dei cittadini. Non si rendono conto che a guardarli dai nostri divani, annoiati e disgustati dalla banalità messa in onda, siamo capaci anche noi. Ce ne libereremo premendo un tasto del telecomando?

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