Come funzionava la contrattazione jugoslava

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Come funzionava la contrattazione jugoslava

Nel luglio del 2012, dopo la mia nomina formale da parte del governo alla carica di Ambasciatore croato a Roma, iniziarono i preparativi ufficiali per la missione. Avevo già un’esperienza nel campo: la preparazione per l’invio a una missione diplomatica l’avevo già sperimentata negli anni Ottanta, però in un altro contesto. Nel 1986, dopo che l’allora governo della Repubblica socialista di Croazia voleva propormi come Console generale della Jugoslavia a Trieste, il governo della Slovenia si era opposto. Il complicato metodo di compromessi a livello dell’ex Jugoslavia prevedeva una contrattazione fra le varie Repubbliche per i posti più prestigiosi anche nel campo della diplomazia. A quel tempo, la Slovenia aveva proposto un suo candidato per il posto di Ambasciatore a Roma.
Il sistema di rotazione dava ragione alla Slovenia, anche in linea di successione e non soltanto d’interesse particolare. Però il ministro degli Esteri della Jugoslavia federale, che a quel tempo era il bosniaco Raif Dizdarević, s’impuntò con l’obiettivo di proporre al posto di Ambasciatore un suo conterraneo, un diplomatico che veniva dalla Bosnia e Erzegovina, sebbene di etnia diversa. Infatti, Dušan Štrbac era serbo. Dizdarević riteneva che dopo un avvicendamento a Roma di quadri croati, serbi e sloveni, era venuto il turno della Bosnia ed Erzegovina per mandare un suo “quadro” nella capitale italiana.
Però, la trattativa era legata anche al riempimento di altri posti vacanti: infatti, quasi contemporaneamente dovevano essere nominati i Consoli generali a Milano e a Trieste, che, naturalmente, dovevano provenire da altre Repubbliche. Gli sloveni avevano una specie di monopolio per il posto di Console generale a Trieste. Dal dopoguerra, il posto di Console generale nel capoluogo giuliano era stato sempre ricoperto da un diplomatico sloveno, avendo in mente la minoranza slovena che vive a Trieste.
Nella prima spartizione di carte, come concordato nelle consultazioni preliminari in seno all’Alleanza socialista, l’Ambasciatore sarebbe stato sloveno, e questa volta, vista la proposta della Croazia di nominare un croato – cioè me – al posto di Console generale a Trieste, il “cruciverba di quadri”, come si parlava allora, sarebbe stato risolto nell’interesse generale. Gli sloveni dapprima sollevarono dei dubbi sulla prospettiva di rompere la tradizione di un Console generale sloveno, data l’importanza di questa carica per gli sloveni del luogo. Ma si dà il caso che fosse messa in gioco la mia “connessione triestina” – infatti la mia nonna paterna era una Godina, di Trieste, e io parlavo lo sloveno – per cui non potevano opporsi energicamente.
Però la cosa andò male per la Croazia, perché il ministro Dizdarević riuscì a convincere della bontà delle sue ragioni il presidente del Consiglio esecutivo della Federazione jugoslava, che a quel tempo era Branko Mikulić, un altro conterraneo di Dizdarević, però questa volta di etnia croata. I due – Dizdarević e Mikulić – esercitarono una forte pressione per installare Štrbac a Roma e così gli sloveni ritornarono all’attacco, pretendendo di installare, come compensazione, uno sloveno a Trieste, che era il loro dominio tradizionale. A questo punto, la decisione finale fu affidata alla Presidenza collettiva della Jugoslavia. Stane Dolanc fu irremovibile: se alla carica di Ambasciatore a Roma doveva essere nominato Štrbac, allora il Console generale a Trieste doveva essere incondizionatamente sloveno!
Naturalmente, in questo processo di negoziazione a livello federale, nessuno si pose mai la domanda: ma questo Štrbac che cosa ne sa dell’Italia? Parla forse la lingua, ha delle dimestichezze con la cultura italiana? D’altronde, neanche Dizdarević, il ministro degli Esteri, parlava l’inglese; ma parlava il francese e l’arabo, per cui la questione della lingua o dell’attinenza alla cultura italiana non venne mai posta.
A ogni modo, in seguito all’energica intromissione del membro della Presidenza collettiva, espressione della Slovenia, che a quel tempo era Stane Dolanc, “l’uomo forte” della Jugoslavia perché controllava i servizi segreti, la Croazia fu eliminata con il suo candidato. Il posto di Ambasciatore andò alla Bosnia ed Erzegovina, il posto di Console generale jugoslavo a Trieste andò alla Slovenia nella persona di Drago Mirošič, un diplomatico che conoscevo e che era buon conoscitore dei posti, essendo uno sloveno del Litorale, cioè del Capodistriano.
Ma il problema era, cosa fare adesso con la Croazia, che si sentiva un pò offesa per le sue proposte che erano state rifiutate? Si trovò una soluzione “salomonica”, tipica dell’irresolutezza che regnava nell’ambito degli “equilibri labili” della Federazione jugoslava: al candidato croato, cioè a me, fu proposto di accettare il “premio di consolazione”, ovvero il posto di direttore del Centro jugoslavo di informazione e cultura – a New York.
E così iniziarono i miei preparativi per la missione a New York, che durarono sei mesi, mentre più tardi, in Croazia, i preparativi vennero ridotti al minimo – soltanto due mesi: una differenza sostanziale, come si vedrà.

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