Un diario differito: il veto di Zagabria

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Un diario differito: il veto di Zagabria

Nelle quattro precedenti puntate di questa rubrica, al lettore ignaro poteva sembrare che invece di un diario io stessi scrivendo delle memorie, discorrendo dei miei predecessori a Roma, in via Luigi Bodio 74-76, sede dell’Ambasciata croata dal 1997. E infatti, immancabilmente sono stato trascinato, nella narrazione, nel vortice degli antecedenti, anche perché il diario che volevo scrivere dal momento che venni a Roma, nell’ottobre del 2012, sebbene promesso all’attuale direttore dell’EDIT, non potè andare in porto. Lo avevo promesso a Errol Superina, ma purtroppo questa mia idea non andò a buon fine, e ciò non per colpa di noi due.
Appena arrivato a Roma, pieno di buona volontà di porre riparo a un periodo fiacco nelle relazioni bilaterali tra Italia e Croazia, causato in parte dalla mancanza di iniziativa da parte croata e in parte da un concetto di diplomazia peculiare, per cui all’ambasciatore, mio predecessore, l’obiettivo principale non era tanto di sviluppare le relazioni con l’ambiente sociale, politico e culturale nel quale era stato inviato, quanto di intrattenere le più strette relazioni possibili con i Croati residenti a Roma e la loro associazione, nonché con i Croati del Molise, una minoranza esigua che da secoli vive in questa Regione e che ha mantenuto la propria lingua e la propria cultura. Le attività quotidiane che il mio predecessore propugnava avevano come obiettivo principale di funzionare come un’autorità politica alla quale la comunità croata di Roma poteva richiamarsi per il sostegno materiale, ma anche per l’arbitrato – politico – in caso di screzi e conflitti interni che di volta in volta si manifestavano in seno alla comunità croata stessa in Italia.
Il mio obiettivo, invece, era di riattivare le relazioni con il Paese di destinazione, attraverso un’azione diplomatica mirata a sviluppare le relazioni bilaterali tout court – dal dialogo politico alle relazioni culturali, e in particolare attraverso l’intensificazione della presentazione della cultura croata in Italia e al riavvicinamento con gli Italiani cacciati dalle loro terre, gli esuli. In questo senso avevo il pieno supporto dell’allora presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović e anche dell’allora primo ministro Zoran Milanović. D’altronde, mi ispiravo a un modello moderno di diplomazia che prevede un’attività pubblica, in linea con il mondo mediatico contemporaneo. Invece, mi scontrai subito con una diplomazia, quella croata, affetta da una sclerosi burocratica e da un immobilismo opportunistico che riduceva i propri ambasciatori a semplici messaggeri che agiscono soltanto su iniziativa e mandato del ministero degli Esteri. E ciò lo provai subito nel caso del mio “diario romano” che intendevo annotare fin dal mio primo giorno della missione italiana.
Successe, così, che confidando nel governo di centrosinistra del premier Milanović e nel pieno appoggio del presidente Josipović, volevo giocare un ruolo attivo, non di semplice latore di messaggi, ma di fautore attivo di una diplomazia nuova, moderna, consona al ruolo di uno Stato membro dell’Unione europea, che la Croazia doveva anche formalmente divenire l’anno seguente, nel 2013.
E così mi preparai a giocare un ruolo attivo, superando i vecchi schemi del diplomatico la cui retorica abbonda di “se” e “ma”. Oppure, come dice un aneddoto di vecchia scuola, che mette in risalto l’opportunismo proverbiale del diplomatico (usando anche un stereotipo ‘macho’), domandandosi quale sia la differenza tra un diplomatico e una dama. Bè, quando il diplomatico dice sì, vuol dire: forse. Quando il diplomatico dice forse, vuol dire: no! E se dice no, non è un diplomatico! E così, se una dama dice sì, ciò vuol dire: forse. Se dice forse, ciò vuol dire: sì! Ma se dice sì, non è una dama!
E cosi, di buona lena io mi buttai subito nella mischia e scrissi un articolo per il portale croato “t-portal”, reagendo alla notizia che l’Unione europea aveva ricevuto il premio Nobel per la pace. Dicevo, chiaro e tondo in questo mio articolo, che ritenevo errato premiare con un premio così speciale un’organizzazione della quale i funzionari vengono pagati oltremisura per promuovere la pace, il che rientra nel loro lavoro quotidiano. L’articolo non piacque ai vertici del ministero degli Esteri e mi venne proibito di scrivere di propria spontanea iniziativa quello che pensavo; e se caso mai avessi voluto scrivere qualche pezzo che pur rientrava nel mio interesse academico, avrei dovuto prima sottoporre l’idea al ministero e riceverne il benestare. Naturalmente, non se ne parla neanche di tenere un diario pubblico su un quotidiano, perché questo non è il profilo di un ambasciatore croato… Non valse a niente il mio tentativo di argomentare la necessità di cambiare metodo, in un mondo ormai digitalizzato, con facebook, twitter e i media classici e nuovi dei quali fanno uso abbondante i diplomatici dei Paesi più evoluti. E così, questo mio “diario romano” esce con cinque anni di ritardo, a missione compiuta alla bella e buona, avendo navigando tra Scilla e Cariddi di un sistema burocratico e obsoleto che sembra si stia perpetuando e sclerotizzando ulteriormente…

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