Diplomatici. La politica delle poltrone

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Diplomatici. La politica delle poltrone

Proprio in questi giorni la Commissione del Parlamento croato sul conflitto d’interessi ha aperto la procedura nei confronti del premier Andrej Plenković. Il presidente del governo è stato accusato, anche a quanto pare con denunce anonime, di aver favorito il suo testimone di nozze, ossia di non essersi escluso dal procedimento per la sua nomina alla carica di Ambasciatore croato in Gran Bretagna. Naturalmente, il padrino, Igor Pokaz, è un diplomatico croato di carriera, il che vuol dire che aveva già ricoperto varie cariche importanti nelle sedi diplomatiche all’estero.
Infatti, Pokaz è stato già rappresentante diplomatico della Repubblica di Croazia presso la NATO, dal 2008 al 2012, e poi è stato anche Ambasciatore a Mosca dal 2012 al 2015. È chiaro dal suo curriculum, anche non conoscendolo personalmente, che si tratta di un “professionista”. Però, mi aveva avvertito la Segretaria generale del Ministero degli Esteri, quando stavo per andare in Italia a fare l’Ambasciatore: “Stai attento a non prendere confidenza con nessuno, qui in questa casa. Sono tutti collegati tra di loro, in quanto a relazioni personali, per non parlare poi del fatto che sono tutti dell’HDZ, del partito nazionalista croato, e che sono tra di loro connessi e si fanno dei favori reciprocamente”.
Non avevo dato peso a quelle parole, contavo sul fatto che dopo undici anni dall’indipendenza della Croazia, nell’amministrazione pubblica croata si fosse già succeduta una nuova generazione di “public servants” – come dicono gli anglosassoni – e che questi appartenenti alle nuove generazioni avessero sviluppato una lealtà verso il Paese e verso i criteri professionali.
Pochi giorni dopo il mio colloquio con la Segretaria generale, che era stata elevata a questa posizione dalla ministra degli Esteri, Vesna Pusić, che era pervenuta a quella carica in qualità di presidente del Partito popolare croato, allora componente della coalizione di governo, mi ero imbattuto tuttavia in una testimonianza che, purtroppo, le dava ragione.
Infatti, pochi giorni prima dell’udienza dei candidati alla carica di Ambasciatori davanti alla Commissione esteri del Parlamento, ero stato chiamato dall’allora presidente del Sabor, Boris Šprem, esponente del Partito socialdemocratico. Lo conoscevo ancora da prima, ci incontravamo in convegni e altri appuntamenti pubblici: egli in rappresentanza del partito e io invitato in qualità di “accademico” a intervenire ai dibattiti pubblici. Alquanto imbarazzato, mi disse che non voleva influenzarmi affatto, ma che aveva un favore da chiedermi. Sua nipote, una giovane giurista che era riuscita a ottenere un impiego nel Ministero degli Esteri, era stata mandata nella missione croata al Vaticano. Però, dopo soltanto un paio di mesi, era stata licenziata in tronco. Il pretesto era che lei, parlando con una giornalista di un settimanale di alta moda croato, aveva affermato che gli affitti degli appartamenti a Roma fossero molto alti: questo era stato giudicato come uno sgarbo verso il Paese ospitante, anche se, a dire il vero, il Paese ospitante avrebbe dovuto essere la Santa Sede.
Lei, naturalmente, aveva avviato una causa contro il Ministero degli Esteri e l’aveva vinta, cosicché il dicastero era stato costretto a risarcirla. Quale risarcimento le era stato proposto il trasferimento a Roma; però le avevano dato un lavoro non al livello della sua professionalità. E tutto questo era stato fatto – mi spiegò imbarazzato il presidente del Sabor – perché i vertici precedenti del Ministero dovevano liberare quel posto all’Ambasaciata croata presso la Santa Sede per insediarvi la moglie del “futuro Ambasciatore croato a Roma”, che doveva essere Mario Nobilo, un diplomatico anche “di carriera” che aveva ricoperto molti incarichi diplomatici importanti nel decennio precedente. Questo era stato fatto perché la moglie del suddetto diplomatico, anch’essa, lavorava nel Ministero, e secondo il regolamento interno moglie e marito non potevano lavorare all’estero nella stessa missione diplomatica. Il problema, evidentemente, era che a quel tempo nessuno sapeva chi avrebbe dovuto essere il futuro Ambasciatore croato a Roma, e questo lo si capì soltanto nella primavera del 2011 quando il Presidente Josipović rifiutò la lista propostagli dal governo – e lì spiccava il nome del marito della signora che già lavorava presso la missione in Vaticano. Così, per concludere, qualcuno sapeva benissimo chi sarebbe stato inviato e dove; tutto fu predisposto quindi per soddisfare marito e moglie – e il mezzo fu di allontanare la giovane diplomatica con un pretesto poi fallito per “colpa” del Tribunale – per predisporre tutto il puzzle delle poltrone diplomatiche. E il presidente del Sabor me lo disse con rammarico, cosciente che esistesse un’omertà dietro le quinte istituzionali, contro le quali neanche lui poteva farci niente! Quando il piano fallì e l’allora premier Milanović propose un’altra lista sulla quale spiccava il mio nome, la signora menzionata chiese di essere trasferita – e fu mandata in Belgio, dove fu inviato anche suo marito. Ma lì ci sono più missioni croate e così il regolamento fu salvo e i lupi furono sazi!

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