Rossana Grdadolnik: Con «Esercitazione» si è parlato della vera Fiume

L'ex attrice del Dramma Italiano ricorda lo spettacolo «Esercitazione alla vita»

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Rossana Grdadolnik: Con «Esercitazione» si è parlato della vera Fiume

Verrà riproposto la prossima settimana al Teatro fiumano “Esercitazione alla vita”, uno spettacolo che ha segnato gli anni Novanta, e porterà ora la firma di Marin Blažević. Non sappiamo ancora che cosa aspettarci esattamente dalla rivisitazione, ma in attesa di scoprire che cosa hanno in sebo per noi gli attori e (soprattutto) le attrici di questa versione al femminile della leggendaria pièce, abbiamo voluto riscoprire con Rossana Grdadolnik, ex attrice del Dramma Italiano, come si sono svolti i preparativi per l’”Esercitazione” di trent’anni fa.
Quale ruolo ha avuto nello spettacolo originale?
“Il mio ruolo era quello di Ludovica, che era la giovane moglie di Fumulo, il personaggio principale, una giovane di buona famiglia, la moglie ideale, che muore a soli 26 anni colpita dall’epidemia di colera”.
Si ricorda delle prove e della preparazione?
“Certo. Penso che mai ci sia stata un’atmosfera così particolare come quando si fece questo spettacolo. Il merito era soprattutto del regista, perché gestire tante persone – e parlo di numeri veramente fuori dal comune, sicuramente più di cento – con tale tranquillità e destrezza, è un talento che dev’essere innato”.
Era uno spettacolo bilingue?
“Direi plurilingue addirittura. Nello spettacolo veniva raccontata la storia di Fiume, come ben sapete, e visto che la grande protagonista in realtà è la Storia, sarebbe stato estremamente riduttivo presentare questo racconto usando un idioma solo. Ci sono due rami di una famiglia, uno italiano e l’altro croato, mentre lo spettacolo finisce con l’esodo degli italiani. Ogni tanto c’erano delle scene in cui si parlava in croato, intercalate da altre in cui si parlava in italiano, soprattutto per quanto riguarda il ramo italiano della famiglia. Dove ci sono gli ungheresi si parlava anche in ungherese, pure qualche parola di tedesco, ovviamente. È interessante notare che all’epoca non esistevano i sottotitoli e gli spettatori seguivano ‘a naso’, facendo leva sul contesto o sul sapere della lingua che avevano. Devo dire che anche se può sembrare ostico, non era difficile seguire il filo del discorso, perché comunque la maggior parte dello spettacolo era in croato. Se pensiamo, ad esempio, al discorso di Mussolini, interpretato dal bravissimo Claudio Misculin di Trieste, di cui tutta la città ha parlato per settimane, oppure quello di d’Annunzio quando arrivava a Fiume, è ovvio che fossero tutti in italiano. Il pubblico poteva immaginare il contenuto, forse carpire qualche parola o qualche gesto che gli rivelava il tema del discorso. Non tutti capivano tutto, ma il problema della lingua non è mai sorto”.
Quanto tempo è servito per preparare la messinscena?
“Non molto, soprattutto se si considera la complessità del tema e del racconto. Ciò è dovuto a Paro e ai suoi collaboratori, che sono stati veramente splendidi e hanno dimostrato una grande capacità organizzativa. Mi sembra che le prove siano durate un mese e mezzo, non di più, il che è pochissimo per uno spettacolo con più di cento interpreti. Il regista ci ha sempre trasmesso una calma e una tranquillità incredibili e credo che questo fosse il motivo del suo successo e del successo dello spettacolo, sempre filato liscio e senza intoppi”.
Com’era la situazione nel Dramma Italiano all’epoca?
“È difficile da dire, perché nel DI abbiamo sempre avuto molti alti e bassi, ma non ricordo particolari tensioni o problemi in quel periodo. E poi, se guardiamo il quadro complessivo, lo spettacolo è andato avanti per sette anni e in quell’arco di tempo sarebbe potuto succedere di tutto. Dopo tanti anni non è facile ricordarsi di ogni ‘maretta’ quindi potrei concludere che la situazione era stabile, fino a prova contraria. E poi io preferisco sempre ricordare le cose belle, quindi anche se c’erano dei problemi, probabilmente li ho dimenticati”.
Il ruolo degli italiani nello spettacolo com’era? Sono state mosse delle critiche al regista per averci presentati come usurpatori o invasori. Lei, che cosa ne pensa?
“Partiamo dall’inizio. Bisognava fare uno spettacolo tratto da un libro, con un numero incredibile di personaggi e di avvenimenti. Ridurre tutto questo a un paio d’ore (perché è impossibile fare uno spettacolo di dodici ore) o comunque ridurlo a un periodo ragionevole per il pubblico, è estremamente arduo. In questo lavoro di riduzione della storia tante cose devono venire tagliate; e il risultato è stato quello. Forse si sarebbe potuto fare altrimenti, aggiungere più elementi legati agli italiani autoctoni, però bisogna rendersi conto che è un lavoro estremamente arduo. L’ironia della situazione è che anche la parte croata aveva da ridire, perciò neanche loro erano contenti”.

Alcuni degli interpreti dello spettacolo del 1990

Perché riproporre lo spettacolo proprio adesso?
“Negli anni Novanta ‘Esercitazione alla vita’ è stato un evento importantissimo per la nostra città. Per la prima volta si è parlato di Fiume, della vera Fiume. Ciò era importante per tutti noi, perché fino ad allora nessuno ha avuto il coraggio di parlare apertamente della vera storia di questa città. Lo spettacolo è stato riproposto anche nelle altre città, il che ha contribuito al suo successo. Riproporlo adesso vuol dire che è maturata un’altra consapevolezza della storia e che il contesto e le vicissitudini di allora ci stanno stretti”.
Che cosa si aspetta dallo spettacolo attuale?
“Sarà sicuramente una cosa completamente diversa, perché il modo di fare teatro è cambiato negli anni e non si possono fare paragoni tra gli anni Novanta e adesso. Quello era uno spettacolo fatto in modo classico, il teatro della parola, che ora non si usa più, almeno allo ‘Zajc’, dove riscontriamo tendenze diverse e più moderne. Sono curiosa di vederlo perché sono sicura che sarà qualcosa di completamente nuovo. A parte lo spettacolo, pure il pubblico è cambiato negli anni. All’epoca ‘Esercitazione alla vita’ era un evento sociale importante, perché ha segnato l’inizio del risveglio dell’identità della città, dell’appartenenza alla città, che fino allora erano state sopite per decenni, diventando quasi una sorta di tabù. Ha avuto un grande impatto sugli spettatori, risvegliando quest’idea di cosa sia Fiume/Rijeka e di che cosa voglia dire farne parte. Lo spettacolo di adesso si inserirà sicuramente nel progetto di Fiume CEC 2020, ma non credo che l’impatto emotivo sarà tanto forte come trent’anni fa”.

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