Racconti fiumani tra fantasia e realtà. Il Lampadario

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Racconti fiumani tra fantasia e realtà. Il Lampadario
Foto Florinda Klevisser

“Compagno Mator, ci segua”.
Lo stupore sul viso pallido del giovane Mator mostrava in modo inequivocabile quanto quella giornata fosse iniziata in un modo del tutto inaspettato. Gli era andato tutto storto fin dal primo mattino e dopo una serie di strane coincidenze era arrivato in ufficio con due minuti di ritardo. Era la prima volta che gli capitava ed era ancora sudato per la gran corsa che aveva fatto da casa sua, per fortuna non molto lontana. Le goccioline calde che gli scendevano lungo le tempie iniziarono a mescolarsi con quelle fredde, cariche di tensione. Era iniziato tutto nel momento in cui non aveva sentito la sveglia. Pensava di averla fatta franca, anche perché normalmente era sempre puntuale, e invece erano apparsi quei due uomini che gli incutevano un malcelato timore.
“È la prima volta che faccio tardi sul lavoro, non succederà mai più…”.
“Non ha sentito? Ci segua!”.
“Sono solo due minuti e giuro che non…”.
Uno dei due uomini si girò e non ebbe bisogno di dire nulla. Il suo sguardo bastava per far zittire anche le mosche, che non osavano più volare in quella stanza.
Il giovane Mator eseguì senza fiatare ed entrò in una stanza che non conosceva, al piano sottostante a quello in cui si trovava l’ufficio in cui lavorava da alcuni anni. Mentre osservava le pareti bianche constatando quanto fossero spoglie, sentì sbattere la porta e girare la chiave nel chiavistello. Era solo. Dei due uomini era rimasto solo l’odore di dopobarba scadente di quello più grasso. Si mise davanti alla finestra a osservare quello che succedeva fuori dal palazzo. Alcuni ragazzini correvano verso la scuola con enormi zaini sproporzionati per le loro minute spalle. Guardò l’orologio: erano le otto meno cinque.
“Correte ragazzini, correte! In questo paese non conviene arrivare in ritardo”.
Sulla strada, ai ragazzini seguirono i vecchietti che portavano a spasso il cane o andavano a comprare il giornale. Era passata già almeno un’ora e il giovane Mator cominciava a essere sempre più disorientato e nervoso. Aveva del lavoro che lo aspettava in ufficio e non capiva perché non lo lasciavano tornare al suo dovere. Lo volevano licenziare? Per soli due minuti? Non meritava questo! E cosa avrebbe raccontato a sua moglie? Il cigolio della porta spezzò il silenzio e i suoi turbinanti pensieri. Un uomo entrò nella stanza, si girò, chiuse la porta a chiave, attraversò con passo deciso il vano senza mai voltarsi a guardare il giovane Mator che se ne stava immobile in un angolo davanti alla finestra, aprì un’altra porta, uscì dalla stanza e richiuse a chiave. I suoi passi continuarono a rimbombare nella testa del giovane. Si avvicinò alla porta da cui era entrato l’uomo e ripercorse la traiettoria. Non capiva. Si sedette sull’unica sedia presente in quella stanza e cercò di riordinare i pensieri.
Erano le 10. Il fondoschiena del giovane Mator aveva assunto la forma della sedia di legno ben levigato, ma priva di cuscino. Si alzò e tornò a guardare fuori dalla finestra. Erano passate oltre due ore e lui era ancora lì senza risposte e soprattutto senza domande a cui poter rispondere per chiarire come mai era arrivato in ritardo per la prima volta nella sua vita. Due minuti di cui si era ampiamente pentito. Non sarebbe successo mai più! Ma non c’era nessuno a cui dirlo. Una ragazza dai capelli biondi e lunghi attraversava la strada e a lui sembrava di conoscerla. La sua attenzione era stata catturata dalla familiarità di quella figura al punto che non si accorse nemmeno che la porta era stata riaperta. Il vecchio parquet, a cui non veniva data la cera da anni, scricchiolò e Mator si girò di scatto: c’era un altro uomo nella stanza. Stava camminando nella direzione della porta più lontana a lui. La raggiunse con passo pesante senza mai voltarsi, la aprì e sparì nel nulla. Il rumore del chiavistello che scattò chiudendolo nuovamente dentro la stanza urtò i nervi del giovane Mator che sentì il bisogno di urlare. Per ovvi motivi non lo fece, ma dentro la sua testa quell’urlo risuonò in tutta la sua potenza. Si sedette nuovamente sulla sedia e si prese la testa tra le mani, appoggiandole al tavolo posto davanti a essa, al centro di quella ampia stanza silenziosa tagliata in due da un fascio di luce bianca come le pareti.
Rimase così per un bel pezzo. L’unica cosa che sentiva era il suo stomaco che nonostante la situazione non si era chiuso e reclamava il pranzo, o meglio la marenda – come veniva chiamata qui da tutti. Guardò l’orologio: era mezzogiorno. Ripensava a tutte le cose che aveva pianificato di fare quella mattina e i clienti che erano in attesa di sentirlo. In fondo quel lavoro gli piaceva ed era convinto di svolgerlo con diligenza, ma ormai si stava rassegnando al prossimo licenziamento. Due uomini entrarono nella stanza. Poi altri due con in mano due sedie. E poi una donna, con una valigetta.
“In piedi!”, disse uno dei due uomini dopo aver appoggiato la sedia sul lato corto del lungo tavolo.
La mise a disposizione della donna, che dalla valigetta estrasse una macchina da scrivere portatile, una UNIS tbm de Luxe. Le altre due sedie vennero posizionate sul lato lungo del tavolo e vi si accomodarono i due uomini che davanti a loro posero un plico con vari incartamenti. Il giovane Mator non capiva, ma sapeva che era meglio non discutere.
“È stato lei a concordare il restauro del lampadario del teatro nazionale Ivan Zajc?”.
“…sì”.
“Perché?”.
“Perché sono il responsabile del settore decorativo della Elektromaterijal e mi è stato affidato questo incarico dalla Elektrolux, per la quale lavoriamo (1)”.
“Perché ha scelto l’azienda Rogaška Slatina?”.
“Perché ho contattato le quattro aziende più grandi del paese che reputavo in grado di fare questo tipo di restauro e non hanno voluto accettare il lavoro. Loro sono stati gli unici a rendersi disponibili e inoltre sono specializzati nella produzione di oggetti in cristallo quindi mi sembravano adatti”.
“Ci faccia avere la documentazione sui contatti con le altre quattro aziende. Cosa gli ha scritto e cosa hanno risposto”.
“Ma è stato cinque anni fa?”.
“Ha un paio di giorni!”.
Il giovane Mator non si ricordava se gli aveva parlato per telefono e confidava in una prova scritta. Continuava a non capire cosa stesse succedendo, ma ormai era chiaro che i due minuti di ritardo non c’entravano. Questo gli aveva procurato un certo sollievo. Sulla storia del lampadario non sapeva ancora cosa pensare.
“Quante volte è andato a Rogaška?”.
“Una”.
“Come?”.
“Con la mia macchina”.
“Con chi?”.
“Con alcuni colleghi”.
“Prepari la documentazione di questo spostamento”.
L’uomo si girò verso la donna, che continuava a ticchettare con la macchina da scrivere sui tre fogli divisi da carta carbone blu. Era veloce e precisa. In un attimo i fogli vennero estratti dalla macchina e messi davanti al giovane a cui venne chiesto di leggere e firmare il conciso verbale.
“Saremo da lei tra una settimana. Ci aspettiamo la documentazione richiesta. Buona giornata compagno Mator”.
“…Buona giornata…”.
Era sfinito. Tornò nel suo ufficio, ma non riuscì a concentrarsi sul lavoro. Doveva sistemare quella questione. Si mise a cercare nei cassetti, ma la sua mente era confusa e non riusciva a ricordare dove poteva aver messo quelle carte. E soprattutto, non riusciva a ricordare se quei documenti esistessero o meno. Sul foglio di viaggio non c’erano dubbi, ma le contrattazioni con le varie aziende le faceva molto spesso di persona o per telefono. Doveva calmarsi e riflettere, anche perché il cassetto ormai somigliava di più a un campo di battaglia che a un archivio in cui riporre qualcosa che si vuole poter ritrovare. Anche la fame contribuiva a offuscargli la mente. Decise di fingere un malore e di andarsene a casa. Quel giorno era troppo strano e forse era meglio saltarlo direttamente. Andò dalla segretaria generale dell’azienda a chiedere congedo. Si convinse di non stare per niente bene ed era anche molto pallido.
“Compagna segretaria, dovrei…”.
“Aspetti un attimo Mator. Devo prima finire una cosa e poi l’ascolterò”.
Non alzò nemmeno lo sguardo tanto era assorbita da quello che stava facendo. Vedendola lavorare in modo così meticoloso gli venne un’idea che poteva risolvere il suo problema.
“Mi dica tutto”.
La donna lo guardava da sopra gli occhiali, abbassati sul naso. Era sempre molto seria e rigida e lui, in fondo, la temeva. Rimase in piedi davanti alla scrivania e le raccontò tutto. Lei non si mosse di un millimetro per tutto il tempo. Poi prese un foglio di carta e vi appuntò alcune parole, che lui non riuscì a leggere.
“Bene”.
“In che senso?”.
“Venga domani mattina e avrà copia della documentazione che abbiamo nell’archivio aziendale. Le serve altro?”.
“N… no”.
“Bene. A domani compagno Mator”.
“A domani compagna segretaria”.
Si era già avviato verso l’uscita quando sentì la donna chiamarlo a bassa voce.
“Compagno Mator, spero che lei sia stato preciso nello svolgere il suo lavoro e che questa documentazione sia stata prodotta a suo tempo. Se no, non potrò aiutarla e in quel caso che Dio l’aiuti”.
“Grazie compagna segretaria. Grazie mille”.
Aveva parlato a voce così bassa che non era sicuro di aver sentito nominare per davvero Dio in persona, non molto popolare in quel paese socialista. In fondo anche lui era cattolico e quella sera fece una preghiera speciale affinché uscisse da quella brutta storia nel modo più indolore possibile.
La gestione impeccabile del suo lavoro e di quello della segretaria gli risolse il problema della documentazione da presentare e in pochi giorni fu pronto per la visita dei due agenti. Ripensò a quante volte aveva preso accordi telefonici senza documentazione scritta e ringraziò il cielo che quella volta aveva fatto tutto per telex. Anche il foglio di viaggio era ben scritto e ricco di dettagli. Era uno dei più lunghi che avesse mai scritto. Documentazione alla mano si sentì più tranquillo. Continuava a sfuggirgli il motivo di quello strano interrogatorio. Lo scoprì solo mesi dopo quando lesse sul giornale dello scandalo del lampadario del teatro Ivan Zajc. Il teatro era chiuso per un lungo restauro, durato oltre un decennio, ed era il momento migliore per rimettere a posto anche quel bellissimo lampadario di cristallo che ornava il soffitto decorato dai fratelli Klimt e da Franz Matsch. Mancavano alcuni pezzi di cristallo e il cerchio che teneva il tutto era a pezzi. Inoltre, bisognava rinfrescare l’indoratura.
Il problema non fu il lavoro del povero giovane Mator che si era trovato in mezzo pur avendolo svolto in modo egregio (per sua fortuna), ma quello che successe dopo. Dopo la prima visita alla fabbrica di cristalli per constatare lo stato di avanzamento lavori l’incarico gli venne revocato e il progetto venne preso in mano dalla società madre, la Elektrolux, che incaricò alcuni suoi ingegneri. Questi ultimi, però, fecero pagare ben sedici fatture dopo aver controllato l’avanzamento dei lavori senza che nessun lavoro venisse svolto realmente. Cinque anni dopo l’inizio del restauro il lampadario era nelle stesse identiche condizioni in cui lo aveva lasciato Mator. Quando i responsabili dei lavori al teatro se ne accorsero scoppiò lo scandalo che lo coinvolse, per fortuna solo di striscio. Sul giornale lesse i nomi di molti suoi colleghi, di cui uno scappò in Germania, e si chiese come mai nessuno di loro avesse nemmeno provato a corromperlo. Andò in bagno. Lavandosi le mani si guardò allo specchio e osservando il suo giovane volto non gli sembrò più tanto strano. Aveva l’aria da bravo ragazzo, di quelli troppo ingenui per imbrogliare, e ne fu fiero.

(1) Le aziende erano: la Dekor Zabok, che disse di non trattare cristalli; la Emi-Polčane, che trovò il lavoro troppo impegnativo; la TEP-Zagreb, che dopo aver restaurato il lampadario del teatro di Zagabria non volle accettare un altro incarico simile; la Meblo di Nova Gorica, che lavorava soprattutto con materiali plastici e, avendo meno esperienza con il vetro, aveva rifiutato.

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