«Padre Pio». La biografia atipica firmata Ferrara

Il regista italoamericano è stato ospite della Casa delle Forze Armate di Pola, dove ha presentato il film e dialogato con il pubblico. In chiusura, il concerto della sua band

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«Padre Pio». La biografia atipica firmata Ferrara
Brad Stevens, Tanja Vrvilo, Abel Ferrara e Karin Scuderi. Foto: RLETTA FONIO GRUBIŠA

Dalla mostra del cinema di Venezia a Pola il passo è breve, geograficamente parlando, altrettanto quanto grande e straordinario dall’aspetto dell’importanza culturale e mass mediatica che riveste. A compiere questo spostamento da una sponda all’altra dell’Adriatico è stato niente meno che il celebre regista italoamericano Abel Ferrara, subito dopo l’anteprima mondiale del suo film “Padre Pio”.

Ancora fresco degli applausi conquistati a Venezia per la sua storia improntata sulla figura del Santo di Pietrelcina, ha omaggiato Pola e l’Istria con “Cinema Ferrara”, evento che ha visto celebrare tutta la poliedricità dell’artista: prima la visione del film, poi l’intervista e i commenti del pubblico e, per finire, un concerto con i fiocchi di una bend composta da noti musicisti quali Joe Delia, Tony Garnier, la cantante Karin Scuderi, rafforzati dal contributo sonoro di artisti locali e dallo stesso Abel Ferrara, virtuoso della chitarra elettrica.

Progetto discografico
Nella sala degli specchi della Casa delle forze armate, già Casinò Marina, straripante di pubblico oltre modo desideroso di happening culturali di spicco, Abel Ferrara ha fatto la sua comparsa per dare continuità ad un progetto discografico iniziato anni or sono tra Fiume e Pola, poi interrotto a causa del Covid, presentando nel contempo un film che invoca pace e giustizia attraverso una visione drammatica e noir delle vicende storiche verificatesi cent’anni fa a San Giovanni Rotondo, nel profondo sud Italia, depresso dalla povertà post bellica. Contrariamente a quanto programmato dagli organizzatori della serata, Ferrara ha richiesto di proporre prima la proiezione del film, quanto mai attuale, dedicato al popolo sofferente dell’Ucraina, e quindi il colloquio, svoltosi esclusivamente in inglese, assieme al critico cinematografico britannico Brad Stevens, autore dello studio sul cineasta e alla curatrice del progetto “Cinema Ferrara”, nonché studiosa cinematografica Tanja Vrvilo.

Elementi autobiografici
Curiosa è stata la conversazione proposta, con interventi del pubblico, completamente privo di partecipanti italofoni, compreso Abel Ferarra che, nonostante l’origine italiana (figlio di immigrati italiani di Sarno, provincia di Salerno), la ricerca documentaristica compiuta nei luoghi dove visse Padre Pio e la volontà di recupero delle proprie radici durante un ultimo periodo di residenza in Italia, non ha dato un benché minimo segno di conoscere l’idioma dello Stivale. I commenti sul film sentiti l’altra sera si sono concentrati sul fatto che quanto offerto della storia di Padre Pio è una “biografia atipica” che amalgama libere interpretazioni, fiction e fatti veramente accaduti, tanto da uscire dal seminato, mettere al centro dell’attenzione la vicenda storica attraverso quella sacra e personale del Santo. Gli interlocutori e il regista si sono trovati d’accordo sui numerosi elementi autobiografici contenuti nella narrazione filmica egregiamente gestita attraverso un crescendo drammatico di apparizioni del male oscuro presente nelle metaforiche visioni di animali e di corpi muliebri nudi. I tormenti di Padre Pio a questo punto sono le sofferenze personali dell’autore e quelle che hanno aiutato il magnifico personaggio protagonista, l’attore Shia LaBeouf a rivestire il saio del Santo.

Il legame con Shia LaBoeuf
È la stessa rivelazione che Abel Ferrara ha fatto alla critica cinematografica italiana così come citato da Angela Calvini su Avvenire.it: “La grande connessione tra Shia LaBoeuf e me è che ambedue abbiamo usato alcol e droghe, abbiamo dovuto affrontare questa dipendenza. Si era creato un muro tra noi e la spiritualità, ma c’è il perdono nel viaggio dal buio alla luce. Io sono buddista, sono cresciuto cattolico. Mio nonno è nato lo stesso anno di Padre Pio, un campano anche lui, di Sarno, poco distante da Pietrelcina – ha dichiarato Ferrara –. Siamo andati nei suoi luoghi ed abbiamo parlato con i testimoni diretti. E così è venuto fuori questo mio film in cui ho voluto che Padre Pio venisse visto come un uomo, non come un santo, specie nel periodo in cui era giovane e stava lottando con la sua fede”.

Una storia triste
Tutt’altro che una fedele biografia di Padre Pio, il film presentato a Pola ha messo d’accordo numerosi spettatori: la storia è triste e inquietante. Si presenta piena di compassione per i destini umani, di condanna degli abietti, potenti e spregevoli, della violenza e del tradimento, ma anche di tanta ricerca della fede e della redenzione. Sono le tematiche amate, spesso in maniera controversa, da Abel Ferrara che, tramite stupende inquadrature, propone stavolta l’ambientazione italiana delle aspre e pietrose terre della Puglia, invece delle metropoli notturne e infernali. Qualcuno tra il pubblico ha anche reagito: è improponibile mettere in bocca una parlata americana dall’accento italiano alle genti di quei luoghi così pieni di identità inimitabile e, aggiungeremmo, volti e aspetti tipici attinti dal realismo pasoliniano. Il meridione raccontato da Ferrara è un’Italia d’altri tempi americanizzata da quelli statunitensi trapassati e anche odierni, sia dall’aspetto della paesaggistica (i duri lavori nei campi che associano agli schiavi raccoglitori di cotone e ai loro spirituals), sia dei dialoghi che scendono nel gergo volgare del Bronx messo in bocca alla soldatesca che fece strage del movimento socialista del popolo italiano (“fuck all this guys”). In ogni caso è un film che si è meritato un applauso ed è stato apprezzato anche a Pola.

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