L’esodo giuliano-dalmata alla Mostra di Venezia

Oggi, martedì 8 settembre, al Lido la presentazione del libro di Alessandro Cuk, «La città dolente – Il cinema del confine orientale»

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L’esodo giuliano-dalmata alla Mostra di Venezia

È uno dei rari film che tratta la travagliata pagina di storia dell’esodo giuliano-dalmata, della frattura subentrata all’indomani della Seconda guerra mondiale e del trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, che decretò il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia. Quasi contemporaneo a quegli eventi, unendo sapientemente storia e finzione, “La città dolente” di Mario Bonnard segue le vicende di Berto (interpretato da Luigi Tosi), un operaio italiano di Pola, che pagherà a caro prezzo la scelta di restare a Pola, allettato dalle promesse del regime jugoslavo a Pola. Una decisione controcorrente rispetto alla stragrande maggioranza dei suoi concittadini, oltre 30mila “polesani” che hanno scelto la strada dell’esilio, compresa sua moglie e il figlioletto. Berto ben presto scoprirà, con amarezza, che era stata solo una grande illusione. Per aver manifestato apertamente il suo dissenso nei confronti del nuovo sistema, sarà arrestato e inviato in un campo di concentramento per essere “rieducato”. Riuscirà a fuggire e cercherà di dirigersi in barca verso l’Italia, ma le guardie di frontiera lo uccideranno con una raffica di mitragliatrice.
A distanza di oltre settant’anni, resta la pellicola più significativa su quest’argomento. Prestigiosi i nomi che affiancarono Bonnard nella realizzazione, da Anton Giulio Majano, Aldo De Benedetti, Federico Fellini, che collaborarono alla sceneggiatura, a Tonino Delli Colli, autore della fotografia. Nel cast, nel ruolo di una funzionaria del partito di Tito, anche l’attrice americana Constance Dowling, di cui era innamorato Cesare Pavese che, dopo essere stato abbandonato da lei, si suicidò nel 1950. Un film che si è visto poco quando è uscito, classificato come “adulti con riserva”.
Ai tempi un tema «scabroso»
“Certo eravamo all’inizio del 1949 e forse per la commissione il tema era ‘scabroso’ o quanto meno accidentato”, osserva il giornalista, critico cinematografico e scrittore Alessandro Cuk, che ha dedicato a questa pellicola un libro, “La città dolente – Il cinema del confine orientale”, che sarà presentato oggi nell’ambito della 77.esima Mostra del cinema di Venezia, presso lo Spazio della Regione Veneto al Lido (Hotel Excelsior, ore 14.30). Interverranno, oltre all’autore, Massimo Caminiti, presidente del Cineforum italiano (Cinit), Lorenzo Codelli, vicepresidente della Cineteca del Friuli. L’evento è organizzato dal Cinit in collaborazione con Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
​​Un piccolo prodigio
“Quando si parla di una filmografia collegata con il confine orientale il primo film da prendere in considerazione è proprio ‘La città dolente’ di Mario Bonnard. Questo perché si tratta del primo in assoluto realizzato e anche dell’unico, finora, che ha toccato il tema dell’esodo giuliano dalmata – afferma Alessandr Cuk, uno dei pochi esperti del settore, che si è occupato largamente di cinema e mondo dello spettacolo di quest’area geografica per giornali e riviste specializzate –. Qui non si parla di un ipotetico confine tra Italia e Jugoslavia, come nell’altro film significativo sull’argomento ‘Cuori senza frontiere’ di Luigi Zampa; qui si parla decisamente di Pola. Attraverso delle immagini tratte da alcuni documentari realizzati all’epoca da Enrico Moretti e Gian Alberto Vitrotti e la ricostruzione attenta di interni e di esterni che si collegano adeguatamente alla realtà istriana, anche se girati negli studi di Roma e sulla costa laziale, si realizza un piccolo prodigio. Infatti, visto con gli occhi di settant’anni dopo, il film sembra un affresco attendibile di un’epoca che può testimoniare, anche per chi era piccolo allora e per le seconde e le terze generazioni degli esuli, ma soprattutto per chi vuol conoscere qualcosa di più su questa vicenda – rileva il critico –, una pagina di storia strappata e caduta per decenni nel dimenticatoio per volontà politica e per una amnesia colpevole della storiografia”.

Alessandro Cuk

“Ci sono tanti elementi interessanti in quest’opera, che in fondo anticipa una tipologia di film (quella della docufiction) che parte in maniera più decisa negli anni Ottanta per poi svilupparsi meglio nel nuovo secolo – rileva ancora Cuk –. Per questo il film non ha perso la sua carica di novità: perché racconta una storia misconosciuta con strumenti e stili moderni” e che, pur con dei limiti, “ci restituisce una descrizione appropriata del tempo, soffermandosi su una realtà familiare che diventa simbolo di una macrostoria che colpisce decine di migliaia di persone. Certo il film non affronta in toto i molteplici temi collegati con la vicenda del confine orientale – puntualizza l’autore del libro (circa 200 pagina, pubblicato da Alcyone, in sinergia con l’ANVGD) –. Ma questa è una storia così complessa che poteva davvero sviluppare una moltitudine di soggetti, toccando tematiche e angolazioni diverse per fare luce su una pagina oscura della storia italiana”.

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