Ivica Nikolac. «È essenziale il rapporto emotivo con il soggetto»

A colloquio con il fotografo insignito del Premio annuale della Città di Fiume per il suo contributo nella promozione dell’arte fotografica e il suo lavoro con i bambini

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Ivica Nikolac. «È essenziale il rapporto emotivo con il soggetto»
Ivica Nikolac fotografato a bordo della nave Galeb. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

La fotografia è una parte importante della vita di Ivica Nikolac, fotografo la cui passione per quest’arte si traduce in una ricerca nei segreti dell’immagine creata dalla luce e in un instancabile lavoro con i bambini. Nikolac è stato insignito di recente del Premio della Città di Fiume per il suo contributo nella promozione dell’arte fotografica, nella promozione internazionale degli artisti di Fiume e nel lavoro con i bambini e i giovani nel campo della fotografia a Fiume e fuori dai suoi confini. Classe 1960, Nikolac si è laureato in Lingua e letteratura croate all’Università di Fiume nel 1986, mentre di fotografia si occupa dal 1974. Finora si è presentato in una decina di mostre personali e più di 70 collettive ed è stato membro di numerose giurie, del Consiglio artistico della manifestazione Rovinj Photodays e selettore di mostre fotografiche a livello nazionale. È stato eletto quattro volte alla guida dell’Unione fotografica croata (Hrvatski fotosavez). È mentore e guida laboratori di fotografia, relatore e scrittore. Vanta il titolo HonEFIAP – FIAP (Federation Internationale de l’Art Photographique) ed è stato insignito di numerosi premi per la sua fotografia (da rilevare il Premio nazionale “Faust Vrančić” nel 2011). Dal 1997 è membro della sezione fiumana dell’Associazione nazionale degli artisti figurativi (HDLU) e dal 2021 di quella istriana, nonché dell’ULUPUH di Zagabria dal 2021. È anche presidente del Fotoclub Color di Fiume.

Nell’ambito di un’intervista, Ivica Nikolac ci ha parlato della sua concezione dell’arte fotografica e del suo lavoro con i bambini.

Questo è il suo secondo Premio annuale della Città, in quanto è stato insignito del medesimo riconoscimento anche nel 2013. Come ci si sente a venire premiati addirittura due volte dalla propria città?
“È un grande onore e una grande soddisfazione aver ottenuto questo Premio due volte, anche perché rientro nel gruppo dei pochi eletti che hanno all’attivo due riconoscimenti annuali cittadini. Il Premio è una conferma che qualcuno nota il mio lavoro e il mio impegno. Per quanto riguarda quest’ultimo, devo dire che nella vita ho molte volte aiutato gli altri guidando laboratori e programmi, sono stato mentore di molti senza mai chiedere nulla in cambio. Mi è stato detto mille volte che facendo così nessuno mi apprezzerà perché lavoro gratis, ma io non ero d’accordo perché ritengo che lavorando così restituisco alla società il sapere che qualcun altro mi ha impartito. Questo è il mio motto: aiutare gli altri e trasmettere la mia esperienza e il mio sapere nel campo della fotografia. Senza falsa modestia, credo di avere una vasta esperienza e sapere in questo campo, anche per il fatto che non solo mi occupo di fotografia, ma scrivo pure saggi legati a quest’arte. Ritengo che il mio forte sia proprio l’insegnamento e la trasmissione del sapere. Lavorare con i bambini è contemporaneamente bello e difficile per me”.

Perché è difficile?
“Perché è indispensabile prendere questo lavoro sul serio. I bambini sono persone con il loro carattere, i loro pensieri e opinioni e sono ancora puri e liberi dallo stress della vita quotidiana da adulti. Chi insegna ai bambini deve essere generoso e deve farlo con il cuore. Purtroppo, nel curricolo scolastico della Croazia pochissima attenzione viene data all’arte figurativa (soltanto un’ora alla settimana, ovvero 45 minuti, nda) e credo che tutti noi che guidiamo i laboratori creativi destinati ai bambini abbiamo il compito di ‘riempire le lacune’ in questo campo. C’è poi da prendere in considerazione anche l’aspetto sociologico, in quanto ogni bambino oggi possiede un telefonino, che è anche una fotocamera, per cui fotografa ogni giorno qualsiasi cosa. Per questo motivo, è un bene insegnare loro come realizzare scatti di qualità. Infine, in questi contesti si sviluppa la creatività dei bambini, in quanto hanno la possibilità di realizzare fotografie utilizzando anche tecniche antiche, il che permette loro di sperimentare e di usare la loro fantasia. In questo contesto, vorrei puntualizzare che ho ricoperto per sedici anni la carica di presidente dell’Unione fotografica croata (Hrvatski fotosavez), nel cui ambito avevamo realizzato un programma destinato ai giovani, guidato dalla prof.ssa Zlata Medak, e approvato dall’allora Ministero dell’Istruzione, il che ci permetteva di proporlo nelle scuole elementari. Avevamo avviato questo programma negli istituti scolastici delle località più piccole, dove non esistevano istituzioni, associazioni e contenuti simili. Nel corso degli anni, questo programma si è diffuso in tutta la Croazia e credo che l’avervi partecipato in diverse occasioni mi abbia fornito le basi per ciò che faccio oggi a Fiume. Mi piacerebbe continuare a farlo anche in futuro”.

Un approccio individuale
A che cosa sono interessati i bambini nel campo della fotografia?
“In primo luogo all’apprendimento della tecnica, ma prima di tutto alla socializzazione. Nell’ambito di un laboratorio, essi devono affrontare un compito previsto dal programma. Il lavoro a questo compito è sempre individuale, ma anche comune, in quanto ciascuno di loro si impegna ad affrontare il tema nel migliore dei modi al fine di dimostrare agli altri di esserne capace. Molti dei bambini che hanno frequentato i miei laboratori sono oggi dei bravi fotografi, o meglio dire fotografe, in quanto prevalgono le donne”.

Nel campo della fotografia, lei fa uso anche delle tecniche antiche. Può fare un paragone tra queste ultime e la fotografia digitale che oggigiorno è accessibile a tutti? In quale misura questo fatto influisce sulla qualità della fotografia?
“Influisce senza dubbio. Nei circoli fotografici fiumani vengo considerato come molto severo e rigido nelle mie opinioni. Oggigiorno chiunque si occupa di fotografia, mentre io cerco di spiegare che non tutto è nella quantità, bensì nella qualità e, in un certo senso, nel tentativo di imporsi dei limiti al fine di non scattare cinquanta foto di un medesimo soggetto, ma di pensare prima di premere il pulsante. Quando iniziai a occuparmi di quest’arte, c’era la fotografia analogica. All’epoca, le pellicole fotografiche potevano contenere al massimo 36 scatti. Questo costringeva i fotografi a pensare bene all’inquadratura, a ciò che si vuole fotografare e a scattare al massimo due o tre foto di un medesimo soggetto. Inoltre, non era possibile vedere subito l’immagine, ma bisognava attendere che questa venisse sviluppata. Oggi, invece, si fanno centinaia di scatti e in seguito, attraverso il Photoshop e altri programmi, si cerca di implementare ciò a cui non si è pensato prima di premere il pulsante della fotocamera. Questo non è un bene, in quanto siamo giunti al punto in cui l’intelligenza artificiale è capace di realizzare ottime foto in base a ciò che le abbiamo chiesto di fare, tanto da vincere concorsi fotografici (come è successo di recente al concorso Sony World Photography Awards). L’estetica e un approccio d’autore sono essenziali. Cerco di insegnare a chi viene da me per un consiglio o per imparare a fotografare che non è importante ciò che si fotografa e in che modo lo si fa, ma il loro rapporto emotivo con il soggetto. Le tecniche antiche sono interessanti perché richiedono maggiore impegno dall’artista. Ciascuno scatto è unico”.

La fotografia in bianco e nero possiede un fascino che quella a colori non ha. Come si può spiegare questo fatto?
“Credo che il primo fattore sia la nostalgia, in quanto la fotografia in bianco e nero ha dominato gran parte del XX secolo, e il secondo è la chiarezza dell’estetica. Secondo me, la fotografia in bianco e nero è un mezzo espressivo migliore di quella a colori. Mi piace, infatti, la chiarezza di questi scatti, il gioco della luce e dell’ombra. Credo che chi vuole essere un buon fotografo debba essere capace di realizzare una foto di qualità in bianco e nero”.

Un ambiente urbano unico
Spesso si dice che Fiume, che negli ultimi anni ospita numerose troupe cinematografiche, è una città molto fotogenica. È d’accordo con questa constatazione?
“Assolutamente. Fiume è molto fotogenica ed è ricca di motivi interessanti. Il problema di noi che viviamo in città e che passeggiamo ogni giorno per il Corso o per altre parti della città è non notiamo i particolari che rendono unico quest’ambiente urbano. Il compito del fotografo è notarli e insegnare agli altri come osservare il mondo che li circonda. Credo che viviamo in una città molto bella, anche se non abbiamo ancora imparato ad apprezzare ciò che abbiamo, ma siamo convinti che ciò che hanno gli altri sia migliore. Bisogna fare sì che Fiume diventi ancora più riconoscibile a livello internazionale, non soltanto nel campo della cinematografia. Ci manca più visibilità nel campo culturale, anche se questo probabilmente cambierà una volta che saranno conclusi i lavori nel Quartiere artistico Benčić. In questo contesto, mi viene in mente anche l’ex stabilimento della Raffineria INA in Mlaca, che verrà smantellato per dare spazio a nuovi contenuti. Ritengo che bisognerebbe mantenere simbolicamente una sua parte al fine di conservare la memoria della zona, come è stato fatto con le due gru in Molo longo”.

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