La morte, compagna di vita e di danza

Nell’ambito del Festival delle arti performative e circensi «Periskop» di Fiume è andato in scena all’HKD di Sušak lo spettacolo «La mia morte ed io»

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La morte, compagna di vita e di danza
Petra Najman. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Uno dei temi che ha ispirato gli artisti da che mondo è mondo, se tralasciamo l’amore, è la morte. Quello che ci aspetta alla fine della nostra vita ci fa paura e ci affascina allo stesso tempo, non solo in quanto ci è assolutamente ignoto, ma anche per il fatto che non sappiamo quando giungerà il fatidico momento della nostra morte. Si è tenuto alla Casa croata di Cultura (HKD) di Sušak un singolare spettacolo intitolato “My death and me” (La mia morte ed io), dell’artista e performer Petra Najman. Quello che sicuramente esula dagli spettacoli di danza classici è il fatto che Najman è un’artista specializzata nelle arti circensi, che solitamente vengono associate al divertimento (anche per l’infanzia), al riso e alle acrobazie nei circhi, mentre nel progetto di Najman la performance circense viene usata in un’atmosfera macabra per portare in scena il ballo con la morte.

Siamo soli nei momenti difficili
Quello che ci insegna lo spettacolo “La mia morte ed io” è che siamo tutti soli nei momenti più difficili delle nostre vite, quando ci viene puntato un riflettore contro e noi lottiamo per rimanere a galla e non lasciarci travolgere dai problemi. Il ballo di Najman è proprio così, travolgente, asfissiante, angosciante, una lotta contro sé stessi nel tentativo disperato e vano di fuggire dall’esistenza che ci tiene ingabbiati nel nostro corpo. I movimenti dell’artista sono spesso sgraziati e difficili da descrivere se non citando, ad esempio, una scena dello storico film “L’esorcista” di William Friedkin. Mentre la donna balla, sopra alla sua testa, appollaiato su un’altalena, c’è uno scheletro che la osserva immobile fino a cadere, a un certo punto, alla sua altezza, sorretto da un laccio legato a una carrucola.

Due opposti che si attraggono
Quando lo scheletro cade per “guardare” negli occhi l’artista, il pubblico può notare che sulla scenografia scarna, composta solo dall’altalena e da una spugna, mentre tutto il resto è nero, compresa la calzamaglia della performer, la luce dei pochi riflettori mette in risalto il bianco delle ossa. Proprio come in alcune culture, come ad esempio in Cina, il bianco può essere considerato il colore del lutto, mentre il nero simboleggia la vita. Dopo che l’artista si è dimenata per fuggire alla morte, nella seconda parte della messinscena abbraccia questo suo alter ego e dà inizio a quella che potrebbe venire considerata una storia d’amore. La morte è un partner, è una necessità, è un elemento inestricabile della vita perché la prima non può esistere senza la seconda e viceversa. Najman gioca col grottesco e col macabro portandolo in scena proprio come Edgar Allan Poe lo ha portato nelle opere letterarie.

Poca «carne» sulle ossa
Quello che sicuramente è la critica maggiore di chi scrive, è che lo spettacolo in sé è abbastanza essenziale, scarno, quasi uno scheletro di un progetto da sviluppare. Forse l’effetto è voluto, ma si sarebbe potuto lavorare almeno sulle musiche, visto che l’80 per cento della messinscena è silenziosa. Ripeto, probabilmente anche questo è voluto perché l’artista respira in maniera affannosa e in questo senso prende le distanze dalla cassa toracica vuota dello scheletro, però l’effetto sullo spettatore, abituato a maggiori stimoli, è sconcertante.
Lo spettacolo è stato prodotto da Circorama nel 2021. Gli elementi di scena e i movimenti dello scheletro sono stati curati da Marijana Matoković. Mentore per il movimento acrobatico è Marina Cherry. Consulente artistico è Nikola Mijatović.

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